Politica
De Gaetano, Del Rio e Lanzetta
Apprendiamo oggi dalla sagace penna di Adriano Mollo che l’ex ministro Maria Carmela Lanzetta non solo aveva accettato di entrare a far parte della Giunta Oliverio insieme a De Gaetano ma aveva anche rilasciato una intervista piena di buoni propositi in cui delineava il suo programma come futuro assessore. L’uscita notturna di Del Rio le ha fatto cambiare idea, evidentemente, per cui De Gaetano da compagno di Giunta si trasformava repentinamente in appestato intoccabile. Ma la dichiarazione di Del Rio è, a mio parere, ancora più grave, ammesso che l’abbia fatta, visto che l’agenzia non riporta dichiarazioni virgolettate. De Gaetano non è indagato, i fatti che gli rimproverano risalgono al 2010, PM e GIP hanno entrambi risposto picche ad una richiesta d’arresto della Mobile di Reggio, dicendo che non ce n’erano i presupposti. Così funziona negli Stati di diritto, l’azione giudiziaria è di competenza esclusiva della magistratura e si può essere sottoposti ad indagine solo quando si è in presenza di una chiara notizia di reato. Quindi, parafrasando il mio amico Pasquale Motta di cosa sarebbe colpevole il nostro De Gaetano ? E nominandolo assessore quale principio di opportunità avrebbe mai violato il Presidente Oliverio ? Il sospetto che la questione sia stata sollevata per finalità di lotta politica è quindi forte. Chi poi conosce personalmente Nino De Gaetano sa di che pasta è fatto e non ha motivo di dubitarne. Che la questione sia stata ripresa da Del Rio è quindi grave, soprattutto perché Del Rio delle bolle mediatiche di certo giustizialismo è vittima recente.
Sono di questi giorni le chiacchiere sollevate ad arte sulla partecipazione nel 2009 ad una festa religiosa a Cutro di Graziano Del Rio, all’epoca sindaco di Reggio Emilia. Una visita istituzionale in omaggio ai molti calabresi che da anni lavorano e vivono a Reggio Emilia, ha dichiarato il nostro. In quel periodo però a Reggio Emilia si votava e Del Rio era candidato. Da qui l’accusa, solo mediatica, di essere andato a chiedere i voti alla ‘ndrangheta.
A parte che è davvero singolare considerare il solo fatto di recarsi in Calabria durante una campagna elettorale una circostanza degna del Codice Penale, come se tutti i calabresi fossero geneticamente mafiosi, ma quale reato avrebbe commesso Del Rio anche se fosse andato a chiedere voti ai parenti dei suoi concittadini a Cutro ? Nessuno.
A dire il vero nessuno si è sognato, giustamente, nonostante il clamore mediatico, di chiedere a Del Rio le dimissioni dal Governo, dove ricopre un ruolo di primo piano, per ragioni di opportunità. Del Rio non è indagato, esattamente come De Gaetano. Ma sappiamo tutti che le ragioni di opportunità sono come le coperte troppo corte, ognuno le tira dalla parte sua. Alcuni dicono che tutta questa bolla sia stata gonfiata nel quadro dello scontro interno al PD di Reggio Calabria e il povero Del Rio sarebbe stato spinto da alcuni in riva allo Stretto per fare quella dichiarazione per amor di corrente. Si spiegherebbe così anche la repentina rinuncia della Lanzetta con relative spiegazioni a posteriori. La sostanziale smentita di Matteo Renzi confermerebbe questa lettura. Non ho notizie in merito, ma non mi sorprenderebbe. Ma a costoro che pensano di utilizzare certi metodi a fini di lotta politica voglio solo sommessamente ricordare che, in genere, chi di giustizialismo ferisce, di giustizialismo perisce. E alla fine la coperta troppo corta finisce per stracciarsi.
L’insostenibile mancanza di decenza non è colpa del Web.
Alcuni anni fa il grande Alberto Sordi impersonava con i suoi film i vizi e i difetti dell’italiano medio, del borghese piccolo piccolo all’occorrenza massone e assassino giustiziere, dell’ipocrita difensore del matrimonio contro il divorzio e impenitente concubino e puttaniere, del medico della mutua disonesto, del trafficante d’armi cinico e ossessionato dalla sua famiglia vorace consumatrice di beni…Nei film di Sordi emergeva amara la rappresentazione di una Italia ubriacata dal boom economico, percorsa da egoismi sociali ma che, tutto sommato, poteva invocare la circostanza attenuante di un Paese che, mettendo ala berlina i propri difetti e ridendone, riusciva a conservare un minimo di coscienza di sé. Insomma, dei personaggi di Sordi si rideva e ci si vergognava un po’ e a nessuno veniva in mente di assumerli come modelli.
Negli ultimi vent’anni il discorso pubblico è andato invece degradando sempre di più e ad esso, rinunciando ad ogni seria analisi sociale e di sistema, si è contrapposto un moralismo becero e ancora più ipocrita nel suo individualismo. Come sorprendersi delle emerite stronzate scritte sul Web se a rilanciarle ci si mette anche un uomo delle istituzioni, per quanto discutibile come Gasparri ? Il limite della decenza e del buon gusto è stato sfondato e nessuno ne prova vergogna. Questo è il vero problema, non il web che questo discorso pubblico semplicemente diffonde. Non percepiamo più il limite della decenza e non siamo neppure più in grado di ridere dei nostri difetti.
Chi è il mio prossimo
Quando si uccidono i bambini in una scuola dopo averli costretti ad assistere al supplizio dei loro insegnanti bruciati vivi, siamo oltre le barbarie. Non c’è ideologia, religione o motivazione che possa non dico giustificare ma quantomeno far capire. È come se il mondo precipitasse nel baratro più profondo della sua storia passata. Ecco perché non possiamo restare indifferenti, noi uomini che ancora crediamo nell’uomo e nella sua possibilità di futuro. E oggi dobbiamo stare tutti a piangere quei morti in quella scuola del Peshawar. Pur non avendo un grande senso religioso credo che sia questo il modo per poter rispondere alla domanda che fu rivolta a Gesù nella parabola del buon samaritano: chi è il mio prossimo ? Ebbene, oggi lo so con certezza chi è il mio prossimo.
L’antipolitica è sempre eversiva
Lo dico subito: sono d’accordo con il Presidente Napolitano e, anzi, ritengo la sua presa di posizione anche moderata. L’antipolitica ha quasi sempre sbocchi eversivi o comunque si traduce in un degrado della qualità della vita democratica.
Un conto è contestare il politico o i singoli politici corrotti un conto è dire che, quasi lo avessero scritto nel DNA, tutti i politici sono per loro stessa natura dei corrotti. Infatti, quando si fanno generalizzazioni semplicistiche sulla “casta” alla fine, tranne pochi capri espiatori o, peggio, qualche innocente, i veri corrotti la fanno franca e addirittura hanno anche la faccia tosta di fare i moralisti e i capipopolo. La storia, alla quale non guardiamo mai per imparare, ci insegna come una società democratica senza politica semplicemente non ha senso. I grandi regimi totalitari sono nati dal rifiuto della politica preesistente e sulla base di grandi campagne di caudillos moralizzatori. Chi oggi difende e propina l’antipolitica o è un imbroglione demagogo o un povero illuso. Categorie entrambe assai pericolose, entrambe eversive. Perché bollando tutta la politica, senza distinzione, come monnezza, spesso, consapevolmente o inconsapevolmente si finiscono per buttare nel cassonetto anche le istituzioni democratiche e la libertà dei cittadini.
I servi che non servono più
Ci sono alcuni sedicenti commentatori di fatti politici che hanno la faccia rivolta all’indietro. Ma non è ignoranza la loro. È il lucido perseguimento di fini individuali e particolari che, di solito, prosperano nei conflitti. Non riescono ad accettare che la politica, quella vera e che guarda agli interessi collettivi, ad un certo momento compie delle scelte che sono di sistema. Invece di chiedersi, pur nella legittimità dei propri punti di vista, come affrontare il futuro e magari attrezzarsi per reggere la sfida, restano abbarbicati al ricordo del passato quando loro, che come oggi non rappresentavano nulla vivendo degli ossi che il padrone di turno gli gettava, credevano di avere un ruolo. Non si rendono conto che servi erano e servi sono restati. Con l’aggravante che nessuno è più disponibile a gettargli ossi nonostante continuino a scodinzolare nella speranza che qualcuno li noti. Invece di porsi il problema di come essere liberi davvero cercano disperatamente un padrone, vecchio o nuovo che sia. Perché non c’è peggior servo di quello che ancora non si rende conto di non servire più.
5Stelle e zuppe di latte
Lo spettacolo che stanno offrendo i 5 stelle in questi giorni, l’ossessione su espulsioni, fatture e scontrini, non mi sorprende. Mi sorprendono piuttosto i commenti dei cosiddetti “intellettuali” che fanno capire di essersi pentiti di aver dato credito alla “rivoluzione grillina”. Quello che costoro non riusciranno mai a capire che un movimento antipolitico ad un certo punto uno straccio di “politica” la deve pur proporre perché chi li vota non si accontenta dei vaffa e di qualche scontrino esibito sul web; e perché la politica è necessaria anche per organizzare una zuppa di latte con quattro biscotti.
Le vittime elettorali degli etruschi
Ogni competizione elettorale ha pochi vincitori e molti sconfitti.
Alcuni, con spirito sportivo accettano il responso delle urne con un comprensibile deluso silenzio; altri purtroppo, non rinunciano alla dichiarazione pubblica, spesso rivolta contro misteriosi “apparati” autori di chissà quali trame ai danni del candidato buono (se stesso) e a favore di quello cattivo.
Troppo difficile accettare che c’è stato qualcuno che ha semplicemente preso più voti e interrogarsi sugli errori commessi in campagna elettorale e perché il proprio messaggio non è passato.
Poco conta, poi, che tra l’ultimo degli eletti e la nostra “vittima” ci siano migliaia e migliaia di voti, spesso più del doppio.
Cosa siano e da chi siano animati questi oscuri apparati nessuno lo sa. Le loro origini, secondo Adam Kadmon, affondano nella notte dei tempi, nelle misteriose sette etrusche. Sappiate, quindi che, se la prossima volta lo stesso candidato perderà di nuovo le elezioni sarà colpa degli etruschi.
Leggere l’astensionismo
Sull’astensionismo che si è manifestato domenica scorsa credo che si debba rifuggire da analisi frettolose e superficiali.
Diciamo subito che in Italia l’astensionismo fa molto più notizia.
Nel nostro Paese, infatti, la partecipazione politica è sempre stata più alta sia rispetto al resto dell’Europa che degli USA.
Ma in quei paesi la politica è vissuta in genere con maggiore distacco senza che questo si traduca in forme di rifiuto delle istituzioni democratiche.
In Italia il calo progressivo dei votanti va avanti da più anni.
Domenica scorsa hanno inciso diversi fattori di carattere generale: il voto fuori da un turno nazionale e quindi scarsa attenzione dei media e la disaffezione verso la politica che viene percepita sempre più come incapace di risolvere i problemi della gente.
Accanto a questi ce ne sono di particolari, come il crollo del centrodestra e la stessa crisi dei M5S.
I loro elettori sono frastornati: i primi non ne possono più di una vicenda politica tutta avvitata attorno ai destini di Berlusconi i secondi sono delusi dalla assoluta inconcludenza di una forza politica che, pur avendo eletto 140 parlamentari, non riesce a cavare il classico ragno dal buco.
Questo dato ha pesato soprattutto in Calabria, dove la tradizione astensionista si è sommata alla debolezza della proposta politica del centrodestra e dei cinque stelle. Accanto a ciò un diffuso sentimento di sfiducia che ha accompagnato queste elezioni regionali non solo nei confronti della classe politica ma della stessa speranza che le istituzioni democratiche possano essere in grado di risolvere i problemi di questa terra. Un sentimento pericoloso, i cui esiti, comprendiamolo bene, non potranno certamente essere forieri di “magnifiche sorti e progressive”, ma di un ulteriore degrado della vita pubblica.
A questo pericolo dovrà dare una risposta la sinistra calabrese, oggi chiamata a responsabilità di governo.
Un capolavoro politico
Se due anni fa un bookmaker avesse voluto accettare scommesse sulle chance di vittoria del centrosinistra calabrese lo avrebbe messo cinque a uno.
Come dargli torto di fronte allo spettacolo di un PD commissariato, debole, diviso e marginalizzato che si rappresentava mediaticamente attraverso le elucubrazioni di gente senza testa e senza voti, espulso dal governo delle principali città.
La storia di questi anni ci parla di feroci polemiche tutte interne mentre il centrodestra, tutt’altro che unito, pensava soltanto ad amministrare e ad allargare con arroganza il potere riducendo la Calabria nel modo che conosciamo.
La lunga marcia è partita da un congresso di sezione, quello del circolo del Centro Storico di Cosenza.
L’unità si ritrovò nella e sulla politica e mettendo in campo un rinnovamento vero, non quello enunciato a soli scopi di continuismo e sostituismo.
La presidenza di Mario Oliverio è stata costruita a partire da lì. E non è un caso che i veri sconfitti oggi siano proprio continuisti e sostituisti.
Un voto necessario
Domani, al termine di una complicata vicenda istituzionale e nel mezzo della peggiore crisi economica dal dopoguerra ad oggi, la nostra Calabria tornerà a votare.
Si può dire tutto quello che si vuole, nutrire i sentimenti più crudi nei confronti della politica ma nulla potrà mai togliere valore all’atto principe della democrazia, il voto.
Il voto è un diritto e un dovere civico. Chi vota si assume la responsabilità di scegliere. Non votare significa soltanto sottrarsi a questa responsabilità, lasciare che altri, forse i peggiori, scelgano per noi.
Il non voto non è protesta, ma solo rinuncia. È lasciare campo libero a chi, davvero, finora ha fatto solo danni ed ha perpetuato sistemi di potere personalistici e particolaristici.
La Calabria, invece, ha bisogno di una collettiva assunzione di responsabilità.
Il centrosinistra, il PD, Mario Oliverio hanno parlato a tutti il linguaggio della verità.
La situazione è grave e non ci sono salvatori della patria o eroi o grandi timonieri o signori più o meno illuminati. Tutti questi, in genere, presuppongono masse di seguaci o di sudditi. Al contrario ci deve essere un popolo che si alza e si mette in cammino, un popolo che sostiene un progetto di cambiamento rifuggendo chiacchiere e demagogie.
Domani io, come faccio sempre da quando ho l’età della ragione, andrò a votare per scegliere Mario Oliverio, il mio partito, il PD, e dare anche una preferenza, a Carlo Guccione.
Farò tutto questo con la consapevolezza che davvero questo non è un passaggio ordinario della vita della nostra terra. Con la convinzione che davvero e soltanto tutti insieme, ce la possiamo fare.