Gabriele Petrone

L’insostenibile voglia di test

Test

Da almeno un ventennio in Italia abbiamo importato la moda dei test o questionari. Si fa un questionario per tutto: per accedere ad un concorso, per iscriversi all’università, per valutare le capacità di leggere, scrivere e far di conto, perfino per fare la spesa al supermercato.

La moda delle crocette e delle risposte aperte o chiuse, di chiara ispirazione anglosassone, pervade ormai il nostro sistema formativo.

Al fondo di tutto ciò ci sta la convinzione che un test sia un sistema oggettivo di valutazione. La correzione affidata poi ad un computer propaga l’idea di una valutazione che sia quanto di più corretta possibile, in grado davvero di selezionare i migliori e, soprattutto, al riparo dal rischio di raccomandazioni.

I dati ci consegnano, purtroppo una realtà ben diversa.

Innanzitutto la qualità e la preparazione dei selezionati che, pur diminuendo in quantità, nonostante tutto, continua ad abbassarsi, in tutti i settori, come dimostrano le indagini comparate a livello internazionale (soprattutto quelle OCSE). Vale a dire che, ad esempio, per quanto riguarda i laureati ne abbiamo sempre meno e sempre meno preparati.

Stendiamo poi un velo pietoso sulla presunta oggettività affidata alle macchine: la stampa è piena di continue denunce su brogli, magari solo tecnologicamente più sofisticati.

La verità, come può testimoniare qualsiasi insegnante con un minimo di esperienza tra i banchi, è che il test può essere solo uno strumento tra tanti per una valutazione quanto più oggettiva delle capacità e delle competenze di uno studente.

Personalmente mi sono trovato spesso di fronte a ragazzi abilissimi nel rispondere a questionari ed a risolvere esercizi di grammatica e, nello stesso tempo, assolutamente mediocri nel saper scrivere anche brevi brani di senso compiuto o a comprendere semplici articoli di giornale. Al contrario molti ragazzi che nei questionari totalizzavano punteggi insufficienti erano in grado di scrivere in forma corretta e scorrevole, oltre che di leggere e comprendere al fondo il senso di testi anche complessi.

Questo perché valutare le capacità, le conoscenze e le abilità è fatto complesso perché complesso è l’essere umano. Perché il sapere non si acquisisce con le nozioni ma con la capacità di orientarsi criticamente in un mondo in continuo e vertiginoso cambiamento.

Una mondo che non si può racchiudere, per quanto sforzi si possano fare, né in una domanda a risposta multipla né nella memoria di un computer.

Adios, Gabo…

Gabriel_Garcia_Marquez

Ci sono autori che segnano la storia della letteratura.

Gabriel Garcia Marquez è stato certamente uno di questi. Il suo nome resterà tra i grandi di tutti i tempi.

Perché Marquez è uno di quegli autori che hanno saputo rappresentare la “magia” tragica e al tempo stesso ironica della storia umana.

Chiunque abbia letto Marquez ha avuto la possibilità di trovare nelle sue opere un pezzo del suo animo, della sua concezione del mondo. E’ questa l’essenza del suo capolavoro Cent’anni di solitudine. E come dimenticare la riflessione poetica sulla solitudine devastante del potere che possiamo leggere ne L’autunno del patriarca ? O il tema della vecchiaia e dell’amore che resiste anche all’usura del tempo magistralmente rappresentato in L’amore ai tempi del colera ?

La letteratura di Gabriel Garcia Marquez resta dunque un pezzo fondamentale della cultura contemporanea, della nostra cultura, della mia cultura.

Ecco perché oggi mi piace salutarlo con le ultime parole del suo romanzo Il generale nel suo labirinto dedicato a Simon Bolivar, il Libertador del continente Sudamericano.

Il generale nel suo labirinto

“Allora incrociò le braccia sul petto e cominciò a udire le voci raggianti degli schiavi che cantavano il salve delle sei nei frantoi, e vide dalla finestra il diamante di Venere nel cielo che se ne andava per sempre, le nevi eterne, il rampicante le cui nuove campanule gialle non avrebbe visto fiorire il sabato  successivo nella casa sbarrata dal lutto, gli ultimi fulgori della vita che mai più, per i secoli dei secoli, si sarebbe ripetuta”.

Quando c’era Berlinguer…

Funerali di Berlinguer

Dico subito che il film merita di essere visto.

Poi si può discutere sulle interpretazioni da dare sulla ricostruzione che Veltroni fa di alcuni momenti storici della vicenda politica del PCI e del suo leader Enrico Berlinguer. Io, per esempio, ho molte perplessità soprattutto nella ricostruzione del rapporto col PSI di Craxi, sulla scelta di intervistare l’ex leader delle Brigate Rosse Franceschini e di non intervistare anche altri protagonisti di quella stagione come ad esempio Achille Occhetto o Massimo D’Alema che fu Segretario nazionale dei giovani comunisti del PCI berlingueriano.

Diciamo pure che dal punto di vista storiografico il film non mi ha convinto molto. Una riflessione critica e storicamente fondata sul segretario del PCI e su quella stagione credo non sia stata ancora compiuta.

Confesso però che alcune testimonianze ed alcune immagini mi hanno commosso profondamente.

Quella di Giorgio Napolitano, ad esempio, che richiama l’esperienza di Berlinguer e alla fine si commuove quando rievoca quella “comunità” nella quale vissero l’impegno politico. O una lettera inedita nella quale Berlinguer spiegava come l’apoliticità non fosse altro che una forma più o meno esplicita di fascismo alla quale si deve contrapporre la politica che altro non è che l’attività umana più alta e nobile.

Nel sentire poi l’intervista dell’operaio veneto che assistette agli ultimi istanti di vita di Berlinguer nel suo comizio a Padova, non ho potuto fare a meno di pensare come quel bello e musicale dialetto che raccontava di grandi emozioni collettive e nazionali, oggi è usato come paravento ideologico di razzismi da bar dello sport che sproloquiano su secessioni da imporre dalla torretta di un trattore taroccato da carro armato. Un altro segno di come sia cambiato in questi ultimi trent’anni questo nostro Paese.

enrico_berlinguer

Tuttavia una speranza mi è rimasta accesa: ho visto il film insieme ad un amico con i nostri figli nati decenni dopo la morte di Berlinguer.

Proprio sulla politica, su quelle piazze stracolme di popolo e bandiere rosse, sulla nostra commozione ci hanno fatto più domande alle quali siamo stati felici di rispondere. Segno che un futuro, forse, è ancora possibile.

La vera differenza

alessandra-mussolini_maglia_LaStampa

Prendersela con la Mussolini per le colpe (ancora presunte) del marito mi sembra francamente barbaro.

Rimproverarle poi le sue passate posizioni su pedofilia e castrazione chimica mi sembra pleonastico oltre che crudele.

Di cosa la si rimprovera ? Di essere di destra e fascista ? E dove sarebbe la novità o la sua incoerenza visto che l’indagata non è mica lei, anzi, della situazione creata dal marito in qualche modo è lei stessa una vittima.

Né mi interessa fare discorsi sociologici o piscologici su una sessualità maschile che per sopravvivere ha bisogno di nutrirsi di ragazze sempre più giovani o su ragazzine che si prostituiscono per comprarsi l’IPhone o un paio di scarpe firmate.

Che la società di oggi possa generare mostri simili mi sembra, purtroppo, abbastanza frequente e dovremmo prendercela con noi stessi.

Se poi nella fattispecie sono stati commessi reati saranno i giudici a stabilirlo.

Personalmente continuo a pensare che la sessualità è una sfera privata e fino a quando non lede i diritti di persone altre immature o incapaci di poter scegliere consapevolmente, ognuno può fare quello che vuole.

Infine penso che il dolore, anche quando riguarda persone distanti anni luce dalla mia cultura, debba sempre essere rispettato.

La differenza tra destra e sinistra sta tutta qui.

Un’Italia da far rivivere. Giuseppe Zanfini, un Alberto Manzi calabrese.

Alberto Manzi

Alberto Manzi

Come tanti ho seguito la fiction “Non è mai troppo tardi” trasmessa dalla Rai nei giorni scorsi, e devo dire che mi è piaciuta ed a tratti anche commosso.

Non condivido dunque le critiche che le sono state mosse sul suo presunto carattere retorico e sulla circostanza di aver fatto del celebre maestro televisivo un “santino”.

In una Italia come quella di oggi, tanto disincantata, rozza e, lasciatemelo dire, anche tanto ostentatamente ignorante persino nel suo discorso pubblico, ben venga una fiction che parla di figure positive ed esemplari come Alberto Manzi.

Anni fa, agli inizi della mia collaborazione alla Cattedra di Storia della Pedagogia dell’UNICAL, scrissi un saggio dal titolo I pionieri dell’alfabeto con il quale ricostruivo la storia di tanti Alberto Manzi nella nostra Calabria del secondo dopoguerra.

La storia di maestri e maestre (chiamiamoli così, perché non erano solo degli insegnanti ma anche dei grandi educatori), spesso giovani segnati profondamente dall’esperienza terribile della guerra e della fine della dittatura fascista, della distruzione civile e materiale che queste avevano prodotto finanche nelle coscienze della gente comune che scelsero di dedicare tutte le loro energie alla lotta all’analfabetismo che nel Mezzogiorno era una piaga che riguardava quasi il 30% della popolazione (la media nazionale nel 1951 era del 12,9%) e nella sola Calabria si attestava a quasi il 32% (31,83%, oltre il 50% delle donne).

Fu uno sforzo immane, sostenuto dal Ministero della Pubblica Istruzione con i corsi di Scuola Popolare ma anche da tante associazioni benemerite come l’Unione Nazionale per la Lotta contro l’Analfabetismo fondata a Roma dalla pedagogista laica Anna Lorenzetto.

Fu proprio ricostruendo l’azione dell’UNLA che nel 1992 incontrai Giuseppe Zanfini. Lo incontrai nella sua modesta casa di Roggiano Gravina un pomeriggio d’inizio estate e restammo a parlare quasi quattro ore.

Giuseppe Zanfini

Giuseppe Zanfini

Quest’uomo anziano, mentre mi parlava, aveva negli occhi una luce che ancora, a distanza di anni, non riesco a dimenticare. Mi raccontò di quando, appena tornato dalla guerra fu nominato maestro fiduciario per Roggiano. Avrebbe potuto limitarsi a fare il suo dovere recandosi a scuola tutte le mattine per insegnare ai bambini, assai pochi a dire il vero, che riuscivano a frequentarla. E invece tutti i giorni si recava nelle campagne a parlare con le famiglie che non mandavano i propri figli a scuola, a convincerle, più con l’arma della persuasione che con quella della legge sul rispetto dell’obbligo, dell’importanza che i propri figli non rimanessero analfabeti.

Ricorse persino a mezzi singolari, come far interrompere proprio nel momento culminante le proiezioni cinematografiche dell’unica sala roggianese con richiami al dovere di mandare i figli a scuola. Spot a fin di bene, che dopo un uragano di bestemmie, andavano a buon fine.

Ma a Zanfini non bastava. Coglieva quotidianamente il dramma dell’analfabetismo dei suoi concittadini, soprattutto di quelli più poveri come i contadini.

Ne coglieva la diffidenza verso tutto ciò che era scritto, perché la parola scritta spesso per loro aveva significato soltanto il simbolo della loro miseria, della loro emarginazione.

Quando conobbe i dirigenti dell’UNLA ed Anna Lorenzetto, ne divenne il collaboratore più attivo e fondò a Roggiano Gravina un Centro di Cultura Popolare che diventò ben presto il punto di riferimento regionale di questa organizzazione.

I Centri di Cultura Popolare non si limitavano ad insegnare agli adulti a leggere e scrivere ma puntavano al recupero complessivo della persona analfabeta, al suo reinserimento civile e sociale. I Centri sorgevano nelle zone rurali o nei quartieri popolari delle città ed erano dotati di biblioteche, laboratori, perfino campi didattici per insegnare le nuove tecniche agricole. Al loro interno avevano una organizzazione democratica eletta direttamente dai centristi che programmava le attività. Erano, in buona sostanza, degli organismi sociali ai quali, oltre ai maestri dei corsi di scuola popolare incaricati dal Ministero, prestavano volontariamente la loro opera tutti coloro che potevano insegnare qualcosa o semplicemente dare il loro contributo (il medico, l’ostetrica, il parroco, il sindacalista, ecc.).

Per quasi vent’anni i centri di cultura popolare prosperarono in tutta la regione, alfabetizzando decine di migliaia di persone e offrendo loro la possibilità di conquistare quantomeno la licenza elementare o titoli di qualificazione professionale.

I centristi però fecero anche altro, contribuendo alla realizzazione di opere pubbliche di interesse generale attraverso la prestazione volontaria di giornate di lavoro. In questo modo furono risanati quartieri, costruiti edifici, realizzate strade.

Il Centro di Roggiano arrivò ad avere un edificio proprio dotato, cosa assolutamente unica in Calabria, persino di un laboratorio linguistico per la traduzione simultanea.

Delegazioni americane, svizzere e danesi furono coinvolte e chiamate a sostenere questa straordinaria azione di un popolo che si autoeducava.

Giuseppe Zanfini fu uno dei principali protagonisti di questa azione: insieme a lui tanti altri che meriterebbero di essere ricordati adeguatamente, anche al di fuori dell’ambito locale in cui operarono.

Alberto Manzi fu uno di questi uomini che decisero di darsi da fare: a lui toccò la notorietà della nascente televisione. Ma a sconfiggere l’analfabetismo furono in tanti, tra cui i nostri maestri calabresi.

Gente che scelsero, in un momento difficile per la loro terra, di non chiudersi nel semplice esercizio del loro dovere, ma di fare di più ed aiutare un popolo intero a fare di più.

Esempi di un’Italia da far rivivere. Per fare ciò non basta certamente una fiction, ma è pur sempre meglio dello spettacolo rissoso e volgare che spesso ci propina la nostra TV e non solo.

Renzi al governo ? E dov’è la sorpresa ?

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Come tutto lascia supporre Matteo Renzi riceverà fra poche ore l’incarico per formare il nuovo Governo. Già dalla prossima settimana, credo, riceverà la fiducia e potrà cominciare ad operare.

Considero l’esito di questa vicenda, cominciata dopo la non vittoria nelle recenti elezioni del centrosinistra, tutt’altro che una sorpresa.

Pertanto mi fanno ridere certe stupidaggini ideologiche sul non mandato popolare. Noi siamo una repubblica parlamentare e il premier lo indica, dopo consultazioni formali, il Presidente della Repubblica. E se proprio vogliamo essere onesti se Renzi ha avuto una legittimazione dalle primarie, l’ha avuta più come leader di governo che di partito.

Quanto a tutte le balle che si leggono e si dicono sul premier non eletto e sulle congiure di palazzo, poiché le ho sempre considerate una gran cazzata quando hanno riguardato altri leader (leggi D’Alema) le considero stupidaggini anche adesso.

La politica è matematica applicata e gli errori di valutazione si pagano sempre. Sbagliò valutazione, all’epoca, Prodi, ha sbagliato ora Letta.

L’insofferenza verso un Governo che pure si era fatto carico di affrontare un momento difficile ma che si era impantanato nelle difficoltà politiche che sono sotto gli occhi di tutti sono evidenti ed è inutile tornarci. Renzi riuscirà a superare queste difficoltà e guidare il Paese fuori dalla crisi politica, economica ed istituzionale che stiamo vivendo ? Questa è la vera domanda che dobbiamo porci ed è la domanda che si pongono gli italiani. Il resto è gossip da lasciare a dietrologi e a sfaccendati.

La mia paura è che, se Renzi dovesse fallire, raccoglieremmo solo macerie. Per questo motivo, soprattutto, non l’ho votato nel congresso e continuano a non piacermi atteggiamenti e comportamenti.

Ma il PD, nonostante tutto, è ancora un soggetto collettivo con una sua vita democratica. E’ l’unico partito vero rimasto in piedi.

Ieri al giovanotto di Firenze abbiamo consegnato tutta la leadership. A lui saperla usare bene e per il bene del Paese. A noi vigilare e mantenere in piedi un partito che possa, nella peggiore delle ipotesi, sopravvivere all’eventuale fallimento del suo leader.

GRAZIE AD ENZA BRUNO BOSSIO PER LA SUA POSIZIONE SULL’ITALICUM

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Sono troppo amico di Enza perché queste mie parole non sembrino condizionate da affetto e vicinanza. E tuttavia mi sentirei omissivo se oggi non la ringraziassi pubblicamente per la posizione da lei assunta in merito alla riforma della legge elettorale.

L’Italicum è pessimo e presenta gli stessi difetti del porcellum.

Se non verrà corretto in alcuni dei suoi punti più controversi (premio di maggioranza, soglie di accesso e liste bloccate) resta esposto a seri rischi di incostituzionalità. Renzi fa bene ad accelerare ma la democrazia è cosa troppo seria per gestirla con fretta e superficialità. Pesa poi l’ipoteca berlusconiana su tutto l’impianto che sacrifica la rappresentatività al populismo. Queste cose le sanno tutti, dentro e fuori il parlamento. Enza ha avuto il coraggio di essere coerente con quello che dice, anche al di là di schieramenti interni ed esterni. Al suo posto, io militante storico educato nei partiti-chiesa, non so se avrei avuto il suo stesso coraggio. Per questo la ringrazio.

La verità sulla demonizzazione delle preferenze

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L’autore di Indignatevi !, Stéphane Hessel,  poco prima di morire l’anno scorso scriveva che “l’attuale sistema dei partiti è in crisi, in Spagna come in altri Paesi. la gente non si fida dei partiti minati dagli scandali, dalla corruzione, e diretti da pesanti apparati che si preoccupano più della propria sopravvivenza politica e della spartizione di quote di potere che non di cambiare davvero le cose. Il sistema elettorale, soffocato in Spagna dal meccanismo delle liste chiuse e bloccate, impedisce il rinnovamento necessario“.

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Questo passo, tratto dalla sua ultima opera Non arrendetevi ! e che rappresenta un vero e proprio appello al rinnovamento della democrazia e il tentativo di dare una risposta alla crisi della politica e delle istituzioni in Europa (crisi che in Spagna è stata interpretata dal movimento degli indignados che proprio negli scritti di Hessel aveva cercato una base teorica), mi è tornato in mente in questi giorni in cui si discute di legge elettorale in Italia e soprattutto di preferenze si o no.

Il grande provincialismo della politica italiana, dopo l’obbrobrio del porcellum, non è riuscito a far altro che proporre l’imitazione di un sistema elettorale che, dove è applicato, la Spagna, è sottoposto a forte critica e contestazione e addirittura additato come responsabile primo della crisi politico-istituzionale. Insomma, rischiamo di prenderci un vestito che altrove non vedono l’ora di togliersi di dosso.

Il fantasma delle liste bloccate è tornato dunque ad aleggiare nel dibattito politico. Per giustificare ciò si sta riproponendo tutto il vecchio armamentario ideologico contro le preferenze, il sistema con il quale, tradizionalmente, in Italia gli elettori hanno sempre scelto i propri rappresentanti in presenza di liste plurinominali.

Le accuse più frequenti sono: 1) le preferenze esistono solo in Italia, 2) sono generatrici di corruzione perché comportano eccessive spese elettorali, 3) comportano una eccessiva personalizzazione della politica. Ma è tutto vero ? Proviamo a rispondere.

1) Le preferenze esistono solo in Italia. Mica vero. Proprio in Spagna la parte elettiva del Senato spagnolo è eletto con il meccanismo del voto limitato, vale a dire se i candidati in un collegio sono 4 se ne possono votare solo 3, se sono 3 solo due e così via. Meccanismi analoghi sono previsti per la selezione di candidati in liste plurinominali in altri sistemi elettorali (alcuni prevedono anche il voto di candidati di liste diverse) fino al sistema elettorale usato, per esempio, in Australia dove gli elettori sulla scheda trovano una lista di candidati con a fianco degli spazi sui quali scrivono con numeri l’ordine con il quale desiderano siano eletti i deputati di quella circoscrizione. Insomma, delle preferenze.

2) Le preferenze sono generatrici di corruzione perché comportano eccessive spese elettorali. Premesso che a commettere i reati sono le persone e non le leggi, tali difetti possono essere facilmente risolti con l’applicazione più stringente delle norme sui tetti di spesa consentiti e limitando l’ampiezza delle circoscrizioni elettorali. D’altro canto non mi pare che, con le liste bloccate, si sia contribuito poi in maniera così incisiva alla moralizzazione delle istituzioni parlamentari dal momento che persone accusate di essere corrotte o addirittura colluse con organizzazioni criminali hanno continuato ad farvi il loro ingresso e forse in maniera anche più semplice. I Batman, dunque, non sono figli delle preferenze ma della cattiva politica, che trova sempre il modo di farsi eleggere a prescindere dal sistema elettorale vigente.

3) Comportano una eccessiva personalizzazione della politica. Una critica francamente incomprensibile in tempi in cui la personalizzazione della politica è diventata regola e non eccezione, soprattutto in una fase storica in cui i partiti hanno perso il ruolo di organizzatori di interessi collettivi in nome di grandi valori ideali. Anche qui, dunque, fermare la propria attenzione ai soli meccanismi elettorali (senza contare che ce ne sono altri ancora più basati sulla personalizzazione, pensiamo ai collegi uninominali) significa scambiare l’effetto con la causa.

Sulla base di queste considerazioni e premesso che nessun sistema è esente da difetti, mi pare evidente che molte di queste critiche, in realtà, sono strumentali alla difesa del meccanismo delle liste bloccate che, a sua volta, è funzionale alla garanzia di ristrette nomenclature.

Insistere nel voler mantenere le liste bloccate, dunque, non solo significa andare contro la volontà della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica italiana (oltre il 65% non le vuole più e chiede o i collegi uninominali o le preferenze secondo un recente sondaggio Ipsos) ma anche ostinarsi a non comprendere che gran parte della contestazione che oggi investe la politica è il frutto del vero e proprio rifiuto e rigetto nei confronti di un parlamento fatto da “nominati”.

In Italia, del resto, solo in due momenti storici si è fatto ricorso a liste bloccate e gli italiani non hanno potuto scegliere i propri rappresentanti: durante il fascismo (che poi il parlamento finì per abolirlo del tutto) e con il porcellum che, statene certi, se non fosse stato”cassato” dalla Consulta, starebbe ancora tutto in piedi e in mano dei ristrettissimi gruppi dirigenti di partiti sempre più chiusi e autoreferenziali.

PS. Ultima questione di cui si parla: le primarie. Si dice che per far scegliere i cittadini siano sufficienti le primarie. Benissimo, come essere contrari ? A condizione, però che siano imposte per legge a tutti i partiti. Le leggi sono sempre erga omnes. In Germania, ad esempio, dove esistono le liste bloccate, i candidati sono selezionati dai partiti con una sorta di “primaria” che si svolge alla presenza di funzionari dello Stato. Può essere una strada, che deve però partire dal presupposto che i partiti italiani, come in gran parte d’Europa e del mondo democratico siano “costituzionalizzati” fino in fondo e sottoposti ad una legge che ne regoli, almeno in grandi linee, anche la vita interna e gli obblighi nei confronti dei propri aderenti. Si può fare ? Certamente, anche se resta da capire perché darsi tanta pena (ed aumentare anche i costi a carico dello Stato) per organizzare due momenti elettorali per dare al cittadino un possibilità di scelta dei candidati per garantire la quale è sufficiente consentire l’espressione di preferenze sulla scheda.

Corsi e ricorsi della legge elettorale

legge_elettorale

Renzi ha avanzato una proposta di legge elettorale presentandola come una grande novità per il nostro Paese.

La verità è che questo paese non ha memoria storica.

Nel 1882 la Sinistra Storica varò una legge elettorale maggioritaria a doppio turno molto simile a quella proposta da Renzi oggi basata su collegi plurinominali che assegnavano da un massimo di 5 seggi ad un minimo di due.

Solo che quella legge prevedeva la preferenza, perché l’elettorale aveva diritto a votare per i singoli candidati di una lista fino ad un massimo di 4 nei collegi con 5 candidati per tutelare la rappresentanza delle minoranze.

A nessuno veniva in mente di limitare il diritto degli elettori a scegliere i propri rappresentanti. Stiamo parlando di una legge dell’800. Meno male che oggi siamo progressisti.

 

Il veleno dei populismo e le liste bloccate

Liste bloccate schede

Il problema non è affermare una repulsa moralistica dell’incontro con Silvio Berlusconi.

I pistolotti moralistici li lascio tutti ai giustizialisti di professione che, a dire il vero, oggi vedo assai disponibili a concedere a Renzi ciò che non hanno concesso ad altri esponenti del centrosinistra negli anni passati.

Né c’è da scandalizzarsi che l’incontro si tenga nella sede del partito, salvo rilevare che questa va bene come set di una fiction mediatica mentre non va bene per tenervi le riunioni degli organismi.

In una democrazia normale è naturale che i leader di grandi partiti contrapposti si incontrino per definire le regole della contesa e lo facciano nelle sedi dei partiti.

Il problema è che questo incontro avvenga, nei fatti, sulla base di una visione sostanzialmente comune, quella cioè di una leadership che pretende di esaurire in sé la stessa funzione delle istituzioni della democrazia parlamentare.

Al di là dei modelli elettorali che, com’è noto, sono solo un primo passo per la soluzione di problemi ben più profondi del sistema politico italiano, Berlusconi e Renzi condividono una concezione populista che si illude di poter ridurre la politica al semplice esercizio della mission of leadership.

Per questi motivi la base vera del loro accordo è costituita dalle liste bloccate nell’illusione (Berlusconi lo sa bene perché ci è passato, ma a quanto pare non ha imparato) che “nominare” i parlamentari eviti a loro il “fastidio” di fare i conti con rappresentanze e territori e li metta al riparo da ribaltoni e trasformismi. La storia di questi anni, com’è noto, dimostra esattamente il contrario. Ed è un pezzo fondamentale della crisi politica italiana.

Dare una risposta seria, coerente e di prospettiva a questa crisi è un obiettivo ben più importante del destino di Letta, di Berlusconi, di Renzi o di Alfano. Invece a prevalere sono solo gli effetti venefici del populismo.

Dare questo tipo di risposte dovrebbe essere il primo assillo dei responsabili di grandi partiti che guardano innanzitutto all’interesse generale del paese prima che a quelli di parte o personali. Da Berlusconi non ci si può attendere certamente tutto questo. Dal segretario del primo partito del centrosinistra e dello stesso paese, si.

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