Il reddito minimo della malavita
Pubblicato su “Il Garantista” del 24 settembre 2015
L’operazione che ha portato all’arresto dei gestori della rete di spaccio a Cosenza ha rivelato un aspetto sul quale forse non si è riflettuto a sufficienza.
Pare che agli spacciatori si offriva un mensile di 350 euro, più qualche provvigione, per smerciare la “roba”. Chi magari si assumeva qualche rischio maggiore, come custodire la “merce”, guadagnava di più.
Può apparire sorprendente come, dentro un mercato in cui i soldi che girano sono parecchi e dove l’aspirazione al facile arricchimento è la prima molla che spinge nelle braccia delle organizzazioni malavitose, si riproducono le stesse dinamiche delle più antiche logiche capitalistiche: gli “operai” si pagano poco e proprio su quel lavoro si costruiscono immensi guadagni che, invece, restano prerogativa di pochi.
Come tutti i mercati anche quello della droga vive e prospera sul bisogno, in questo caso su quello di tantissimi “marginali” che vivono nelle aree periferiche e spesso degradate delle nostre città.
Tutto ciò dimostra quanto sia urgente introdurre misure di inclusione sociale soprattutto nel Mezzogiorno, perché quello ad un reddito minimo per poter vivere è un diritto che deve garantire lo Stato. Altrimenti ci pensa la criminalità organizzata.
Lo sosteneva un bravo e scrupoloso servitore dello Stato come Luigi De Sena.
Allo stesso modo mi sembra sia arrivato il momento di pervenire, in Italia, ad una legge che porti alla legalizzazione della cannabis. Il mercato della droga ed il potere mafioso ne riceverebbero un colpo decisivo. Con buona pace di chi, di fronte alla miseria ed alla marginalità sociale, vero brodo di coltura delle mafie, continua a girare la testa dall’altra parte.
ARTICOLO DE “IL GARANTISTA”
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