centrosinistra
Renzi al governo ? E dov’è la sorpresa ?
Come tutto lascia supporre Matteo Renzi riceverà fra poche ore l’incarico per formare il nuovo Governo. Già dalla prossima settimana, credo, riceverà la fiducia e potrà cominciare ad operare.
Considero l’esito di questa vicenda, cominciata dopo la non vittoria nelle recenti elezioni del centrosinistra, tutt’altro che una sorpresa.
Pertanto mi fanno ridere certe stupidaggini ideologiche sul non mandato popolare. Noi siamo una repubblica parlamentare e il premier lo indica, dopo consultazioni formali, il Presidente della Repubblica. E se proprio vogliamo essere onesti se Renzi ha avuto una legittimazione dalle primarie, l’ha avuta più come leader di governo che di partito.
Quanto a tutte le balle che si leggono e si dicono sul premier non eletto e sulle congiure di palazzo, poiché le ho sempre considerate una gran cazzata quando hanno riguardato altri leader (leggi D’Alema) le considero stupidaggini anche adesso.
La politica è matematica applicata e gli errori di valutazione si pagano sempre. Sbagliò valutazione, all’epoca, Prodi, ha sbagliato ora Letta.
L’insofferenza verso un Governo che pure si era fatto carico di affrontare un momento difficile ma che si era impantanato nelle difficoltà politiche che sono sotto gli occhi di tutti sono evidenti ed è inutile tornarci. Renzi riuscirà a superare queste difficoltà e guidare il Paese fuori dalla crisi politica, economica ed istituzionale che stiamo vivendo ? Questa è la vera domanda che dobbiamo porci ed è la domanda che si pongono gli italiani. Il resto è gossip da lasciare a dietrologi e a sfaccendati.
La mia paura è che, se Renzi dovesse fallire, raccoglieremmo solo macerie. Per questo motivo, soprattutto, non l’ho votato nel congresso e continuano a non piacermi atteggiamenti e comportamenti.
Ma il PD, nonostante tutto, è ancora un soggetto collettivo con una sua vita democratica. E’ l’unico partito vero rimasto in piedi.
Ieri al giovanotto di Firenze abbiamo consegnato tutta la leadership. A lui saperla usare bene e per il bene del Paese. A noi vigilare e mantenere in piedi un partito che possa, nella peggiore delle ipotesi, sopravvivere all’eventuale fallimento del suo leader.
IL VERO “GOLPE” SAREBBE MANTENERE IN VITA IL “PORCELLUM”
Questa sera, insieme ad altri dirigenti e militanti del PD e del centrosinistra sarò a Lamezia Terme all’iniziativa convocata dal Presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio e dal Sindaco di Crotone Giuseppe Vallone per chiedere l’abolizione del “porcellum”.
La mobilitazione sta riscuotendo in queste ore numerose adesioni tra cui quella della parlamentare del PD Enza Bruno Bossio che giustamente ha chiesto che il PD si impegni a modificare subito la legge elettorale che ci ha consegnato la situazione di ingovernabilità in cui ci troviamo.
Tornare a votare con il “porcellum”, dice Enza Bruno Bossio, sarebbe doloso, e significherebbe, con ogni probabilità, ritrovarsi nella stessa situazione che ci ha costretto ad un governo di necessità.
Chi mi segue sa che sulla questione della legge elettorale più volte dalla mia modesta postazione sono intervenuto, aderendo anche ad iniziative referendarie che, purtroppo, non hanno avuto alcun esito.
Diciamoci la verità, alcuni aspetti di questa legge stanno bene a tutti, PD compreso, che pure ha cercato (e gliene va dato atto) di stemperarne uno degli aspetti più odiosi ( le liste bloccate) con le primarie.
In particolare la legge Calderoli varata con un colpo di mano sul finire del 2005 da un centrodestra che voleva limitare la vittoria elettorale di Prodi, presenta parecchi elementi discutibili, non ultimo quello del premio di maggioranza alla Camera che viene assegnato alla prima forza o coalizione, senza alcun limite, tanto da fa esprimere più volte la Corte Costituzionale nel senso di una correzione.
Paradossalmente, se in Italia si verificasse il caso di una frammentazione ancora più spinta di quella che abbiamo oggi, per cui ci fossero 5 forze che prendono ciascuna il 20%, l’abnorme premio di maggioranza del 55% dei seggi verrebbe assegnata alla forza che ha preso il 20% più un voto, e il restante 80% sarebbe costretto a spartirsi il restante 45% dei seggi. Una aberrazione democratica, senza contare che, per quanto riguarda il Senato, dove la maggioranza è assegnata su scala regionale, nessuna forza, come è avvenuto nelle ultime elezioni dove l’elettorato si è diviso sostanzialmente in tre parti, otterrebbe la maggioranza dei seggi.
Un vero e proprio pateracchio se si considera che persino la famigerata legge Acerbo varata da Mussolini per consolidare il proprio potere prevedeva un limite minimo per accedere al premio di maggioranza del 25% su scala nazionale.
Ma il “porcellum” è odioso soprattutto per le liste bloccate. Gli eletti vengono determinati sulla base della percentuale conseguita dalla lista in ragione del loro posizionamento. La lista, d’altro canto, non appare sulla scheda così che all’elettore viene data solo la facoltà di scegliere il partito e la coalizione ma non il proprio rappresentante.
Non si tratta di cosa di poco conto: in Italia non era mai successo se si esclude il periodo fascista quando i deputati venivano eletti con un plebiscito nel quale agli elettori veniva chiesto di approvare con un Si o bocciare con un No il listone di deputati predisposto dal Gran Consiglio del Fascismo. O con la preferenza all’interno di una lista o con un voto sul candidato del collegio uninominale le diverse leggi elettorali del nostro Paese, dal 1861 ad oggi, avevano sempre garantito quello stretto legame di fiducia tra elettore, eletto e territorio, che è poi l’essenza stessa della democrazia.
Si, perché il “porcellum” ha prodotto come effetto soprattutto questo: la frattura tra eletti ed elettori, con i primi con rispondono neppure al territorio che li esprime (la possibilità di candidature multiple in diverse circoscrizioni è un altro aspetto di questo problema) ma solo alle ristrette elite dei partiti romani che li hanno indicati in posizione utile in lista e i secondi che non possono esercitare alcun controllo su di essi, sia pure per richiamarli semplicemente ai loro doveri rispetto al territorio che li ha portati in Parlamento.
Questa legge elettorale ha prodotto uno snaturamento del principio democratico che vuole il parlamentare come espressione della volontà della nazione, in nome della quale esercita il proprio mandato senza alcun vincolo, come dice la nostra Costituzione.
Chi l’ha varata e chi, al di là della propaganda, ne ha consentito la sopravvivenza, per meri calcoli di bottega come maldestri apprendisti stregoni hanno prodotto una ferita drammatica al nostro sistema rappresentativo i cui effetti si sono dispiegati pienamente dopo le ultime elezioni.
Non voglio esagerare ma il vero “golpe” di cui tanto si parla a sproposito si è verificato consentendo a questa legge di liberare i suoi effetti nefasti sul nostro sistema.
Cambiarla è dunque un dovere democratico da cui dipende il futuro stesso delle nostre istituzioni.
Fabrizio Barca e il “catoblepismo” calabrese
Pubblicato su “Calabria Ora” del 12 maggio 2013
Alzi la mano chi conosce il significato del termine “catoblepismo”.
No, non preoccupatevi, credo che in Italia siano davvero in pochi, senza l’ausilio di Santa Wikipedia, a sapere che questa parola tanto astrusa significa “circolo vizioso”, rapporto distorto fra due soggetti di cui uno chiamato a controllare e l’altro ad essere controllato.
L’ex ministro Fabrizio Barca, oggi nelle vesti di nuovo commentatore del PD nel PD (categoria assai affollata di questi tempi) l’ha usata per definire la relazione distorta che è intervenuta spesso nel rapporto tra partiti e Stato.
Parola difficile usata nel contesto di ragionamenti colti, quelli che di solito animano il discorrere di Fabrizio Barca. Eppure qualcuno deve avergli consigliato di parlare un tantino più potabile e, infatti, nella sua visita in Calabria l’ex ministro ha sviluppato discorsi molto più chiari.
Ha detto, per esempio, che la Calabria è stata “mal governata anche dal centrosinistra”. Poi si è espresso con nettezza quando ha chiesto retoricamente riferendosi all’allagamento degli scavi di Sibari “dov’era il PD ?”.
Tutto condivisibile il discorrere di Barca salvo che nell’aver trascurato uno dei “catoblepismi” calabresi. Infatti, nei cinque anni di governo del centrosinistra in Calabria per tre anni la delega ai beni culturali (quindi competente sul parco archeologico di Sibari) è stata tenuta da uno dei suoi punti di riferimento calabresi, insieme alla vicepresidenza della Giunta regionale.
Senza trascurare il fatto che la personalità in questione fa parte di una scuola di economisti e maitre à penser che da anni ha costituito il centro di elaborazione e per lunghi periodi di gestione e direzione politica della programmazione dei fondi europei in Calabria, scuola di cui l’eminente prof. Fabrizio Barca è capofila.
Allora forse un tantino di prudenza maggiore sarebbe stata necessaria perché se saranno pochi i calabresi che conoscono il significato di “catoblepismo” certamente tutti conoscono la vecchia pratica del predicar bene e razzolare male di cui è pervasa non solo la politica ma anche l’intellighenzia prestata alla politica. E forse Fabrizio Barca la prossima volta farà bene a cambiare esempi per sostenere la sua “mobilitazione cognitiva”.
Per un pugno di voti il Molise rimane al centrodestra. Per il PD resta aperto il problema delle alleanze.
In Molise con il 46,94 % il candidato del centrodestra Angelo Michele Iorio si conferma per la terza volta alla guida della piccola regione seguito con il 46,15 % dal candidato del centrosinistra Paolo Di Laura Frattura. Uno scarto in termini assoluti di appena 1500 voti.
Dita puntate su Grillo che con il suo 5,6% avrebbe impedito al centrosinistra di vincere. Franceschini li accusa di aver fatto vincere “un inquisito”.
Ora, francamente io credo che dare la colpa a Grillo di non essersi alleato con il centrosinistra in nome dell’antiberlusconismo sia un grave errore politico. Intanto perché è davvero singolare pensare che Grillo e il suo movimento che interpreta pienamente e coerentemente l’antipolitica italiana possa essere suscettibile di un’alleanza di governo, anche a livello locale.
Pensare a Grillo come l’ennesimo partito o movimento del centrosinistra da aggregare nel “Fronte popolare anti-Berlusconi” è la rappresentazione del limite profondo che ancora pervade la strategia delle alleanze di governo del PD. Primo perché Berlusconi, nonostante le fiducie, non è eterno e secondo perché un’alleanza siffatta, pur vincente, non sarebbe in grado di governare (l’esperienza dell’Unione sta ancora lì, tutta, a ricordarci il limite di quella politica e che ci spinse, giustamente, a dare vita al PD).
La strutturazione del Centrosinistra di Vasto, PD+IDV+SEL non è sufficiente non solo numericamente, ma politicamente.
Tenere insieme chi propone il ritorno alla legge Reale dopo i fatti di Roma con chi fino a ieri dichiarava che Carlo Giuliani era un eroe è un’operazione che non ha la minima credibilità e quando si andrà a votare non potrà non emergere e anche se si vincesse non potrebbe non pesare.
Di Pietro, che qui ha eletto il suo “Trota” consigliere regionale è un populista che in qualunque democrazia “normale” troverebbe la sua naturale collocazione nella destra, magari in quella cosiddetta “sociale” che nel Parlamento europeo raggruppa gli esponenti di Jean Marie Le Pen o i post-falangisti spagnoli.
Un’altra contraddizione è costituita da Vendola e da SEL, che si configura come una riedizione, neppure tanto nuova, del PRC bertinottiano. La notizia riportata oggi dal Corriere della Sera secondo la quale SEL avrebbe mediato con il “movimento” per un certo tipo di corteo in cambio di candidature tipo quelle che portarono i no global Caruso e Agnoletto nelle tanto bistrattate ma allo stesso tempo tanto spasmodicamente cercate istituzioni “borghesi”, se vera, rileva una difficoltà di fondo per Vendola di staccarsi da un retaggio politico caratterizzato da un antagonismo marginale e comunque assolutamente incompatibile con il profilo e la funzione di una sinistra moderna che si candida addirittura a guidare un grande Paese europeo come l’Italia.
Se poi guardiamo ai risultati delle liste balza subito agli occhi la buona affermazione dei socialisti, che passano dal 3 al 5 % (superando i grillini che come liste arrivano appena al 3 % e non conquistano neppure un seggio), il 9 % del PD (pochino) e l’altrettanto deludente risultato di Di Pietro (8,37%), che nella sua regione, con il figlio candidato perde in voti (quasi 2000) e percentuale. SEL e Rifondazione Comunista insieme superano di poco il 6%. Nell’altro campo l’UDEUR oggi alleata con il centrodestra e l’UDC più altre formazioni di centro superano abbondantemente il 15 % senza contare alcune civiche riferibili più o meno al Terzo Polo.
Le indicazioni elettorali sono quindi assai chiare e dovrebbero consolidare una strategie delle alleanze del PD diversa, in cui inclusioni ed autoesclusioni siano fatte sulla politica e non sul richiamo ad un frontismo parolaio e massimalista. Pensare che la questione si possa risolvere includendo un altro parolaio e massimalista a quelli che già affollano l’attuale centrosinistra non solo è sbagliato ma criminale.
Stiamo attenti che la fine di Berlusconi non trascini con sé anche questo centrosinistra.
La fine del lungo ciclo di governo di Berlusconi sembra essere ormai giunta. Avviene nel peggiore dei modi per il Cavaliere, assediato da inchieste giudiziarie, da gossip velenosi, dal ludibrio internazionale.
Al di là del fatto se riuscirà a mantenere una maggioranza parlamentare come gli è riuscito finora è del tutto evidente che la sua capacità di parlare al cuore ed alla pancia degli italiani, con quel mix di populismo e di sovversivismo dall’alto che ne ha contraddistinto la sua presenza in oltre tre lustri di vita politica italiana, è ormai esaurita.
Il leader è vecchio, stanco, persino un po’ patetico nel suo disperato tentativo di mostrarsi giovane e simpatico. L’assedio delle procure è indiscutibile, così come l’accanimento dell’ormai la quasi totalità dei media e dei cosiddetti “grandi poteri” (che pure, in fase alterne, lo avevano sostenuto), ma il suo tradizionale vittimismo che pure era riuscito a fargli catalizzare la maggioranza dei consensi elettorali, non regge più.
Gli italiani più che il discorso moralistico della miriade di indignati da salotto che affollano i talk show e le colonne dei giornali si sono finalmente convinti che il vecchio Silvio non è un uomo di Stato, non è capace di governare e di dare risposte ai problemi urgenti di un Paese che rischia di affondare nel gorgo di una crisi generale che in Italia è però aggravata proprio dalla assoluta inadeguatezza delle sue classi dirigenti. Se erano disposti a perdonargli tutto, anche le sue stravaganze e la sua irrequietezza sessuale (ma quando mai questa ha contato qualcosa nella cattolica e gesuitica Italia ?), non sono disponibili a perdonargli la sua inconsistenza politica, la sua assoluta incapacità di governare un Paese complesso avviato sulla strada di un inesorabile declino.
Nel centrodestra una partita si è aperta per la successione. Bisognerà vedere se questa sarà cruenta e lascerà morti e feriti oppure sarà politicamente guidata come l’elezione di Alfano sembra voler presagire. Se Berlusconi non fosse Berlusconi molto probabilmente un nuovo governo di centrodestra sarebbe già stato varato con una nuova leadership e una nuova composizione di coalizione. E’ la presenza di Berlusconi che impedisce la formazione di un nuovo governo a guida PDL con il Terzo Polo e Casini dentro. Allo stesso modo è la presenza di Bossi ad impedire, almeno finora, che una nuova leadership si affermi nella Lega.
Il futuro di quel campo, e se ne sono accorti soprattutto quelli che lo occupano, sta proprio nella possibilità che questo nuovo assetto del centrodestra finalmente si affermi, con buona pace degli antiberlusconiani di professione.
In questo senso io credo che non sia scontato che il dopo Berlusconi sarà di centrosinistra. Perché il centrosinistra attuale, al di là degli sforzi pure generosi di Bersani, è completamente ritagliato sull’antiberlusconismo.
Un’alleanza classica (PD, IDV e SEL) con il terzo polo autonomizzato, oggi vincerebbe le elezioni solo se il leader dell’altro schieramento (PDL e Lega) resta Berlusconi. Un altro leader nel centrodestra renderebbe questa coalizione attrattiva per le forze centriste già in questo parlamento, figuriamoci in un momento elettorale. Del resto come leggere gli aperti tentativi di varo di un governo “tecnico-tecnocratico” sponsorizzati da Confindustra e Marchionne che vorrebbero alla guida un Montezemolo o un Monti ?
Il problema per il Centrosinistra, dunque, è uscire da questo imbuto e trovare un nuovo assetto politico e programmatico che non può che essere riformista e modernizzatore.
Nell’opposizione vasta che si è coagulata contro il premier non c’è, infatti, solo il voto tradizionale della sinistra, ma anche quello di ampi settori moderati che sono delusi da Berlusconi ma che continuano a non amare la sinistra per come oggi si configura.
Senza Berlusconi lo schema di alleanze attuale attorno al PD non regge né politicamente né programmaticamente, inutile farsi illusioni. Non regge anche perché la sua leadership allargata tutto appare tranne che portatrice di innovazione e di modernizzazione. Né il problema si risolve soltanto allargando, cosa assai difficile in verità, la coalizione all’UDC, nel senso che ne verrebbe fuori una maggioranza numerica ma non politica come è avvenuto con l’Unione di Prodi.
In questo quadro il PD deve compiere uno sforzo ancora maggiore di adeguamento del suo profilo riformista e attorno a questo costruire le alleanze, atteso che l’antiberlusconismo non reggerà più, anche se Berlusconi dovesse resistere fino al 2013 e guidare la coalizione alle elezioni.
Cosa intendo per questo adeguamento ? Intendo soprattutto la necessità di fissare alcuni punti fermi: riforma fiscale, riforma del welfare, riforma della giustizia, della scuola e dell’università, riforma istituzionale (a cominciare dalla legge elettorale), nuova politica per il Mezzogiorno. Su ciascuno di questi argomenti, purtroppo, lo schieramento nel quale oggi ci collochiamo è, purtroppo, diviso. Il PD deve chiamare tutti, alleati attuali e potenziali, forze economiche e sociali, il Paese intero nella sua articolazione più ampia e complessa, ad un confronto stringente e non ideologico su questi temi.
Solo così, credibilmente agli occhi del Paese, potrà candidarsi a succedere non solo a Berlusconi, ma al centrodestra e al sistema di interessi che esso, nonostante lo stesso Berlusconi, continua a rappresentare.
Altrimenti la fine di Berlusconi trascinerà con sé anche il centrosinistra.