Il ritardo infrastrutturale ha origini preunitarie
Pubblicato su “Il Garantista” del 6 ottobre 2015
In questi giorni di intenso dibattito sulla necessità di superare il ritardo infrastrutturale del Mezzogiorno e segnatamente della Calabria è necessario, a mio parere, capirne le origini.
Da un punto di vista squisitamente storiografico la questione è facilmente risolvibile osservando, ad esempio, lo sviluppo del sistema ferroviario in Italia nell’800, prima ancora che essa divenisse uno stato unitario (17 marzo 1861). Il treno, nell’Ottocento, è stato infatti il simbolo stesso del progresso e il supporto fondamentale della modernizzazione e della industrializzazione delle nazioni.
In Italia, al momento dell’Unità, la situazione era la seguente: il Regno di Sardegna aveva 850 km di strade ferrate, come si diceva allora; il Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco 607 km; il,Granducato di Toscana 323 km; lo Stato Pontificio 132 km; il Regno delle Due Sicilie 128 km; i minuscoli Ducati di Parma e di Modena rispettivamente 99 km e 50 km.
Singolare il fatto che proprio il Regno delle Due Sicilie, il più esteso territorialmente che aveva inaugurato nel 1839 la prima linea ferroviaria italiana la Napoli-Portici, avesse il minor numero di km di binari.
Non parliamo poi del sistema viario: se guardiamo alla Calabria, a parte la strada che congiungeva Campotenese con Villa San Giovanni (tracciata in gran parte sull’antica via Popilia costruita dai Romani ed ammodernata da Gioacchino Murat) non esistevano strade vere e proprie e, nella maggioranza dei casi erano assai poco agevoli oltre che insicure per vie della presenza endemica del brigantaggio (a dispetto di certa storiografia neoborbonica che descrive quest’ultimo come un fenomeno di resistenza antiunitaria).
Non si trattava di un caso: il governo borbonico aveva scelto di puntare soprattutto sulla costruzione di una flotta mercantile per sostenere le proprie esportazioni agrarie. Basti pensare che per trasportare merci o persone da Paola a Rossano si andava per mare, via considerata più rapida e, soprattutto, più sicura.
Lo sviluppo del sistema ferroviario e viario nel Mezzogiorno comincia, quindi, dopo l’Unità d’Italia.
Dopo appena dieci anni il nuovo Regno d’Italia aveva già costruito quasi 7000 km di strade ferrate. Come nel resto del mondo, lo sviluppo delle ferrovie fu sostenuto soprattutto dallo Stato, il quale finì addirittura per statalizzare la miriade di società private proprio allo scopo di intervenire soprattutto nelle aree più deboli.
Il Mezzogiorno, che partiva dalla situazione peggiore, conobbe così il treno che, fino ad allora, era rimasto più che altro una curiosità limitata alla Campania.
Limitandoci alla Calabria la prima ferrovia ad essere realizzata, per finalità soprattutto militari, fu il tratto che da Taranto giungeva fino a Cariati.
Lo sviluppo della rete ferroviaria meridionale e calabrese proseguì, però, con maggiore lentezza rispetto al Centro-Nord, dove andava a sostenere una economia ormai protesa all’industrializzazione.
Si apriva, così il circolo vizioso che ancora rappresenta il vero ostacolo all’ammodernamento infrastrutturale del Sud: meno sviluppo=meno infrastrutture, meno infrastrutture=meno sviluppo.
Per restare alla Calabria, ad esempio, soltanto dopo più di 50 anni dall’Unità (1915) erano state completate le due direttrici costiere, la tirrenica e la ionica, con due tratte trasversali una Paola-Sibari e l’altra S.Eufemia-Catanzaro Lido. Per le aree interne era stata avviata la progettazione di una rete ferroviaria a scartamento ridotto, quella delle famose Calabro-Lucane, che sarà ripresa durante il fascismo e completata solo nel secondo dopoguerra, quando si decise di investire soprattutto sul trasporto su gomma, che culminerà con la realizzazione dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria.
Dopo la felice stagione degli anni ’60 e dei primi anni ’70 la questione dell’ammodernamento infrastrutturale del Sud ha poi subito un forte rallentamento dovuto non solo alla diminuzione delle risorse disponibili ma anche al diffondersi di una impostazione ideologicamente antimeridionalista, basata sulla illusione che per far ripartire l’economia nazionale fosse sufficiente investire sulle aree già forti e sviluppate.
La contemporanea esperienza della Germania che al momento della sua unificazione, invece, ha sostenuto il sistema economico ed infrastrutturale dell’est europeo, non ha fatto scuola, ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Anche la storia, pertanto, dimostra come il problema dell’ammodernamento del sistema infrastrutturale del Mezzogiorno e della Calabria non sia una questione di “terroni piagnoni e assistiti” ma la leva fondamentale della ripresa dell’intero Paese e rimane tutto nelle mani della capacità di lungimiranza delle classi dirigenti.
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