Il coraggio di correggere le riforme.

Scuola

Correggere in meglio la Buona Scuola è possibile

Tiene banco in questo agosto stanco di politica e antipolitica la vicenda delle assunzioni degli insegnanti costretti ad accettare cattedre lontane anche centinaia di km da casa. E siccome al Sud erano molti gli insegnanti precari molti sono gli insegnanti del Sud assunti che saranno costretti ad andare ad insegnare al Nord. Nella maggioranza dei casi non si tratta di giovani di prima nomina ma di quarantenni e oltre, madri e padri di famiglia che avevamo già costruito un progetto di vita sulla base degli incarichi annuali nella propria regione e nella propria provincia, certamente precari, ma che comunque speravano, in attesa della tanto aspettata stabilizzazione, di consolidare. Ecco perché la stabilizzazione ma lontano da casa suscita proteste anche vivaci.

Si tratta, in maggioranza, di persone che comunque hanno fatto tanti sacrifici: alzarsi all’alba con qualsiasi tempo per raggiungere la scuola in auto condivise con i colleghi o con bus e treni che percorrono le strade spesso impervie del nostro Mezzogiorno per uno stipendio che non è granché non è certo il parametro di una vita comoda.

Ecco perché le ironie sconclusionate di qualcuno sono fuori luogo: le esigenze mutano con il passare degli anni: magari se la proposta di assunzione fosse giunta loro quando avevano 25 o 30 anni ed erano senza famiglia le proteste non ci sarebbero neanche state.

Del resto la gran parte dei colleghi oggi di ruolo ha avuto il percorso inverso: supplenti e precari a 25-30 anni a migliaia di km da casa, a 40 anni stabilizzati e vicino casa.
Parto da questa vicenda per invitare a riflettere sulle riforme che pur con le migliori intenzioni e facendo cose indubbiamente buone (in questo caso superare il precariato), non sempre creano consenso.
Com’è noto io sono del PD e anche se non ho votato Renzi al Congresso e alle primarie non mi auguro che il suo governo fallisca perché sarebbe il fallimento di tutto il PD e non solo della sua leadership. Sarebbe però ora che Renzi si rendesse conto che proprio la sua cosiddetta “Buona Scuola” rischia di essere il simbolo stesso delle difficoltà che uno sforzo riformista, sia pure per certi aspetti lodevole, incontra nel creare consenso.

La “Buona Scuola”, infatti, ha assunto centinaia di migliaia di nuovi insegnanti precari ma questi, in maggioranza, non sono contenti. Non solo: quelli già di ruolo non sono contenti perché le nuove regole della mobilità (in qualche misura corrette dal recente accordo tra sindacato e Miur) destano fortissime preoccupazioni. Sono scontenti, infine, altre decime di migliaia di insegnanti abilitati con altri percorsi rimasti esclusi dal piano assunzioni e il nuovo concorso non sembra che comunque riuscirà a coprire tutti gli organici disponibili in molte classi di concorso.

Può, mi chiedo e chiedo a Matteo Renzi, una riforma scontentare tutti coloro che poi concretamente dovranno applicarla ? I segnali di questo dissenso si sono manifestati anche nelle recenti amministrative come dimostrano autorevoli istituti di analisi dei flussi elettorali che certamente non saranno sfuggiti ai più.

Intendiamoci, noi insegnanti siamo una categoria difficile. Abbiamo i nostri limiti che non sono dissimili da quelli di tante altre categorie del pubblico impiego. Per decenni abbiamo accettato un lavoro meno pagato ed una tendenza alla omologazione al ribasso per cui l’insegnante ciuccio (e ce ne sono) prende lo stesso stipendio o di più se più anziano dell’insegnante bravo e dinamico.
Abbiamo accettato supinamente che il sacrosanto principio della difesa dell’istruzione pubblica si traducesse, nei fatti, in bassa qualità della stessa. Per questo abbiamo accettato la dittatura dei genitori iperprotettivi dei nostri tempi e lo svilimento del riconoscimento sociale della nostra professione, abbiamo accettato un sistema di reclutamento farraginoso e incongruente con decine di percorsi diversi, ci siamo inchinati al rito di graduatorie e punteggi basati su criteri rigidi e falsamente egualitari buoni forse per assumere un bidello non un maestro. Insomma non siamo mai stata una categoria che ha saputo costruire una piattaforma di lotta, come si diceva un tempo, che divenisse la base stessa di una riforma della istruzione pubblica in grado di porsi l’ambizione di rendere questo nostro Paese ad un tempo orgoglioso di sé e della sua storia e proteso all’innovazione e alla modernizzazione. Le nostre battaglie sono state quasi sempre legate a singole e limitate rivendicazioni, spesso corporative. Ci siamo uniti più per dire dei no che dei si e per difendere qualche piccola sicurezza che ritenevamo di avere.

Il mio giudizio sulla Buona Scuola è assai articolato e critico su molti aspetti ma non posso non riconoscere che un tentativo di superare molti di quei difetti che elencavo prima lo fa: in particolare punta molto sulla responsabilizzazione delle varie componenti del mondo della scuola in una concezione realmente avanzata dell’autonomia. Non ha però, ed è questo il suo maggiore limite, un progetto culturale chiaro e di ampio respiro come dovrebbero avere le vere riforme e forse proprio per questo riscuote poco consenso. Se si chiede ad una categoria di assumersi responsabilità nuove e di fare anche.qualche sacrificio bisogna indicare con chiarezza la meta che si vuole raggiungere, il progetto che si vuole realizzare. Questa è l’essenza delle riforme, quelle che cambiano concretamente e in meglio il futuro delle generazioni seguenti. La Buona Scuola ha inteso invece mettere mano al motore della macchina senza aver chiaro dove portarla e per di più lo ha fatto a martellate invece di usare, come diceva Peppe Fioroni, ministro dell’istruzione forse non sufficientemente valorizzato, con il cacciavite.

Suggerisco quindi di riprenderlo in mano quel cacciavite e avere il coraggio di correggere le cose che stanno creando più problemi. Si riveda questa storia complicata degli ambiti territoriali e della mobilità proseguendo sulla strada che è stata avviata con l’accordo degli scorsi mesi. Si affidi la valutazione del merito dei docenti ad ispettori ministeriali e si superi questa cosa pletorica dei comitati di valutazione che dubito potranno funzionare. Ma soprattutto si riveda il piano degli organici di fatto per capire come evitare l’esodo di migliaia di docenti e si possa dare una risposta a coloro che sono rimasti esclusi sia pure abilitati dal momento che, come appare assai probabile, il concorso non darà i risultati di assunzioni sperati. Si chiuda così definitivamente la partita del precariato storico degli insegnanti e si riparta da concorsi che si auspica siano più efficaci nella valutazione dei candidati di quelli che abbiamo visto,finora (meno quizzoni più cultura), magari connessi ad un tirocinio obbligatorio nelle scuole che cominci sin dagli ultimi anni di università.
Ma soprattutto tutti, Governo, sindacati, insegnanti, famiglie e studenti si pongano la domanda fondamentale: cosa vogliamo che la scuola faccia per la società italiana dei prossimi decenni, quale modello formativo ispirato alla democrazia costituzionale si vuole adottare.

Solo così questo Governo potrà essere ricordato come quello che ha cominciato a modernizzare davvero questo Paese in uno dei suoi settori nevralgici e non come quello che ha deportato gli insegnanti.

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