Mogol, le ideologie, le emozioni, il Nobel.
Oggi, a margine di un incontro con i giovani a Cetraro, ho avuto l’occasione di conoscere quello che considero uno dei più grandi poeti italiani degli ultimi decenni, Giulio Rapetti in arte Mogol.
Abbiamo parlato dell’iniziativa che sta portando avanti da alcuni anni di formazione rivolta ai giovani e ha detto alcune cose che condivido molto: “solo il genio può essere un dono, il talento va coltivato” e che “i giovani hanno il dovere di essere migliori di chi li ha preceduti”.
Infine mi ha raccontato, divertito, una storia peraltro nota, di quando, negli anni ’70, non riusciva a staccarsi di dosso l’etichetta “di destra” che avevano affibbiato a lui e a Battisti.
“Avevi voglia a dire che le braccia tese o alzate non erano saluti romani ma soltanto lo slancio di un uomo che alza le mani verso il cielo in segno d’amore. Fascista a me, che il mio primo voto l’ho dato ai socialisti. Niente, una storia che non riuscivi a toglierti di dosso, e solo perché avevamo scelto di scrivere e cantare storie d’amore”.
Erano altri tempi quelli, ma la cattiva abitudine di catalogare persone e fatti secondo schemi pregiudiziali ed ideologici non è affatto passata.
Per fortuna la gente, alla fine, è sempre più avanti di certi schemi e sa riconoscere la buona musica e la vera poesia.
Le canzoni scritte da Mogol continuano oggi a parlare a tanta gente perché sanno raccontare la vita, gli amori, le passioni di tanti, forse di tutti.
Del resto la poesia parla d’amore dai tempi di Saffo, passando per Catullo, Dante e Petrarca.
Perché il sogno di cambiare il mondo si può esprimere anche, semplicemente, aiutando le persone a riconoscere i propri sentimenti. “Tu chiamale, se vuoi, emozioni”.
PS: C’è la proposta di candidare Giulio Rapetti Mogol al Nobel. Io la condivido e la sostengo e spero di essere insieme a tanti altri. Perché questo Paese ha bisogno di riscoprire anche le radici profonde della sua cultura di cui la poesia d’amore è parte fondante.
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