Politica

QUESTIONE ROM: L’INTEGRAZIONE E’ UN DOVERE SIA PER CHI ARRIVA SIA PER CHI OSPITA.

baracchecampo rom
Diciamoci la verità, per poco non ci è scappato il morto con l’incendio nel “villaggio” ROM sul fiume di Cosenza. Senza contare le condizioni vergognose in cui vivono le persone in quella “favela”, tra sporcizia, topi e il rischio continuo che il fiume se li porti via con un’ondata di piena improvvisa. Oggi apprendiamo del rifiuto dei 60 scampati all’incendio a trasferirsi nella ex scuola “Don Milani” e a voler restare lì, in quelle condizioni degradate. Tutto ciò ci pone di fronte alla domanda: può una città civile consentire che 500-600 persone vivano in quelle condizioni, a rischio della loro stessa incolumità fisica ? Può, nello stesso tempo, accettare la pervicace ostinazione a voler restare in quelle condizioni ? Si può legittimare questa ostinazione, spesso dettata da motivazioni ben poco nobili, con la costruzione di un villaggio (eco, temporaneo o a numero chiuso che sia) che nei fatti diventerà l’ennesimo ghetto ? Massimo Converso, presidente dell’Opera Nomadi, giustamente si batte contro questa soluzione. I villaggi di quel tipo legittimano solo l’evasione scolastica, la volontà di non essere censiti e di occultare attività spesso “utilizzate” come manovalanza a basso costo dalla malavita.
Dovunque l’integrazione è avvenuta quando culture si sono mescolate, tollerandosi ed accettandosi con quella ospite, rinunciando certo, a parte di sé ma per il supremo bene della convivenza e della sicurezza collettive. Il nostro ordinamento, ad esempio, non consente, giustamente, la poligamia o il burka, pur difendendo il diritto di tutti a professare la propria fede.
Se la nostra casa è pericolante e mette in pericolo la nostra sicurezza e quella degli altri il nostro ordinamento prevede, giustamente, l’evacuazione di quella casa anche in deroga al nostro diritto di proprietà su quell’immobile.
Sono regole elementari che tutti, nel nostro territorio, sono tenuti a rispettare. E se persisto nel volerle non rispettare posso essere, legittimamente, invitato ad andar via.
Nel 2007 il “villaggio” sul fiume Crati fu sgombrato e i suoi abitanti, grazie ad un’azione congiunta di Prefettura, Comune, Provincia e Curia furono trasferiti in case reperite (non senza difficoltà) dal Comune e nei comuni dell’hinterland. Non durò molto perché i rom abbandonarono le case e tornarono sul fiume, con alterchi e risse scoppiate tra coloro che volevano comunque accettare le soluzioni offerte e quelli che invece si ostinavano a restare nella baraccopoli. Ci fu anche una polemica, che coinvolse il sottoscritto, che ribadiva la bontà della scelta del 2007, e alcune cosiddette associazioni “antirazziste” che chiedevano l’allestimento di un villaggio perché i rom sono naturalmente “nomadi” e quindi naturalmente portati ad abitare in baracche. Fui preso a male parole anche quando criticai la cosiddetta “scuola del vento” messa in piedi da queste associazioni, una iniziativa che allestiva una scuola per i bambini nella baraccopoli mentre gli scuolabus del Comune continuavano a viaggiare vuoti, nonostante l’impegno degli amministratori e di alcuni dirigenti scolastici di allora di dotare alcuni istituti di una politica di accoglienza e persino di docce per dei bambini che, vivendo all’addiaccio, non potevano certamente essere al massimo dell’igiene (una decisione presa tra le proteste dei genitori dei bambini italiani che inscenarono vivaci manifestazioni). Ma questa è la strada dell’integrazione, difficile, ma senza alternative.
Sarò antico, potrò non essere un esperto di antropologia, ma io continuo a pensare che vivere in una baracca in campi-ghetto, anche se dotati di minimi servizi essenziali, non possa essere un esempio di integrazione. Continuo a pensare che l’integrazione scolastica si svolga nelle scuole, mettendo insieme bambini di diversa cultura ed etnia e sia inaccettabile che possano esistere scuole diverse per bambini diversi. Io continuo a credere che abbia ragione Massimo Converso quando propone di persistere sulla soluzione del 2007 e a rifiutare la logica dei ghetti. Perché a nessuno è consentito di rifiutare le regole del posto in cui vive e pretendere la legittimazione di una illegittimità. Perché integrarsi è un dovere sia per chi arriva sia per chi ospita, sempre.

Per un pugno di voti il Molise rimane al centrodestra. Per il PD resta aperto il problema delle alleanze.

Logo del PD
In Molise con il 46,94 % il candidato del centrodestra Angelo Michele Iorio si conferma per la terza volta alla guida della piccola regione seguito con il 46,15 % dal candidato del centrosinistra Paolo Di Laura Frattura. Uno scarto in termini assoluti di appena 1500 voti.
Dita puntate su Grillo che con il suo 5,6% avrebbe impedito al centrosinistra di vincere. Franceschini li accusa di aver fatto vincere “un inquisito”.
Ora, francamente io credo che dare la colpa a Grillo di non essersi alleato con il centrosinistra in nome dell’antiberlusconismo sia un grave errore politico. Intanto perché è davvero singolare pensare che Grillo e il suo movimento che interpreta pienamente e coerentemente l’antipolitica italiana possa essere suscettibile di un’alleanza di governo, anche a livello locale.
Pensare a Grillo come l’ennesimo partito o movimento del centrosinistra da aggregare nel “Fronte popolare anti-Berlusconi” è la rappresentazione del limite profondo che ancora pervade la strategia delle alleanze di governo del PD. Primo perché Berlusconi, nonostante le fiducie, non è eterno e secondo perché un’alleanza siffatta, pur vincente, non sarebbe in grado di governare (l’esperienza dell’Unione sta ancora lì, tutta, a ricordarci il limite di quella politica e che ci spinse, giustamente, a dare vita al PD).
La strutturazione del Centrosinistra di Vasto, PD+IDV+SEL non è sufficiente non solo numericamente, ma politicamente.
Tenere insieme chi propone il ritorno alla legge Reale dopo i fatti di Roma con chi fino a ieri dichiarava che Carlo Giuliani era un eroe è un’operazione che non ha la minima credibilità e quando si andrà a votare non potrà non emergere e anche se si vincesse non potrebbe non pesare.
Di Pietro, che qui ha eletto il suo “Trota” consigliere regionale è un populista che in qualunque democrazia “normale” troverebbe la sua naturale collocazione nella destra, magari in quella cosiddetta “sociale” che nel Parlamento europeo raggruppa gli esponenti di Jean Marie Le Pen o i post-falangisti spagnoli.
Un’altra contraddizione è costituita da Vendola e da SEL, che si configura come una riedizione, neppure tanto nuova, del PRC bertinottiano. La notizia riportata oggi dal Corriere della Sera secondo la quale SEL avrebbe mediato con il “movimento” per un certo tipo di corteo in cambio di candidature tipo quelle che portarono i no global Caruso e Agnoletto nelle tanto bistrattate ma allo stesso tempo tanto spasmodicamente cercate istituzioni “borghesi”, se vera, rileva una difficoltà di fondo per Vendola di staccarsi da un retaggio politico caratterizzato da un antagonismo marginale e comunque assolutamente incompatibile con il profilo e la funzione di una sinistra moderna che si candida addirittura a guidare un grande Paese europeo come l’Italia.
Se poi guardiamo ai risultati delle liste balza subito agli occhi la buona affermazione dei socialisti, che passano dal 3 al 5 % (superando i grillini che come liste arrivano appena al 3 % e non conquistano neppure un seggio), il 9 % del PD (pochino) e l’altrettanto deludente risultato di Di Pietro (8,37%), che nella sua regione, con il figlio candidato perde in voti (quasi 2000) e percentuale. SEL e Rifondazione Comunista insieme superano di poco il 6%. Nell’altro campo l’UDEUR oggi alleata con il centrodestra e l’UDC più altre formazioni di centro superano abbondantemente il 15 % senza contare alcune civiche riferibili più o meno al Terzo Polo.
Le indicazioni elettorali sono quindi assai chiare e dovrebbero consolidare una strategie delle alleanze del PD diversa, in cui inclusioni ed autoesclusioni siano fatte sulla politica e non sul richiamo ad un frontismo parolaio e massimalista. Pensare che la questione si possa risolvere includendo un altro parolaio e massimalista a quelli che già affollano l’attuale centrosinistra non solo è sbagliato ma criminale.

Il diritto all’odio non esiste…

scontri-roma26_0001_280xFree
Dopo l’episodio di Milano con il lancio della statuetta in faccia a Berlusconi nel 2009, Marco Travaglio scrisse sul blog di Beppe Grillo un articolo con il quale parlava di “diritto all’odio”. Il giornalista di destra diventato icona di certa sinistra forcaiola scriveva: “Chi l’ha detto che non posso odiare un politico e augurarmi che il Creatore se lo porti via al più presto? Un politico si vota, non si ama. In politica non esiste l’amore, non c’è sentimento”. E ancora. «Non vedo per quale motivo – continuava l’ex giornalista de “Il Borghese” – qualcuno non possa odiare Berlusconi. L’importante è che si limiti ad odiarlo senza fargli nulla di male”.
Ora io credo che questa affermazione sia rivelatrice di un vero e proprio veleno che si è diffuso nella politica e nella società italiana, in una parte delle sue classi dirigenti, della cultura e della cosiddetta “intellighenzia” radical italiana, un veleno che va combattuto con decisione e senza tentennamenti.
La realtà sociale del Paese è infatti drammatica. Interi pezzi di società sono sospinti sotto la soglia della povertà, diritti che si credevano acquisiti vengono di giorno in giorno negati e fatti a pezzi.
In questo contesto la politica e le classi dirigenti nel loro complesso devono assumersi la responsabilità di indicare soluzioni non di soffiare sul fuoco o versarvi benzina.
Non esiste il “diritto all’odio” perché l’odio è la negazione di ogni diritto. Chi fomenta l’odio, anche quando non si rende colpevole di violenze, e soprattutto se lo fa dall’alto della sua condizione di “privilegiato” da decine di migliaia di euro al mese (spesso molto di più dei tanti bistrattati politici) che gioca sulla disperazione di tanti, diventa colpevole indiretto delle violenze che da quell’odio inevitabilmente si generano.
In Italia è già successo, purtroppo, e i rischi che tutto si ripeta ci sono tutti come dimostrano i fatti di Roma. Non si tratta di ripercorrere la categoria dei “cattivi maestri”, di invocare censure, ma di avviare una campagna politica e culturale contro chi irresponsabilmente si fa promotore di una visione manichea e distruttiva della politica dal tepore dei salotti o per il gusto della tirata demagogica nei talk show televisivi, una visione che distrugge la democrazia nei suoi stessi principi fondativi.
Io trovo significativo che i manifestanti pacifici sabato abbiano cercato di espellere quelli violenti dal corteo. E’ un fatto importante che, a mia memoria, non era mai successo. Segno che gli anticorpi ci sono e vanno incoraggiati e moltiplicati. Avendo il coraggio di contestare a gente come Travaglio e a tanti altri come lui le innumerevoli e irresponsabili parole che assai spesso propagano a piene mani.
Perché nessun dissenso, per quanto profondo e radicale esso sia, può giustificare l’odio politico. Perché la democrazia è nata proprio per regolare i conflitti e bandire l’odio dai rapporti civili e politici e non il contrario, altro che balle.

Stiamo attenti che la fine di Berlusconi non trascini con sé anche questo centrosinistra.

berlusconi-dorme
La fine del lungo ciclo di governo di Berlusconi sembra essere ormai giunta. Avviene nel peggiore dei modi per il Cavaliere, assediato da inchieste giudiziarie, da gossip velenosi, dal ludibrio internazionale.
Al di là del fatto se riuscirà a mantenere una maggioranza parlamentare come gli è riuscito finora è del tutto evidente che la sua capacità di parlare al cuore ed alla pancia degli italiani, con quel mix di populismo e di sovversivismo dall’alto che ne ha contraddistinto la sua presenza in oltre tre lustri di vita politica italiana, è ormai esaurita.
Il leader è vecchio, stanco, persino un po’ patetico nel suo disperato tentativo di mostrarsi giovane e simpatico. L’assedio delle procure è indiscutibile, così come l’accanimento dell’ormai la quasi totalità dei media e dei cosiddetti “grandi poteri” (che pure, in fase alterne, lo avevano sostenuto), ma il suo tradizionale vittimismo che pure era riuscito a fargli catalizzare la maggioranza dei consensi elettorali, non regge più.
Gli italiani più che il discorso moralistico della miriade di indignati da salotto che affollano i talk show e le colonne dei giornali si sono finalmente convinti che il vecchio Silvio non è un uomo di Stato, non è capace di governare e di dare risposte ai problemi urgenti di un Paese che rischia di affondare nel gorgo di una crisi generale che in Italia è però aggravata proprio dalla assoluta inadeguatezza delle sue classi dirigenti. Se erano disposti a perdonargli tutto, anche le sue stravaganze e la sua irrequietezza sessuale (ma quando mai questa ha contato qualcosa nella cattolica e gesuitica Italia ?), non sono disponibili a perdonargli la sua inconsistenza politica, la sua assoluta incapacità di governare un Paese complesso avviato sulla strada di un inesorabile declino.
Nel centrodestra una partita si è aperta per la successione. Bisognerà vedere se questa sarà cruenta e lascerà morti e feriti oppure sarà politicamente guidata come l’elezione di Alfano sembra voler presagire. Se Berlusconi non fosse Berlusconi molto probabilmente un nuovo governo di centrodestra sarebbe già stato varato con una nuova leadership e una nuova composizione di coalizione. E’ la presenza di Berlusconi che impedisce la formazione di un nuovo governo a guida PDL con il Terzo Polo e Casini dentro. Allo stesso modo è la presenza di Bossi ad impedire, almeno finora, che una nuova leadership si affermi nella Lega.
Il futuro di quel campo, e se ne sono accorti soprattutto quelli che lo occupano, sta proprio nella possibilità che questo nuovo assetto del centrodestra finalmente si affermi, con buona pace degli antiberlusconiani di professione.
In questo senso io credo che non sia scontato che il dopo Berlusconi sarà di centrosinistra. Perché il centrosinistra attuale, al di là degli sforzi pure generosi di Bersani, è completamente ritagliato sull’antiberlusconismo.
Un’alleanza classica (PD, IDV e SEL) con il terzo polo autonomizzato, oggi vincerebbe le elezioni solo se il leader dell’altro schieramento (PDL e Lega) resta Berlusconi. Un altro leader nel centrodestra renderebbe questa coalizione attrattiva per le forze centriste già in questo parlamento, figuriamoci in un momento elettorale. Del resto come leggere gli aperti tentativi di varo di un governo “tecnico-tecnocratico” sponsorizzati da Confindustra e Marchionne che vorrebbero alla guida un Montezemolo o un Monti ?
Il problema per il Centrosinistra, dunque, è uscire da questo imbuto e trovare un nuovo assetto politico e programmatico che non può che essere riformista e modernizzatore.
Nell’opposizione vasta che si è coagulata contro il premier non c’è, infatti, solo il voto tradizionale della sinistra, ma anche quello di ampi settori moderati che sono delusi da Berlusconi ma che continuano a non amare la sinistra per come oggi si configura.
Senza Berlusconi lo schema di alleanze attuale attorno al PD non regge né politicamente né programmaticamente, inutile farsi illusioni. Non regge anche perché la sua leadership allargata tutto appare tranne che portatrice di innovazione e di modernizzazione. Né il problema si risolve soltanto allargando, cosa assai difficile in verità, la coalizione all’UDC, nel senso che ne verrebbe fuori una maggioranza numerica ma non politica come è avvenuto con l’Unione di Prodi.
In questo quadro il PD deve compiere uno sforzo ancora maggiore di adeguamento del suo profilo riformista e attorno a questo costruire le alleanze, atteso che l’antiberlusconismo non reggerà più, anche se Berlusconi dovesse resistere fino al 2013 e guidare la coalizione alle elezioni.
Cosa intendo per questo adeguamento ? Intendo soprattutto la necessità di fissare alcuni punti fermi: riforma fiscale, riforma del welfare, riforma della giustizia, della scuola e dell’università, riforma istituzionale (a cominciare dalla legge elettorale), nuova politica per il Mezzogiorno. Su ciascuno di questi argomenti, purtroppo, lo schieramento nel quale oggi ci collochiamo è, purtroppo, diviso. Il PD deve chiamare tutti, alleati attuali e potenziali, forze economiche e sociali, il Paese intero nella sua articolazione più ampia e complessa, ad un confronto stringente e non ideologico su questi temi.
Solo così, credibilmente agli occhi del Paese, potrà candidarsi a succedere non solo a Berlusconi, ma al centrodestra e al sistema di interessi che esso, nonostante lo stesso Berlusconi, continua a rappresentare.
Altrimenti la fine di Berlusconi trascinerà con sé anche il centrosinistra.

Congresso PD in Calabria: è la democrazia bellezza.

Logo del PD

Tutti oggi nel PD calabrese chiedono il congresso: fa piacere che quanto gridavamo in solitudine sia oggi patrimonio di tutti. Sappiamo bene, tuttavia, che alcuni, sotto sotto, preferirebbero il contrario e  magari cercano di alimentare conflitti per dare una rappresentazione di un PD lacerato più di quanto sia realmente per continuare a vivere di rendita senza alcun mandato democratico. E’ un giochino tanto scoperto quanto stupido.

La dialettica interna è un dato costitutivo di un partito democratico e i congressi si fanno proprio per confrontare tesi e posizioni politiche diverse. Quella che prenderà più voti governerà il partito. A quella o quelle che perderanno spetterà comunque il compito di concorrere, partendo dalle idee espresse, alla crescita complessiva del partito. E’ la democrazia bellezza. E la democrazia fa paura solo a chi democratico non è.

Si faccia dunque questo benedetto congresso con tutte le garanzie democratiche che il nostro Statuto prevede. Magari diamocene anche di nuove e più stringenti, ma ridiamo la parola ai nostri iscritti e ai nostri elettori.

Affidiamoci dunque a loro con fiducia e con rispetto: sono spesso molto più saggi di noi e comunque solo a loro spetta il compito di decidere.

Purché, però, una volta che hanno deciso, non si parli di potentati, brogli, e popolo pecorone. A quel punto le pernacchie ci sommergeranno.

 

Basta con le ipocrisie sul caso Penati.

Un maledetto imbroglio
Dopo l’ipocrita decisione della Commissione di Garanzia del PD (qualche TV l’ha definita freudianamente Commissione giustizia), apprendiamo che essere iscritti al PD significa rinunciare ai diritti individuali previsti dalla nostra Costituzione. Insomma, abbiamo riscoperto l’uso dei tribunali di partito. Se non fosse tragico direi che è farsesco.
Una decisione assunta solo per tentare di dare una risposta alla vandea giustizialista che imperversa da giorni, strana e inutile visto che il povero Penati aveva già annunciato la sua autosospensione.
Ma non basterà neanche questo: la Vandea come il Terrore si nutrono di sangue sempre fresco, ricordiamocelo.
Si aprirà presto la caccia al politico in quanto tale. Arriverà il momento per cui i politici, tutti senza eccezione, anche i più oscuri segretari di sezione, saranno crocefissi in sala mensa (ricordate l’incubo fantozziano ?) e si spianerà la strada, perché questo è il vero obiettivo, al governo dei tecnici e dell’impresa. Che poi questi tecnici e imprenditori siano spesso più imbroglioni e corrotti dei politici, poco importa. Del resto Berlusconi non è forse un imprenditore sceso in campo contro la vecchia politica ?

Polemiche su un manifesto del PD: stiamo diventando tutti bacchettoni ?

Manifesto del PD Festa Nazionale di Roma
Una grande polemica si è aperta sul manifesto della Festa Nazionale del PD di Roma che esibisce due belle gambe femminili e una gonna appena sollevata dal vento con la scritta “Cambia il Vento”. Alcune esponenti del PD e delle donne del Comitato “Se non ora quando ?”, quello che ha organizzato le imponenti manifestazioni contro Berlusconi all’indomani dell’emergere del caso Ruby, hanno chiesto addirittura il ritiro del manifesto e della campagna di comunicazione della Festa accusandola di “strumentalizzazione del corpo femminile”.
Premesso che mi riesce difficile vedere un nesso tra il “bunga bunga” e il manifesto in questione che invece trovo simpatico e intelligente con quella citazione della “Moglie in vacanza” di Marilyn Monroe (una immagine che negli anni ’60 fece scalpore contribuendo non poco alla rottura con certo bacchettonismo in Italia insieme alla “Dolce Vita” di Fellini), sono certo che mi prenderò anch’io qualche critica femminile.
Ma francamente trovo la polemica esagerata e, malgrado le buone intenzioni, anche pericolosa, perché rischia di mettere la sinistra ad inseguire certa destra sul terreno del moralismo più becero (vedi la polemica della Rauti, che ci “scavalca a sinistra”).
Personalmente, pur non essendomi assolutamente simpatico questa volta sono d’accordo con Giampiero Mughini che scrive: “Né il fanatismo del corpo femminile per quanto siliconato ed esibito impudentemente come strumento di realizzazione del proprio reddito e della propria carriera (talvolta di buona a nulla). Né il fanatismo opposto di chi condanna qualsiasi immagine “sexy” della donna perché la trova losca e umiliante. Sono tra quelli che mai una volta nella sua vita ha incontrato delle ragazze alla maniera di quelle dell’Olgettina. Ero però felicissimo quando qualcuna delle mie amiche esibiva orgogliosamente il suo corpo, e a dire il vero non ne ricordo una che non lo facesse. Ciascuna beninteso a suo modo e nel suo stile. Stili che erano tutto fuorché loschi e umilianti”.
Io credo che una immagine debba essere innanzitutto non volgare, e quella del manifesto, oggettivamente, non lo è, anzi la preferisco a tanti manifesti col faccione, assai simpatico tra l’altro, di Bersani. Pensate solo per un attimo se al posto di quelle belle gambe avessero messe quelle del nostro segretario o di D’Alema…beh, è una esperienza che mi risparmio volentieri, come penso voi tutti…

Continuare ad affidare il PD a certe persone è come dare la patente di femminismo a Landru.

Landru

Landru


Dal 2009, sotto varie forme, prima direttamente adesso per Commissario Interposto, il PD calabrese è governato da Oliverio e addentellati come Guccione, Laratta e Bevacqua. Dal 2009 ad oggi, abbiamo perso regionali ed amministrative. Loro sono ancora lì, anzi danno pagelle, continuano a distinguere tra buoni e cattivi a lanciare appelli per l’unità e per la costruzione del partito. Cose di cui il PD ha bisogno come il pane ma che loro non hanno nessuna credibilità nel proporre. Loro che hanno distrutto l’unità del PD che aveva consentito l’unica vittoria alle provinciali di Cosenza, loro che hanno distrutto ogni vita democratica interna, che hanno tentato di appaltare a forze esterne ed estranee al centrosinistra la rappresentanza del centrosinistra stesso a Cosenza. Adesso danno pagelle di coerenza anti-Scopelliti al gruppo regionale, che avrà mille difetti, ma non certamente quello di essere stato silente in questi mesi, anche a discapito della costruzione di una coerente alternativa di governo alla Regione. E allora, di cosa stiamo parlando ? Personalmente penso che continuare ad affidare il PD a costoro è come affidare l’emancipazione della donna a Landru.

Caso Battisti, Vendola e il perseverare di certa sinistra…

Battisti
Francamente mi aspettavo la risposta che il leader di SEL avrebbe dato alla conduttrice Lilli Gruber sul caso Battisti. Sostanzialmente Vendola sostiene che, quando è passato troppo tempo dal delitto la pena perde di senso. Rimane (e vorrei vedere) il rispetto e la partecipazione al dolore delle vittime. Aggiungendo che sulla stagione del terrorismo era necessaria anche una soluzione politica e non solo giudiziaria. Sono posizioni che Vendola aveva anche espresso in passato, quindi non sorprendono, ma continuano ad indignarmi.
Perché da garantista convinto credo nella giustizia e la giustizia non ha una scadenza temporale, è un principio che giustamente viene posto, dalla nostra Costituzione e da tutta la tradizione liberal-democratica, in una dimensione assolutamente sganciata da qualsivoglia tipo di contingenza.
La verità è che in Italia, a sinistra e a destra, continua a prevalere una visione ideologica e politica della giustizia, con buona pace dei principi più elementari di rispetto delle garanzie e dell’equilibrio e separazione tra poteri.
Sono pronto a scommettere 100 euro contro un fagiolo che se al buon Nichi avessero chiesto che cosa ne pensasse del fatto che un tribunale italiano, dopo oltre cinquant’anni dal fatto, abbia condannato un vecchietto come Priebke per la strage della Ardeatine, avrebbe risposto che era giusto e sacrosanto che la giustizia facesse il suo corso, anche per rispetto del dolore delle vittime.
Io credo, invece, che come è stato giusto processare Priebke e offrirgli cioè quelle garanzie che lui negò alle sue vittime e, infine condannarlo ad una pena infine mitigata da altrettante garanzie in considerazione della sua veneranda età (a cui lui è arrivato e le sue vittime no), allo stesso modo era giusto che il Brasile concedesse l’estradizione per un soggetto condannato in forma definitiva che si era macchiato di delitti aberranti che poco avevano a che fare con qualsivoglia ideologia rivoluzionaria.
Perché me lo devono spiegare, brasiliani, intellettuali francesi e italiani che hanno difeso questo soggetto come se fosse un Garibaldi o un Che Guevara (come dice Merlo su Repubblica di ieri) perseguitato dalla giustizia di uno Stato autoritario, cosa c’entra con la rivoluzione ammazzare un macellaio o un gioielliere a scopo di rapina.
Né vale prendersela con il Berlusconi che all’estero denigra la magistratura italiana se anche a sinistra sugli anni di piombo permangono giudizi come quello su Battisti, corroborati da appelli di intellighenzia a cui anche certi campioni della lotta per la legalità come Saviano avevano inizialmente dato il loro assenso (salvo poi ritirarlo di fronte al montare della protesta dell’opinione pubblica italiana). Sono due facce della stessa moneta, purtroppo.
La giustizia italiana ha tanti difetti, non c’è dubbio, ma il suo difetto principale è la politicizzazione che emerge spesso al suo interno e al suo esterno. Politicizzazione che continua ad operarsi sia a destra che a sinistra, purtroppo. Io continuo a credere che la giustizia debba essere il più possibile autonoma dalla politica e viceversa. Su questo si basa il principio assolutamente liberale e democratico della separazione dei poteri. Entrambe, politica e giustizia, sarebbero più forti, entrambe farebbero meglio il loro dovere per il bene dei cittadini se rispettassero questo principio.
priebke
Vendola

Ragazzi, giuro che se sento parlare di rinnovamento chiamo i carabinieri…

Carabinieri-in-alta-uniforme

Scelgo questo titolo volutamente provocatorio per cercare di esprimere un concetto che mi sta molto a cuore dopo la “batosta” di domenica scorsa. Dico subito quindi che la sinistra ha bisogno come il pane di un profondo e radicale rinnovamento dei suoi gruppi dirigenti e, soprattutto, di una grande innovazione politica e programmatica.

Tuttavia trovatemi uno in Calabria, in Italia e nel mondo che non dica la stessa cosa con toni enfatici ed apodittici anche tra coloro che di questa batosta sono i principali responsabili.

Si, perché parlare di rinnovamento è la cosa più facile di questo mondo ed è il modo migliore per mantenere tutto esattamente com’è. I più grandi proclamatori di novità sono, in realtà i peggiori conservatori perché intendono il rinnovamento sempre a partire dagli altri, mai da se stessi.

La vicenda calabrese del PD ne rappresenta la plastica dimostrazione: sono mesi che novelli giacobini predicano il rinnovamento, agitano questioni morali e acuiscono le profonde fratture del gruppo dirigente solo ai fini di ritagliarsi un posticino nel sempre più residuo e marginale bacino del PD. Poco importa se molti di questi predicatori sono cresciuti all’ombra di coloro che oggi considerano il male assoluto, se si sono ingrassati con incarichi e prebende o comodi posticini in liste bloccate.

Ma, francamente, del destino di questi sono poco preoccupato perché gli elettori li hanno già giudicati e pesantemente bocciati.

Sono invece preoccupato del fatto che, anche rimuovendoli dai posti che occupano risolveremo solo parte dei nostri problemi. Si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.

Perché il rinnovamento, quello vero, non riusciremo a farlo se non costruiremo finalmente il PD, vale a dire un partito di massa, inclusivo e capace di promuovere davvero nuove classi dirigenti sul terreno dell’innovazione politica. Un partito che tenga tutti dentro, vecchi e nuovi e promuova davvero i nuovi sulla base della selezione democratica, nel fuoco della battaglia politica consentendo anche all’ultimo dirigente dell’ultimo circolo di poter crescere ed affermarsi senza cooptazioni ma in base alle cose che sa esprimere e sa fare. Perché sulle macerie si è sempre costruito poco, se non nulla. Perché il rinnovamento senza innovazione è solo nuovismo senza contenuti destinato ad essere spazzato via al primo alito di vento. Perché la lotta politica interna ha senso e si motiva se si è portatori di progetti, di proposte, di visioni strategiche che vadano al di là delle pur legittime ambizioni personali.

Rinnovare non significa cooptare in posti di responsabilità qualche ragazzo che serva da vetrina, ma consentire a migliaia di ragazzi di crescere e produrre politica insieme a chi ha maturato esperienza ed anche errori. Così si faceva nei vecchi partiti, così dovremmo fare nei nuovi (dopo averli costruiti, ovviamente).

Il voto di domenica e lunedì ci consegna intanto due problemi grandi quanto una casa: un PD da prefisso telefonico ed un centrosinistra minoritario, marginale e parolaio incapace di porsi come interlocutore credibile e di governo per combattere l’egemonia del centrodestra in questa regione.

Il centrodestra vince perché regge la sua alleanza con l’UDC, alleanza frutto della miopia di quei dirigenti che consentirono a Loiero di ricandidarsi alla guida di una coalizione ormai minoranza in Calabria convinti che la sola gestione del potere regionale fosse sufficiente a farci vincere. Nel “Rendano” di Cosenza ancora non si sono spenti gli echi di una manifestazione convocata dagli strateghi cosentini (gli stessi della sconfitta cosentina, rossanese e sangiovannese) che urlavano “Agazio, sei l’unico candidato possibile” nelle stesse ore in cui Bersani tentava l’interlocuzione con l’UDC che ci avrebbe fatto vincere davvero.

Ora tutto è più difficile, per cui è davvero assurdo dividersi tra chi urla più forte “rinnovamento, rinnovamento”. E’ venuto invece il momento innovare davvero interrogandoci fino in fondo sul come.

 

Commenti
    Archivio