Archivi del mese: ottobre 2011
Per un pugno di voti il Molise rimane al centrodestra. Per il PD resta aperto il problema delle alleanze.
In Molise con il 46,94 % il candidato del centrodestra Angelo Michele Iorio si conferma per la terza volta alla guida della piccola regione seguito con il 46,15 % dal candidato del centrosinistra Paolo Di Laura Frattura. Uno scarto in termini assoluti di appena 1500 voti.
Dita puntate su Grillo che con il suo 5,6% avrebbe impedito al centrosinistra di vincere. Franceschini li accusa di aver fatto vincere “un inquisito”.
Ora, francamente io credo che dare la colpa a Grillo di non essersi alleato con il centrosinistra in nome dell’antiberlusconismo sia un grave errore politico. Intanto perché è davvero singolare pensare che Grillo e il suo movimento che interpreta pienamente e coerentemente l’antipolitica italiana possa essere suscettibile di un’alleanza di governo, anche a livello locale.
Pensare a Grillo come l’ennesimo partito o movimento del centrosinistra da aggregare nel “Fronte popolare anti-Berlusconi” è la rappresentazione del limite profondo che ancora pervade la strategia delle alleanze di governo del PD. Primo perché Berlusconi, nonostante le fiducie, non è eterno e secondo perché un’alleanza siffatta, pur vincente, non sarebbe in grado di governare (l’esperienza dell’Unione sta ancora lì, tutta, a ricordarci il limite di quella politica e che ci spinse, giustamente, a dare vita al PD).
La strutturazione del Centrosinistra di Vasto, PD+IDV+SEL non è sufficiente non solo numericamente, ma politicamente.
Tenere insieme chi propone il ritorno alla legge Reale dopo i fatti di Roma con chi fino a ieri dichiarava che Carlo Giuliani era un eroe è un’operazione che non ha la minima credibilità e quando si andrà a votare non potrà non emergere e anche se si vincesse non potrebbe non pesare.
Di Pietro, che qui ha eletto il suo “Trota” consigliere regionale è un populista che in qualunque democrazia “normale” troverebbe la sua naturale collocazione nella destra, magari in quella cosiddetta “sociale” che nel Parlamento europeo raggruppa gli esponenti di Jean Marie Le Pen o i post-falangisti spagnoli.
Un’altra contraddizione è costituita da Vendola e da SEL, che si configura come una riedizione, neppure tanto nuova, del PRC bertinottiano. La notizia riportata oggi dal Corriere della Sera secondo la quale SEL avrebbe mediato con il “movimento” per un certo tipo di corteo in cambio di candidature tipo quelle che portarono i no global Caruso e Agnoletto nelle tanto bistrattate ma allo stesso tempo tanto spasmodicamente cercate istituzioni “borghesi”, se vera, rileva una difficoltà di fondo per Vendola di staccarsi da un retaggio politico caratterizzato da un antagonismo marginale e comunque assolutamente incompatibile con il profilo e la funzione di una sinistra moderna che si candida addirittura a guidare un grande Paese europeo come l’Italia.
Se poi guardiamo ai risultati delle liste balza subito agli occhi la buona affermazione dei socialisti, che passano dal 3 al 5 % (superando i grillini che come liste arrivano appena al 3 % e non conquistano neppure un seggio), il 9 % del PD (pochino) e l’altrettanto deludente risultato di Di Pietro (8,37%), che nella sua regione, con il figlio candidato perde in voti (quasi 2000) e percentuale. SEL e Rifondazione Comunista insieme superano di poco il 6%. Nell’altro campo l’UDEUR oggi alleata con il centrodestra e l’UDC più altre formazioni di centro superano abbondantemente il 15 % senza contare alcune civiche riferibili più o meno al Terzo Polo.
Le indicazioni elettorali sono quindi assai chiare e dovrebbero consolidare una strategie delle alleanze del PD diversa, in cui inclusioni ed autoesclusioni siano fatte sulla politica e non sul richiamo ad un frontismo parolaio e massimalista. Pensare che la questione si possa risolvere includendo un altro parolaio e massimalista a quelli che già affollano l’attuale centrosinistra non solo è sbagliato ma criminale.
Il diritto all’odio non esiste…
Dopo l’episodio di Milano con il lancio della statuetta in faccia a Berlusconi nel 2009, Marco Travaglio scrisse sul blog di Beppe Grillo un articolo con il quale parlava di “diritto all’odio”. Il giornalista di destra diventato icona di certa sinistra forcaiola scriveva: “Chi l’ha detto che non posso odiare un politico e augurarmi che il Creatore se lo porti via al più presto? Un politico si vota, non si ama. In politica non esiste l’amore, non c’è sentimento”. E ancora. «Non vedo per quale motivo – continuava l’ex giornalista de “Il Borghese” – qualcuno non possa odiare Berlusconi. L’importante è che si limiti ad odiarlo senza fargli nulla di male”.
Ora io credo che questa affermazione sia rivelatrice di un vero e proprio veleno che si è diffuso nella politica e nella società italiana, in una parte delle sue classi dirigenti, della cultura e della cosiddetta “intellighenzia” radical italiana, un veleno che va combattuto con decisione e senza tentennamenti.
La realtà sociale del Paese è infatti drammatica. Interi pezzi di società sono sospinti sotto la soglia della povertà, diritti che si credevano acquisiti vengono di giorno in giorno negati e fatti a pezzi.
In questo contesto la politica e le classi dirigenti nel loro complesso devono assumersi la responsabilità di indicare soluzioni non di soffiare sul fuoco o versarvi benzina.
Non esiste il “diritto all’odio” perché l’odio è la negazione di ogni diritto. Chi fomenta l’odio, anche quando non si rende colpevole di violenze, e soprattutto se lo fa dall’alto della sua condizione di “privilegiato” da decine di migliaia di euro al mese (spesso molto di più dei tanti bistrattati politici) che gioca sulla disperazione di tanti, diventa colpevole indiretto delle violenze che da quell’odio inevitabilmente si generano.
In Italia è già successo, purtroppo, e i rischi che tutto si ripeta ci sono tutti come dimostrano i fatti di Roma. Non si tratta di ripercorrere la categoria dei “cattivi maestri”, di invocare censure, ma di avviare una campagna politica e culturale contro chi irresponsabilmente si fa promotore di una visione manichea e distruttiva della politica dal tepore dei salotti o per il gusto della tirata demagogica nei talk show televisivi, una visione che distrugge la democrazia nei suoi stessi principi fondativi.
Io trovo significativo che i manifestanti pacifici sabato abbiano cercato di espellere quelli violenti dal corteo. E’ un fatto importante che, a mia memoria, non era mai successo. Segno che gli anticorpi ci sono e vanno incoraggiati e moltiplicati. Avendo il coraggio di contestare a gente come Travaglio e a tanti altri come lui le innumerevoli e irresponsabili parole che assai spesso propagano a piene mani.
Perché nessun dissenso, per quanto profondo e radicale esso sia, può giustificare l’odio politico. Perché la democrazia è nata proprio per regolare i conflitti e bandire l’odio dai rapporti civili e politici e non il contrario, altro che balle.
Piperno dalla “geometrica potenza” a “un evento dalla bellezza sublime”.
Questa mattina, sulle pagine di un giornale locale è apparso un articolo del prof. Franco Piperno in vista del decimo anniversario della strage delle Torri Gemelle a New York.
Con i toni lirici di cui è capace ha teorizzato lungamente sul fatto che l’11 settembre 2001 è stato “un evento dalla bellezza sublime”, definendo i terroristi “intellettuali arabi” che hanno agito contro la “Grande Babilonia”.
Per Piperno, dunque, “l’undici di settembre, nel decennale di quell’evento dalla bellezza sublime, chineremmo, se solo le avessimo, le nostre bandiere per pietà verso gli americani morti per caso e ad onore degli intellettuali arabi – a noi, per altro ostili, ma certo umani, troppo umani – che hanno spappolato gli aerei catturati contro le Torri Gemelle, condensando, in quel gesto collettivo, la volontà generale delle moltitudini arabe”.
Il prof. di Arcavacata non è nuovo a certe uscite: ricordiamo ancora quando, appresa la notizia del rapimento di Aldo Moro e della strage della sua scorta, parlò della “geometrica potenza” di quell’azione.
Sarebbe semplice, in questa sede, contestare a Piperno che è davvero azzardato sostenere che gli “intellettuali” di Bin Laden interpretino davvero “la volontà generale delle moltitudini arabe” proprio nel momento in cui, in quasi tutti i Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente le stesse moltitudini scendono in piazza per rivendicare la tanto “occidentale” democrazia contro regimi dittatoriali e tirannici, peraltro per lungo tempo buoni amici della “Grande Babilonia”.
Sarebbe altrettanto semplice dire che non ci può essere alcuna comprensione né tantomeno empatia con persone che, in nome di una ideologia religiosa peraltro distorta, non esitano a massacrare innocenti e come questo tragico fatto non sia dissimile dalle stragi perpetrate da dittature rosse e nere nei decenni trascorsi.
Allo stesso modo sarebbe facile contestare l’assurdo accostamento dell’11 settembre alla “decapitazione di Luigi Capeto” all’”assalto bolscevico del Palazzo d’Inverno”, alla “Sorbona occupata nel ‘68” , alla “caduta del Muro di Berlino”. Sarebbe facile, ma assolutamente inutile. Così come sarebbe inutile ricordare che Piperno è stato assessore della Giunta nel periodo in cui Giacomo Mancini dedicò una delle piazze principali di Cosenza proprio all’XI settembre e che difficilmente in Egitto, Libia o Iraq avrebbe potuto scrivere e dire le cose che scrive e dice, che gli USA dove viene eletto Obama, a dispetto di tutti gli errori ed orrori della sua storia, sono comunque da preferire a regimi in cui si reprime ogni dissenso, si costringono le donne ad una condizione di schiavitù sottoponendole a terribili mutilazioni, in cui alcune frange integraliste non esitano ad armare giovani con il tritolo per uccidere donne e bambini, ecc..
Piperno è così, da sempre, e tuttavia non si possono lasciare passare le sue affermazioni sotto silenzio. Non contestargliele o sottovalutarle sarebbe un errore forse ancora più grande. Non si può non ribadire che l’11 settembre, a dispetto dei tanti mali di cui USA e Occidente sono spesso portatori, è stato un evento tragico, l’ennesimo esempio di come il cammino verso pace, giustizia, democrazia sia per l’umanità ancora arduo e difficile. Che proprio quella assurda strage chiama l’Occidente a maggiori responsabilità, a perseguire fino in fondo la lotta per l’affermazione dei valori dell’uomo che presero l’avvio non tanto dalla decapitazione di Luigi Capeto ma dalla presa della Bastiglia. Che questa lotta è ancora aperta, che certamente avrà mille contraddizioni delle quali qui, in questo Occidente così complesso, comunque si può discutere e battersi per correggerle (e non mi pare poco). Una lotta che deve continuare perché non c’è alternativa alla democrazia, per quanto imperfetta essa possa essere.
L’11 settembre non ha portato più progresso, ma solo più paura, più diffidenza, più conflitto, rendendo il mondo più insicuro e scatenando nuove guerre, nuove tragedie. Ecco perché non ci vedo nulla di bello e di sublime.