Facile ridere degli strafalcioni di Razzi e non dell’ignoranza compiaciuta ed ostentata di tanti altri.
Nella tanto bistrattata prima repubblica c’erano senatori e deputati con appena la terza elementare o che avevano imparato a leggere e scrivere in maniera fortunosa. A loro poteva scappare uno strafalcione ma nessuno ne metteva in dubbio la competenza politica nei settori in cui i partiti li facevano “specializzare”. La differenza stava nel fatto che questi vivevano la loro scarsa cultura con vergogna, si facevano assistere nella stesura di relazioni e scritti (a parlare in pubblico, in generale, se la cavavano tutti avendo imparato sul campo). Sentivano, infatti, tutto il peso di una ignoranza, sia pure subita perché frutto della loro condizione sociale subalterna, e cercavano quotidianamente di migliorare.
Il nostro Razzi, invece, della sua condizione di uomo poco acculturato si compiace, crogiolandosi nella maschera che si è cucita addosso. Magari si crede Bertoldo alla corte di re Alboino e invece, al massimo, passa per Gasperino il carbonaio messo al posto del Marchese Del Grillo.
Razzi, infatti, gode nell’essere naïf, tanto nessuno gli ha mai chiesto di essere diverso o di più.
Il suo primo leader, il Di Pietro del che “c’azzecca” o “capisce a me”, era un rozzo compiaciuto come lui, tanto da portarlo in parlamento senza preoccuparsi se il nostro poteva davvero rappresentare cose un tantino complesse come interessi sociali e politici, ideali o, semplicemente, dei territori. Scoprì rapidamente che Razzi non solo era semplice, ma aveva anche interessi semplici, limitati al suo immediato particulare. Tanto da andarsene con il suo secondo capo, quel Berlusconi che lo ha usato per tenersi la maggioranza facendo proprio leva su quei suoi interessi semplici semplici, e fregandosene altamente se sapeva leggere e scrivere correttamente in italiano. Per quello che serviva e serve oggi Razzi a Berlusconi non è necessario.
D’altro canto da anni molti italiani vanno dietro a leader che fanno passare la loro rozzezza e la loro sostanziale ignoranza per autenticità e capacità di parlare il mitico “linguaggio del popolo”, trasformando i talk show in spettacoli di urla e parolacce, le dichiarazioni in festival della banalità o della ricerca a tutti costi della provocazione populista (vi ricordate di Bossi, dello stesso Di Pietro, dell’attuale Salvini, di Calderoli o di certe sparate di Gasparri ?).
Il giorno in cui gli italiani chiederanno alla propria classe politica ragionamenti, proposte e idee invece di battute, insulti e banalità vedrete che anche Antonio Razzi andrà ad iscriversi alla scuola serale.
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