legge elettorale
I veri riformisti
I parlamentari 5 stelle sono saliti sul tetto di Montecitorio per protestare contro le possibili riforme costituzionali. Singolare che chi ha preso i voti per cambiare tutto oggi protesti per non cambiare niente, neanche la legge elettorale. In realtà sono veri riformisti: dal momento che il Parlamento fa acqua da tutte le parti sono andati ad aggiustare le grondaie.
Il buon senso sulla legge elettorale…
Se fossimo un partito serio avremmo già detto sì nella passata legislatura ad una proposta di riforma della legge elettorale che prevedesse le preferenze, con la significativa correzione della doppia preferenza di genere.
Se fossimo un partito serio avremmo, ad esempio, fatto un minimo di analisi del voto confrontando innanzitutto le regionali con le politiche (si votò nello stesso giorno, ricordate ?) e queste ancora con le amministrative di un mese fa, scoprendo, ad esempio, che laddove si vota con le preferenze il PD prende più voti e forze come quella di Grillo si riducono all’inconsistenza.
D’altro canto voi tutti li votereste in una lista gente come Crimi e Lombardi e almeno l’80% dei candidati grillini messi lì apposta perché anonimi e votati a stare zitti tanto parla sempre il “guru” ?
O forse Berlusconi avrebbe potuto avere quella rimonta che poi ha avuto, se il carattere populistico della sua proposta politica fosse stato depotenziato sul territorio da una miriade di candidati forti e radicati ?
Ma il voto con le preferenze ha anche un altro vantaggio: rende necessari i partiti che abbiano un minimo di organizzazione sul territorio, un minimo di radicamento, con gruppi dirigenti locali che nelle scelte hanno la possibilità di contare e pesare.
Ciò avviene in tutte le democrazie del mondo.
Il PD e l’Italia hanno bisogno come il pane di una democrazia che si nutra dal basso, in cui le classi dirigenti si misurano nel fuoco delle dinamiche politiche locali e siano poi in grado di ridurle a sintesi nelle istituzioni nazionali. Se invece i gruppi dirigenti sono selezionati dall’alto sulla base della fedeltà a questo o a quel dirigente, quale politica si potrà mai condurre rispetto ad interessi più ampi e anche più alti del Paese ?
Questi obiettivi, intendiamoci, sono raggiungibili anche con i collegi uninominali a condizione che le candidature siano anch’esse selezionate dai territori in un rapporto virtuoso con il centro di direzione politica nazionale, senza trascurare, anche qui, la necessità di costruire meccanismi che garantiscano la rappresentanza di genere rifuggendo dalle stupidaggini delle cosiddette “quote rosa”.
La storia delle candidature dei collegi uninominali del “mattarellum” purtroppo, questa impostazione, per chi non ha memoria corta, troppo spesso non l’ha rispettata.
Ma questo ragionamento di semplice buon senso non alberga in tanti e troppi dirigenti del PD, che con il “porcellum” si sono costruiti le filiere correntizie (e poi ci fanno le lezioni sui “capibastone”, sic !) con l’aggravante che sono correnti costruite senza neppure il consenso popolare.
Un ragionamento che fa il paio con gli interessi autoconservativi di tanti parlamentari senza voti (e spesso senza testa) che il porcellum lo difenderebbero fino alla morte, a prescindere da certe tirate propagandistiche.
Ora incombe la Consulta che dovrà pronunciarsi su una sentenza della Cassazione che ha detto quello che il buon senso ci diceva da tempo: non è democratica una legge che assegna un premio abnorme di maggioranza senza un minimo di soglia e dove i parlamentari non sono scelti dai cittadini ma da chi compila l’ordine delle liste.
Buon senso vorrebbe cambiare questa legge subito.
Buon senso vorrebbe che il PD non si opponesse alle preferenze per il semplice fatto che è un meccanismo che gli conviene.
Buon senso vorrebbe non aver paura della democrazia ma sostenerla sempre e comunque.
Ma di buon senso se ne vede in giro ?
LEGGE ELETTORALE, IL RE E’ NUDO !!!
La recente sentenza della Cassazione che ha rimandato alla Corte Costituzionale il famigerato “porcellum” è un pugno nell’occhio alla classe politica che questo sistema ha voluto o, pur opponendosi, nei fatti lo ha mantenuto in piedi col gioco del cerino.
Quanti, in questi anni, hanno guardato con sufficienza al problema, hanno ripercorso il vecchio leit motiv del benaltrismo, hanno moraleggiato demagogicamente con frasi del tipo “la gente non mangia pane e legge elettorale”, non possono più nascondere la testa sotto la sabbia.
Questa legge è stata, lo scrivevo pochi giorni fa, il vero golpe di questi anni.
Ha snaturato il rapporto tra elettori ed eletti, ha creato un Parlamento avulso dai territori e popolato da nominati con l’unica funzione di schiacciare pulsanti su ordine dei capi dei partiti, pena la non ricandidatura e quindi la non rielezione.
Ha immesso nelle forze politiche, a destra e a sinistra, il veleno del conformismo al leader di schieramento, di partito, di corrente.
Ha scatenato sui territori lotte di potere tutte interne e autoreferenziali per conquistare posizioni “utili”, senza alcun rapporto con i cittadini, gli unici a poter decidere col proprio voto vincitori e vinti di una competizione elettorale.
Ha rimesso in circolo vecchie concezioni elitiste e giacobine, secondo le quali il voto popolare va sempre visto con diffidenza e meglio rimane la scelta “illuminata” dall’alto.
Ha degenerato, il termine non vi sembri eccessivo, la funzione stessa del Parlamento come sede della rappresentanza degli interessi diffusi del Paese e, con l’abnorme premio di maggioranza, ha chiuso nel recinto della partigianeria politica contingente le stesse funzioni di garanzia che la Costituzione aveva voluto, appunto, espressione di maggioranze larghe e condivise, perché il governo è di chi vince ma le istituzioni sono di tutti.
Con ogni probabilità, come dicono tutti i costituzionalisti, la Corte potrebbe addirittura provvedere a “cassare” le parti del “porcellum” rilevate come incostituzionali, mettendo il Paese di fronte ad un sistema elettorale puro che rappresenterebbe la pietra tombale sull’unica cosa buona prodotta dalla cosiddetta Seconda Repubblica, il bipolarismo.
Il tempo del “tirare a campare per non tirare le cuoia” è scaduto.
Si intervenga e si faccia una legge che garantisca governabilità, rappresentanza e diritto di scelta degli elettori del proprio deputato nel e del proprio territorio.
Ne va della democrazia italiana che, scusate, è importante quanto il pane e il companatico.
IL VERO “GOLPE” SAREBBE MANTENERE IN VITA IL “PORCELLUM”
Questa sera, insieme ad altri dirigenti e militanti del PD e del centrosinistra sarò a Lamezia Terme all’iniziativa convocata dal Presidente della Provincia di Cosenza Mario Oliverio e dal Sindaco di Crotone Giuseppe Vallone per chiedere l’abolizione del “porcellum”.
La mobilitazione sta riscuotendo in queste ore numerose adesioni tra cui quella della parlamentare del PD Enza Bruno Bossio che giustamente ha chiesto che il PD si impegni a modificare subito la legge elettorale che ci ha consegnato la situazione di ingovernabilità in cui ci troviamo.
Tornare a votare con il “porcellum”, dice Enza Bruno Bossio, sarebbe doloso, e significherebbe, con ogni probabilità, ritrovarsi nella stessa situazione che ci ha costretto ad un governo di necessità.
Chi mi segue sa che sulla questione della legge elettorale più volte dalla mia modesta postazione sono intervenuto, aderendo anche ad iniziative referendarie che, purtroppo, non hanno avuto alcun esito.
Diciamoci la verità, alcuni aspetti di questa legge stanno bene a tutti, PD compreso, che pure ha cercato (e gliene va dato atto) di stemperarne uno degli aspetti più odiosi ( le liste bloccate) con le primarie.
In particolare la legge Calderoli varata con un colpo di mano sul finire del 2005 da un centrodestra che voleva limitare la vittoria elettorale di Prodi, presenta parecchi elementi discutibili, non ultimo quello del premio di maggioranza alla Camera che viene assegnato alla prima forza o coalizione, senza alcun limite, tanto da fa esprimere più volte la Corte Costituzionale nel senso di una correzione.
Paradossalmente, se in Italia si verificasse il caso di una frammentazione ancora più spinta di quella che abbiamo oggi, per cui ci fossero 5 forze che prendono ciascuna il 20%, l’abnorme premio di maggioranza del 55% dei seggi verrebbe assegnata alla forza che ha preso il 20% più un voto, e il restante 80% sarebbe costretto a spartirsi il restante 45% dei seggi. Una aberrazione democratica, senza contare che, per quanto riguarda il Senato, dove la maggioranza è assegnata su scala regionale, nessuna forza, come è avvenuto nelle ultime elezioni dove l’elettorato si è diviso sostanzialmente in tre parti, otterrebbe la maggioranza dei seggi.
Un vero e proprio pateracchio se si considera che persino la famigerata legge Acerbo varata da Mussolini per consolidare il proprio potere prevedeva un limite minimo per accedere al premio di maggioranza del 25% su scala nazionale.
Ma il “porcellum” è odioso soprattutto per le liste bloccate. Gli eletti vengono determinati sulla base della percentuale conseguita dalla lista in ragione del loro posizionamento. La lista, d’altro canto, non appare sulla scheda così che all’elettore viene data solo la facoltà di scegliere il partito e la coalizione ma non il proprio rappresentante.
Non si tratta di cosa di poco conto: in Italia non era mai successo se si esclude il periodo fascista quando i deputati venivano eletti con un plebiscito nel quale agli elettori veniva chiesto di approvare con un Si o bocciare con un No il listone di deputati predisposto dal Gran Consiglio del Fascismo. O con la preferenza all’interno di una lista o con un voto sul candidato del collegio uninominale le diverse leggi elettorali del nostro Paese, dal 1861 ad oggi, avevano sempre garantito quello stretto legame di fiducia tra elettore, eletto e territorio, che è poi l’essenza stessa della democrazia.
Si, perché il “porcellum” ha prodotto come effetto soprattutto questo: la frattura tra eletti ed elettori, con i primi con rispondono neppure al territorio che li esprime (la possibilità di candidature multiple in diverse circoscrizioni è un altro aspetto di questo problema) ma solo alle ristrette elite dei partiti romani che li hanno indicati in posizione utile in lista e i secondi che non possono esercitare alcun controllo su di essi, sia pure per richiamarli semplicemente ai loro doveri rispetto al territorio che li ha portati in Parlamento.
Questa legge elettorale ha prodotto uno snaturamento del principio democratico che vuole il parlamentare come espressione della volontà della nazione, in nome della quale esercita il proprio mandato senza alcun vincolo, come dice la nostra Costituzione.
Chi l’ha varata e chi, al di là della propaganda, ne ha consentito la sopravvivenza, per meri calcoli di bottega come maldestri apprendisti stregoni hanno prodotto una ferita drammatica al nostro sistema rappresentativo i cui effetti si sono dispiegati pienamente dopo le ultime elezioni.
Non voglio esagerare ma il vero “golpe” di cui tanto si parla a sproposito si è verificato consentendo a questa legge di liberare i suoi effetti nefasti sul nostro sistema.
Cambiarla è dunque un dovere democratico da cui dipende il futuro stesso delle nostre istituzioni.
GOVERNO LETTA: FARE I CONTI CON LA REALTA’…
Non voglio valutare questo governo dalla sua composizione. Alcune scelte mi piacciono altre meno. Resto convinto che se si fosse perseguita la strada del governo che la realtà delle cose ci imponeva di percorrere sin dall’inizio non solo non avremmo perso tutto questo tempo, ma il PD forse starebbe meglio e Bersani sarebbe oggi Presidente del Consiglio.
Sin da subito, infatti, era chiaro a me, che non sono un premio Nobel, che:
a) non si poteva tornare a votare perché, con questa legge elettorale, avremmo solo riprodotto l’instabilità;
b) che, quindi, bisognava fare un governo che mettesse mano all’emergenza economica e istituzionale del Paese;
c) che i grillini erano e restano indisponibili ad ogni assunzione di responsabilità di governo perché interessati, per loro espressa dichiarazione, alla destrutturazione del sistema rappresentativo.
Quindi, quello varato da Enrico Letta è l’unico governo possibile in questa situazione.
Si poteva fare meglio ? Credo di sì.
E’ il governo che volevo ? Certamente no.
Ma bisogna fare i conti con la realtà. La realtà che ci ha consegnato il voto del 24 e del 25 febbraio.
Il resto sono chiacchiere e di chiacchiere non se ne sente davvero più alcun bisogno.
BERLUSCONI E GRILLO COSTITUZIONALISTI DA BAR DELLO SPORT…
Negli ultimi vent’anni solo due persone hanno messo in discussione l’art. 67 della Costituzione nel principio del non vincolo di mandato per i parlamentari: il “liberale” Berlusconi e il “mandatuttiafa…” Beppe Grillo.
L’argomento usato contro la libertà di mandato dei parlamentari è la constatazione che questo principio è spesso servito negli ultimi anni per coprire trasformismi e transumanze politiche.
Bisognerebbe ricordare a tanti improvvisati costituzionalisti da bar dello sport che il rischio del trasformismo era ben presente ai nostri padri costituenti e, tuttavia, decisero di mantenere la libertà da vincoli di mandato per una semplice ragione: gli eletti, in quanto tali (e io dico, nonostante il Porcellum, che è stato concepito anche contro l’art. 67) rispondono al popolo intero, non solo a quelli che li hanno votati.
Ne consegue che anche il giudizio sull’affidabilità politica del singolo eletto è demandato al popolo sovrano che può o non può ridargli il mandato.
E’ affidato dunque al senso di responsabilità dell’eletto l’interpretazione del mandato ricevuto dal popolo sovrano e non ai partiti e tantomeno ai loro leader.
Insomma, l’esistenza del potenziale tradimento non giustifica l’arresto preventivo: è come se si affermasse che, dal momento che ci sono i falsi invalidi bisogna abolire le pensioni di invalidità.