Garantisti con Battisti, forcaioli con gli altri…
In grande evidenza questa mattina su un giornale locale è apparsa una lettera aperta a firma di alcuni “intellettuali” sul caso Cesare Battisti che prende nettamente posizione a favore della non estradizione dell’ex terrorista dei PAC decisa dall’ex Presidente del Brasile Lula lo scorso 31 dicembre.
La lettera è rivolta ai “compagni” (sic) Presidenti Lula do Silva e Giorgio Napolitano e sviluppa tutto un ragionamento in linea con la visione della storia d’Italia propagata a piene mani da alcuni “reduci” degli anni di piombo: in Italia negli anni ’70 e ’80 ci fu una “guerra civile” e una “feroce” repressione da parte degli apparati dello Stato di un movimento giovanile rivoluzionario che fu spietatamente perseguito e ridotto al silenzio.
Ad alcuni di questi che propugnano questa tesi basterebbe rispondere che lo Stato che giudicano così feroce ed oppressore è lo stesso che li stipendia lautamente nelle sue università e addirittura li ha accolti nel suo Parlamento ed oggi consente loro di poter esprimere, legittimamente, le loro opinioni (per quanto sbagliate e aberranti possano essere). Ma credo che non sarebbe sufficiente.
Cercherò quindi di sviluppare una serie di riflessioni nel merito: in particolare, da convinto assertore del garantismo, trovo assai improvvido e fuori luogo il riferimento ad una cultura garantista spinta fino alla teorizzazione del principio dell’impunità per un volgare assassino quale è Cesare Battisti, sul cui capo pendono sentenze definitive e le cui responsabilità sono state accertate in processi ai quali lo stesso si è sempre sottratto. E lo giudico un volgare assassino perché alcuni processi con sentenze definitive lo hanno qualificato come tale. Sbaglierei, invece, se Battisti, fosse ancora sotto processo, processo al quale lui si è sempre sottratto vivendo un esilio che è stato, per lungo tempo, dorato.
Qui c’è un primo punto che è secondo me fondamentale: il garantismo non è impunità ma rispetto delle regole e dei diritti del cittadino imputato, perché si parte dal presupposto che nessuno è colpevole fino a quando una giuria di suoi pari non l’ha giudicato tale.
Il garantismo, inoltre, non è una bandiera che possa essere agitata solo quando l’oggetto di un’azione giudiziaria siamo noi o la nostra parte politica. Dico ciò perché la credibilità stessa di ogni battaglia garantista è direttamente proporzionale alla coerenza dei comportamenti di chi la conduce: per essere molto chiari non si può essere garantisti per sé e forcaioli con altri che sentiamo essere nostri avversari politici. Ciò vale per il garantismo peloso di Berlusconi che egli traduce solo come richiesta di impunità per sé ma anche per quello di certa estrema sinistra che spesso, e senza alcuna vergogna, oscilla dalle manifestazioni di solidarietà per gli ex terroristi alle marce a favore di questo o quel giudice “eroico” che inquisisce questo o quel politico “antipatico” in dispregio di ogni elementare principio di giustizia.
Garantismo non significa, quindi, sottrarsi al giudizio, ma pretendere il rispetto della persona nel processo e al di fuori di esso (i processi mediatici sono un male che sta avvelenando la giustizia e la democrazia italiane). Che poi ci sia molto da fare per rendere più garantista il nostro ordinamento è questione aperta per la quale è necessaria una grande battaglia democratica che va condotta con rigore e coerenza perché riguarda tutti e può solo rafforzare la legalità, non indebolirla.
In questo quadro condivido, una delle poche parti, il richiamo a certa legislazione che individua come reato la responsabilità morale: in un ordinamento giudiziario democratico la responsabilità è sempre individuale ed è legata al compimento di specifici reati puniti dal codice: la politica, intesa come giudizio politico, non può essere un criterio giuridico, in nessun caso. Ma nella fattispecie non mi pare che ciò riguardi il caso Battisti, le cui responsabilità in fatti di sangue appaiono chiare e certificate.
Condivido, inoltre, il richiamo alla Costituzione quando si sostiene che l’ergastolo non è una pena che riabilita e andrebbe cancellato come pena dal nostro Codice. Ma c’è anche da dire che ormai è stato superato da una prassi giurisdizionale corrente che concede molti benefici, anche a persone coinvolte in delitti terribili, in cui vengono tenute in considerazione tutta una serie di situazioni che, pur mantenendo la condanna, attenuano in senso riabilitativo la pena. Non è sufficiente ma mi sembra un buon punto di partenza per fare una battaglia democratica anche su questo punto.
Ma anche in questo caso il richiamo a Battisti mi sembra assai fuori luogo (senza contare lo stesso improvvido richiamo alla vicenda di Adriano Sofri, che è di ben altra natura): cosa c’entrano il rispetto e la pietà per una persona che, mentre i suoi compagni marcivano nelle patrie galere, è fuggito, ha vissuto un esilio dorato come scrittore di successo in Francia e non ha mai mostrato non solo un momento di pentimento ma addirittura ha rivendicato con orgoglio i “formidabili quegli anni” ? E il rispetto per le vittime può essere soltanto la ricostruzione della “comune verità racchiusa negli anni di piombo” ? Quale comune verità si può desumere da una vicenda storica in cui, al di là della buona fede di molti, si perseguì un lucido disegno di demolizione dello Stato democratico, sia pure debole e imperfetto, che la Resistenza ci aveva consegnato ? E come potrebbe tutto ciò consolare chi ha perso un padre, un compagno, un fratello, un amico ? E quale atto rivoluzionario si può ravvisare nell’omicidio per rapina di un macellaio o di un gioielliere ?
Giustizia non è vendetta, è vero. E’ riconoscimento di reati e la loro giusta punizione. Per gli imputati la possibilità di difendersi fino in fondo e per chi è giudicato colpevole di poter tornare alla società dopo aver pagato i suoi debiti.
Io trovo aberrante sia chi teorizza l’impunità in nome di superiori ragioni rivoluzionarie o morali sia chi predica la moralizzazione della vita pubblica a colpi di avvisi di garanzia, arresti preventivi e gogne mediatiche. Sono due facce della stessa medaglia.
Perché la democrazia si difende solo con le armi della democrazia secondo il principio della separazione dei poteri e del riconoscimento dei diritti inalienabili di ciascun cittadino.
Si tratta di una impostazione che mi rendo conto è difficile da far passare in un Paese fazioso come l’Italia, ma è l’unica strada se vogliamo costruire una nazione che sia di tutti, finalmente.
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