Giustizia
Ciao grande Giorgio…
Giorgio Napolitano è stato un padre di questa nostra Repubblica. Un uomo complesso, serio, attaccato alle istituzioni che ha onorato in tutta la sua vita. L’ultimo grande politico nel senso più vero e più ampio del termine. Per questo non piaceva agli antipolitici, ai populisti e ai giustizialisti che popolano l’Italia da troppo tempo. Per questo piaceva a me tra tanti. È stato un grande statista. E ci lascia più poveri oggi. Un forte abbraccio grande Giorgio…
Al referendum del 15 giugno voto cinque Si
Il garantismo è una cosa seria…
Il garantismo è una cosa seria. Il garantismo non è ricerca di impunità ma difesa dei diritti. Cesare Battisti deve scontare la sua pena secondo i principi dettati dalla nostra Costituzione all’art. 27. La giustizia non è vendetta, è giustizia. Sempre. Il garantismo o è per tutti o non è. Il garantismo con lo sterzo nega sé stesso e diventa il suo contrario. Per essere garantisti ci vuole il coraggio di guardare al merito delle questioni non allo specchio deformato delle ideologie, avendo il coraggio di difendere i diritti anche del proprio peggior nemico. Grazie Enza Bruno Bossio e Adriano D’Amico.
Andrà tutto bene…
A proposito di questi giorni…
Nel dibattito tra garantismo e giustizialismo giova ricordare queste parole, pronunciate da Martin Niemöller, un pastore protestante tedesco per denunciare il silenzio degli intellettuali tedeschi di fronte al nazismo.
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
Stato di diritto non Stato “etico”
Lo Stato democratico ha il dovere non solo di punire ma anche di recuperare alla vita civile i condannati. Scrissero questa norma della Costituzione persone che furono perseguitate e incarcerate ingiustamente da uno Stato che si inventò i Tribunali Speciali e dichiarava che la giustizia doveva rispondere ad un superiore principio “etico” che identificavano nella ideologia fascista. I padri costituenti ci ricordano che nello Stato democratico la giustizia deve perseguire i reati non le persone. Che non esiste lo Stato “etico” ma lo Stato di diritto. Ricordiamocelo in questi tempi bui. Anche quando discutiamo di persone che, per ideologie e distorte concezioni “etiche” presero le armi per uccidere innocenti servitori dello Stato. Lo Stato è sempre superiore, persino ai reati.
Chi sei, tu che ci uccidi…
Chi sei, tu che ci uccidi,
Che filmi la nostra morte
Che ci odi
Predicando vendette senza senso
Se non nella tua rabbiosa solitudine?
Noi sappiamo che non siamo colpevoli
Se non di vivere.
Tu, che hai vissuto solo del tuo odio,
Non esistevi quando ci uccidevi
E non esisterai neppure domani.
La vera lotta alla illegalità e gli improbabili fantini della tigre giustizialista.
Conosco Mario Oliverio da circa trent’anni.
Lo conosco dai tempi in cui, io segretario della giovanile, intervenni ad una manifestazione di solidarietà quando, giovanissimo assessore regionale all’agricoltura, ricevette una terribile intimidazione mafiosa: una testa di lupo mozzata davanti alla sua abitazione.
Pochi ricordano oggi quell’episodio, come non ricordano l’ultradecennale impegno contro la ndrangheta di Oliverio e di tanti come lui nei tempi funesti che stiamo vivendo.
Oliverio e tanti come lui non hanno mai cambiato idea sulla lotta intransigente contro ogni forma di illegalità.
Anche questa inchiesta finirà in una bolla di sapone. Ho letto l’ordinanza. Rilevo che per accuse uguali sindaci di grandi città non hanno avuto alcun provvedimento cautelare. Ma tant’è. Ci siamo sempre difesi nei processi e non dai processi. Sarà così anche questa volta.
Intanto sarebbe utile riflettere, tutti, a prescindere da come la pensiamo, sul fatto che, forse, non è la verità giudiziaria che si persegue ma solo fare esplodere l’ennesimo polverone mediatico.
Che qualcuno conta di poter cavalcare. Non sapendo che il giustizialismo è una tigre che disarciona tutti, anche gli improbabili fantini dell’ultima ora.
Cosa significa essere di sinistra
“Noi siamo convinti che il mondo, anche questo terribile, intricato mondo di oggi, può essere conosciuto, interpretato, trasformato e messo al servizio dell’uomo, del suo benessere, della sua felicità. La lotta per questo obiettivo è una prova che può riempire degnamente una vita”. È questa una delle frasi più belle, la mia preferita, di Enrico Berlinguer. Quando penso alla mia vita la penso in questa frase. Non ho mai rinunciato, anche ora che mi avvio a compiere i cinquant’anni, a questa lotta, a questa speranza. Si possono commettere mille errori, si possono vivere mille contraddizioni ma se si pensa alla propria vita e al proprio impegno politico come ad un servizio da rendere alla comunità, tutto ritrova un senso, tutto diventa chiaro e la vita stessa degna di essere vissuta. Se con il nostro agire quotidiano saremo riusciti a migliorare la condizione anche di un solo essere umano, avremo vinto. Questo, per me, significa essere di sinistra. Non altro. Lo dico a coloro che ad essere di sinistra hanno rinunciato da tempo, hanno trasformato l’ansia di giustizia in rancore sociale o in un confuso agitare di forche e manette o in una politicistica ricerca della soddisfazione di meschini interessi personali o particolari. Lo dico a tutti questi che nella loro vita hanno tradito mille volte se stessi e si permettono anche di farci la morale. Non eravate nulla, non siete nulla e di voi non resterà nulla. Il mondo, questo confuso, intricato, terribile mondo appartiene a noi che siamo disposti a lottare per cambiarlo, davvero.
La straziante presenza dell’assenza
Il mio ricordo di Matteo Barone questa mattina…perché la vita è meravigliosa….
È ormai passato più di un mese da quel terribile pomeriggio in cui la notizia della tua morte ci ha raggiunto, caro Matteo.
E non c’è giorno in cui il pensiero non ci porta a te, semplicemente guardando il tuo banco vuoto, il tuo nome sul registro.
Sai, Matteo, nessuno ha pensato di cancellarlo quel tuo nome, il secondo dell’elenco, di passarci una riga sopra.
È solo un modo per combattere la lacerazione della tua assenza, il ribadire che no, non te ne sei andato quel pomeriggio nella tua Belvedere, in quella maledetta curva.
Sai, Matteo, i tuoi compagni hanno scritto su un gran lenzuolo “ciao, Matteo” e quel lenzuolo è ancora li, e nessuno pensa di rimuoverlo. Continua a leggere