Gabriele Petrone

I veri statisti, il parlamento e la legge elettorale

Berlusconi e Renzi

I grandi statisti italiani sono stati davvero pochi, a contarli non riempiono le dita di una mano: Cavour, Giolitti, De Gasperi. Parlo solo, per comodità, di quelli che hanno avuto funzioni di governo, perché si può essere uomini di stato anche se costretti a ruoli di opposizione.

Questi uomini, pur nella diversità personali e di contesto storico in cui operarono, avevano però una caratteristica comune: tutti e tre erano straordinari parlamentari che mettevano proprio il parlamento al centro della loro azione politica.

Cavour Giolitti De Gasperi

Ora, per definizione, il parlamento è il luogo dove si esprime la rappresentanza attraverso eletti che sono espressione di pezzi di società e di territori diversi e, di conseguenza, portatori di interessi vari e spesso configgenti tra loro.

La forza di quei leader fu proprio essere riusciti a dirigere ed a dare un senso unitario a quelle spinte diverse e farle diventare una politica in momenti assai difficili della nostra storia. Esattamente lo stesso che seppero fare i loro omologhi in tutto il mondo democratico. Al contrario coloro che, anche in Italia, basarono le loro fortune (sempre temporanee e con effetti disastrosi per sé e per il loro paese) solo sulla propria leadership, hanno sempre avuto in odio il parlamento definendolo di volta in volta  o come inutile orpello e/o come il simbolo stesso di tutti i mali possibili.

La politica di oggi, in Italia, continua ad essere caratterizzata da questa seconda concezione: leaderhip assoluta, inizio e fine di sé stessa. Non è un caso, dunque, che l’accordo sulla legge elettorale Renzi e Berlusconi lo stiano trovando sull’unico vero punto condiviso, le liste bloccate.

Giuseppe De Rita su “Il Mattino” di oggi dice che “la paura di fare un flop induce i partiti ad affidarsi al carisma di uno solo. Ed è inevitabile che il leader cerchi di mantenere il controllo sui suoi eletti, perché correrebbe il rischio in Parlamento di non avere soldati in grado di seguirlo”.

E’ questo e solo questo il motivo della resistenza nei confronti delle preferenze (ma anche dei collegi a questo punto), a cominciare dai due leader sopracitati (con la sottolineatura che almeno Berlusconi lo dice senza ipocrisia). Le preferenze, infatti, rappresentano l’unico modo, in presenza di liste di candidati, lunghe o corte che siano, per dare agli elettori la facoltà di scegliere direttamente i propri rappresentanti. Allo stesso modo non si vogliono i collegi uninominali per evitare di essere “tediati” da qualche centinaio di “sindacalisti del territorio”  come, spesso inevitabilmente, diventano i parlamentari eletti in questo modo.

Per dire no alle preferenze poi, si usano argomenti lombrosiani, come se fossero queste la causa di tanti fenomeni degenerativi. La storia recente dimostra, invece, che non solo le liste bloccate del “porcellum” non hanno posto fine a tali fenomeni ma in alcuni casi li hanno addirittura favoriti.

Ma è mai possibile che nessuno sappia guardare alla storia recente di legislature in cui il tasso di migrazione politica o di trasformismo è aumentato rendendo instabili governi con maggioranze enormi come ha dovuto sperimentare lo stesso Berlusconi ? O forse che le liste bloccate hanno impedito l’ingresso in parlamento di persone che eufemisticamente non possono certamente definirsi degli stinchi di santo ?

Non si meni, dunque, il can per l’aia: le liste bloccate sono funzionali ad una concezione populistica che riduce tutto alla funzione salvifica della leadership. Ma la leadership da sola non sempre è sufficiente a dare risposte a problemi che sono tutti politici. Al massimo, quando va bene, fa vincere le elezioni. Ma per diventare statisti la strada è molto più lunga e difficile.

Sulla legge elettorale evitiamo furbizie riproponendo le liste bloccate

Urna elettorale

La sentenza della Corte Costituzionale è chiara. Sono incostituzionali sia il premio di maggioranza che distorce il principio democratico per il quale è possibile trasformare “una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea” , sia le liste bloccate che impediscono all’elettore di scegliere il proprio rappresentante.

“Non c’è”, infatti, (cito ancora testualmente la sentenza) “un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest’ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico. Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole”.

Stando così le cose la Corte non poteva che limitarsi a cassare le parti della legge palesemente incostituzionali perché altrimenti si sarebbe appropriata di prerogative legislative che non le competono. Le leggi le fa il parlamento, che ne ha, come è stato ribadito ancora una volta dalla stessa Corte, la piena legittimità e, anzi, il dovere.

In questo contesto va anche lettala questione relativa alle liste bloccate perché con il “porcellum” veniva a verificarsi “la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione” mancasse “il sostegno della indicazione personale dei cittadini che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)”.

In questa parte molti commentatori hanno voluto leggere un via libera a modelli elettorali di altri paesi, quello spagnolo e tedesco per intenderci, dove le liste bloccate esistono pur essendo molto corte (Spagna) e riferite a circoscrizioni assai piccole o limitate ad una parte degli eleggibili (Germania) essendo gli altri deputati eletti in collegi uninominali. In entrambi i casi i nomi dei candidati sono riportati sulla scheda.

Insomma, la tentazione che si possano riproporre, in forme più “potabili” le liste bloccate, cioè liste più corte ma pur sempre di nominati per essere espliciti, è assai forte. Ed è qui, che a mio parere i cittadini devono vigilare.

Perché se è vero che in Spagna e in Germania esistono liste bloccate è anche vero che in quei Paesi è cresciuta in questi anni l’insofferenza contro quelle leggi elettorali che non consentono il voto diretto al parlamentare da parte dell’elettore.

Non si comprende perché, dunque, dovremmo imitare sistemi elettorali che in quegli stessi paesi sono sottoposti a forti critiche e richieste di revisione. Senza contare che si trascura di dire che già nel sistema spagnolo, per quanto riguarda la parte elettiva del Senato (l’altra parte è delegata delle autonomie locali)  sono previste le preferenze. I senatori spagnoli, infatti, sono eletti con il meccanismo del voto limitato, vale a dire che gli elettori, se gli eleggibili in una circoscrizione sono, ad esempio, 4 ne possono votare fino ad un massimo di  tre.

Riproporre nella nuova legge elettorale le liste bloccate sarebbe dunque un errore che non farebbe che alimentare la contestazione antipolitica, perché farebbe rientrare dalla finestra ciò che si è cercato di cacciare via dalla porta, vale a dire un parlamento di “nominati”.

Ecco perché la nuova legge elettorale, anche (e io dico soprattutto) su questo punto non può permettersi furbizie che non farebbero che alimentare l’insofferenza dei cittadini.

Le uniche due forme nelle quali l’elettore può scegliere direttamente il proprio rappresentante sono la preferenza e il collegio uninominale. Personalmente preferisco la prima, soprattutto la doppia preferenza di genere che consente alle donne di poter concorrere alla pari degli uomini alla possibilità di essere elette. Ma le forme per garantire questo diritto di scelta degli elettori possono essere diverse, anche guardando all’Europa con occhi meno strabici di quanto spesso si fa (la non citazione del metodo di elezione del Senato spagnolo è, a mio parere, emblematica).

Le forze politiche in parlamento ne scelgano uno, ma decidano, perché fare una buona legge elettorale rappresenta un passo fondamentale anche se non sufficiente per dare finalmente un nuovo assetto alla democrazia italiana.

Su Caterina Simonsen si dovrebbe avere soltanto il buon gusto di tacere

Caterina Simonsen

Sul caso di Caterina Simonsen si possono dire tante cose e tutte possono essere inopportune o comunque inadeguate.

Una cosa è comunque certa; l’aggressione che questa ragazza di 25 anni ha subito per aver difeso, sulla base della tragica esperienza della sua vita di malata grave, la sperimentazione medica sugli animali, è vergognosa. Ma dico di più, lo sarebbe stata anche se non fosse stata ammalata e non avesse mostrato nei suoi video la cruda realtà degli effetti della sua malattia.

Per questo motivo sono convinto che la prima considerazione da fare sia proprio la denuncia del degrado che ormai investe lo stesso vivere civile in questo nostro Paese.

E’ mai possibile che non si riesca a discutere nelle forme dovute un qualsiasi argomento, esprimere le proprie opinioni ed ascoltare quelle degli altri senza abbandonarsi alle invettive e agli insulti ? E’ mai possibile che su ogni questione ci si debba dividere in tifoserie contrapposte, in guelfi e ghibellini facendo delle diverse posizioni dei veri e propri stendardi ideologici ?

E’ divenuto davvero insopportabile che, soprattutto dopo la diffusione dei social network, la cifra che si coglie in ogni discussione è quella violenta e aggressiva della prevaricazione e della negazione della stessa legittimità dell’altro, chiunque esso sia, qualunque cosa dica.

Sappiamo tutti che molti di questi comportamenti dipendono dal pessimo esempio che spesso propinano sui mass media i tanti esponenti della classe dirigente che hanno ridotto il nostro dibattito pubblico ad una versione degradata delle dispute da bar dello sport, ma non sarebbe ora di darci un taglio una volta per tutte ?

Io so solo che è difficile, per chi è malato o sta vicino ad un malato, non vivere ogni opportunità che la scienza medica offre, come una speranza. So anche che la stessa scienza, come tutti i prodotti umani, spesso si divide più sulla base delle convinzioni ideologiche di chi la produce che sugli effetti oggettivi delle sue scoperte. E  tuttavia compito di una classe dirigente, a tutti i livelli, è tentare di dare risposte a questi problemi, partendo dal principio della difesa ad ogni costo della vita umana e della sua dignità.

In fondo è ciò che Caterina ci ha chiesto con i suoi appelli, esprimendo fino in fondo la sua grande voglia di vivere. E francamente, di fronte alla lotta per la vita di una ragazza di 25 anni si dovrebbe avere soltanto il buon gusto di tacere e vedere come tutti possiamo fare qualcosa per salvarla.

MACALUSO: LA QUESTIONE MORALE DI BERLINGUER NON ERA GIUSTIZIALISMO

Copertina del libro

Ho finito di leggere l’ultimo libro di Emanuele Macaluso Comunisti e riformisti. Togliatti e la via italiana al socialismo (Milano, Feltrinelli, 2013). E’ un libro intenso e profondo che affronta con lucidità alcuni dei nodi più stringenti dell’evoluzione storica della sinistra italiana e riflette sulle radici dei tanti problemi che essa vive ancora oggi.

In questa sede voglio solo offrire un passo tra i tanti che mi hanno colpito e che condivido. Macaluso parla, infatti della questione morale posta da Enrico Berlinguer e rileva come la lettura che ne è stata data, soprattutto a posteriori, risulti essere falsata in quanto essa, sia pure gravissima, non può essere posta come il solo discrimine all’interno della società trascurando e oscurando la “questione sociale e tutto il complesso di battaglie che da sempre danno senso a una politica di sinistra” (cfr. p. 120).  La questione morale, dunque, “si è purtroppo venuta intrecciando con il giustizialismo. L’effetto è stato quello di offuscare la questione sociale, i tratti distintivi del riformismo socialista e le questioni connesse alla ricomposizione della sinistra. Il ruolo assegnato da tutti i dirigenti del PDS/DS/Ulivo/PD a un politicante come Antonio Di Pietro e al suo partitino personale e clientelare, è stato solo un segnale della deriva del centrosinistra al governo e all’opposizione negli anni in cui non è stato possibile tracciare una strada per rinnovare il sistema ormai usurato della Prima repubblica. E più recentemente, in occasione delle elezioni del febbraio 2013 un altro magistrato, Antonio Ingroia, aveva accantonato (non lasciato) la toga di pubblico ministero e pubblico predicatore, per capeggiare una lista patrocinata anche da Di Pietro e un altro pm, De Magistris, in cui si ritrovano i residuati di guerre perdute, Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani, Verdi ridotti al verde; con il sostegno di un giornale di successo come Il Fatto Quotidiano che ha sposato la via giudiziaria alla democrazia. L’insuccesso elettorale di Ingroia e soci non deve farci sottovalutare una deriva che non nasce dal nulla, ma dalla corrosione morale della politica aggravatasi negli anni del berlusconismo e dall’incapacità della sinistra di imporre il primato della questione sociale e una battaglia politica nella lotta alla mafia e alla corruzione.

I masanielli in toga sono stati assunti (anche nel PDS/DS/PD) come testimoni della purezza della sinistra; ora si sono messi in proprio e al loro seguito vediamo pezzi del vecchio e del nuovo estremismo parolaio”. (pp.123-124).

Bastoniamo don Abbondio !!!

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Ne I promessi sposi un personaggio centrale è certamente il curato don Abbondio, quello che minacciato dai “bravi” di Don Rodrigo, si rifiuta di celebrare le nozze tra Renzo e Lucia e innesca il complesso processo narrativo del romanzo manzoniano.

Don Abbondio è un personaggio comico nel suo crudo realismo: un povero prete di campagna messo di fronte ad avvenimenti più grandi di lui e che reagisce nell’unico modo che conosce, fuggendo dalle proprie responsabilità.

Quelle responsabilità alle quali lo richiama il cardinale Federigo Borromeo e che però trovano il nostro assolutamente incapace di comprendere. Le parole appassionate del cardinale, infatti, non lo smuovono, prova anzi disappunto nel riconoscere nelle argomentazioni dell’alto prelato le stesse che, all’inizio della storia, aveva usato con lui l’umile Perpetua, ha voglia di scappare e pensa tra sé “che sant’uomo, ma che tormento” fino a sbottare nella famosa frase: “Il coraggio chi non ce l’ha non se lo può dare”.

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E’ questa frase che lo rende simpatico, quasi che Manzoni, da grande artista ci dica: si dovremmo prenderlo a bastonate a questa bestia, ma in fondo egli non può essere diverso da quello che è, un povero uomo piccolo piccolo, un ignavo di cui al massimo sorridere se non con comprensione almeno con indulgenza

E in verità il prete manzoniano le bastonate se le merita tutte: perché Don Abbondio è il classico debole con i forti e forte con i deboli. Si comprende questo aspetto del suo carattere quando la famosa notte in cui doveva celebrarsi il matrimonio a sorpresa, lo stratagemma con il quale lo strappano dal letto è la restituzione di un prestito, segno che il nostro era uso a prestar denaro ad interesse, un’attività tutt’altro che consona al suo ruolo di “pastore di anime”.

Don Abbondio nel momento cruciale sceglie la strada che gli sembra più semplice e non quella, certamente più difficile che pure Perpetua in tutta la sua umiltà, aveva saputo indicargli. Come tanti, come troppi.

Troppe volte chi dovrebbe prendersi le responsabilità,  piccole o grandi che siano, del proprio ruolo, fugge o ne scarica il peso sugli altri senza curarsi che i danni del suo comportamento finiranno per pagarli tutti.

Senza contare che spesso sono proprio questi “don Abbondio” a indossare la veste dei moralisti o, peggio, degli implacabili inquisitori dei mali della “serva Italia, di dolore ostello”, senza riflettere sul fatto che di don Abbondio ce ne stanno in tutte le categorie: imprenditori, professionisti, giornalisti, dirigenti, funzionari, semplici impiegati, insegnanti, politici, operai, ecc., nella gente che semplicemente non fa il proprio dovere.

Perché fare il proprio dovere non significa “fare gli eroi” (nemmeno a Don Abbondio si chiedeva questo) ma semplicemente assumersi le proprie responsabilità.

Ecco perché i tanti don Abbondio dei nostri tempi, quelli che spesso sollevano forche e forconi sempre contro gli altri, dovrebbero interrogarsi su quante bastonate loro stessi hanno già meritato di beccarsi sul groppone.

Per tentare di dire no agli LSU ed LPU calabresi M5S, Forza Italia e Lega hanno detto tante stupidaggini e hanno riesumato vecchi pregiudizi.

Manifestazione LSU LPU

C’è una deputata calabrese del Movimento 5 Stelle che in queste ore si è spesa molto per definire un maledetto imbroglio l’emendamento del centrosinistra (quello firmato da Aiello, Bruno Bossio, Censore e altri per intenderci) che ha avviato, finalmente, la contrattualizzazione dei lavoratori LSU ed LPU della Calabria.

Con grande candore e convinzione la deputata in questione ha difeso l’emendamento cinquestelle che invece prevedeva il solo pagamento delle spettanze arretrate e l’avvio di concorsi con cui coprire i posti vacanti degli enti pubblici (quelli, si presume, occupati ora dagli LSU ed LPU).

Insomma il maledetto imbroglio sarebbe un percorso che garantisce la contrattualizzazione e un chiaro percorso di stabilizzazione (e ci mette anche i soldi) mentre pagare solo il dovuto e poi dire agli oltre 5000 precari calabresi andate a casa che il lavoro che state svolgendo ora lo mettiamo a concorso (e forse vi facciamo partecipare) sarebbero le magnifiche sorti e progressive ? Lasciamo perdere !!!

Per quanto mi riguarda questo modo di ragionare non mi sorprende: esso coincide con l’idea di fondo espressa anche da Forza Italia e dalla Lega: disprezzo per il pubblico impiego e pregiudizio antimeridionale.

Bisognerebbe spiegare alla diligente esecutrice della linea Grillo-Casaleggio (e ovviamente anche agli esponenti di Lega e Forza Italia) che i lavoratori LSU ed LPU hanno già superato una selezione basata sull’anzianità di iscrizione agli uffici di collocamento quando sono stati assunti per qualifiche che non prevedevano la procedura del concorso.

Bisognerebbe spiegare ancora che gran parte di questi lavoratori, pur essendo diplomati o addirittura laureati, si sono adattati a svolgere mansioni assai inferiori alla loro qualificazione e che il blocco del turn over nella pubblica amministrazione li ha portati a ricoprire progressivamente mansioni superiori. Tutto ciò per il semplice motivo che gli enti in cui lavoravano non avevano altro personale cui affidare queste mansioni e sarebbero stati costretti a non garantire i servizi essenziali.

Va detto, inoltre, che un percorso di contrattualizzazione prevede, come prescrive la legge, le procedure di riconoscimento delle mansioni superiori svolte dal lavoratore e la sua anzianità di servizio anche attraverso procedure concorsuali “interne” (altrimenti non si comprenderebbe a cosa servono i contratti !!!).

Ma c’è qualcosa di più: capisco la politica e anche le esigenze della polemica “antipolitica” di chi si sforza di svolgere il compito assegnatogli dai leader, ma come è possibile che questa deputata, che è nata e abita in Calabria, non si sia accorta che dietro il viso dell’impiegato o dell’impiegata che magari a lei stessa ha allungato il certificato da dietro lo sportello del suo Comune c’è magari un LSU o un LPU, cioè una persona che da quasi vent’anni svolge un lavoro sottopagato e senza alcun diritto ?

Io penso che nella risposta a questa domanda risieda, al di là delle chiacchere, il vero confine tra buona e cattiva politica.

Perché la decisione della Consulta sul porcellum è ineccepibile

L'Ora della Calabria

Pubblicato su Portale de “L’Ora della Calabria” il 6 dicembre 2013

La decisione della Corte Costituzionale è assolutamente ineccepibile e non ci voleva uno scienziato del diritto per prevedere come sarebbe finita. Nei giorni scorsi torme di “costituzionalisti da bar dello sport” si sono prodigati nel tentativo di prefigurare scenari che in realtà corrispondevano solo alla volontà che nulla cambiasse. Ed in effetti il porcellum è stato, in questi anni, come quella donnaccia che tutti disprezzavano in pubblico di giorno e che di notte tutti andavano a trovare di nascosto.

Oggi, a mente fredda, si può valutare fino in fondo la portata della decisione della Corte cercando di rispondere ad alcune domande che pure emergono in queste ore e che tendono a ridurre la sentenza ad una dimensione politica che invece, oggettivamente, non ha.

Prima questione: il premio di maggioranza. Che un premio di maggioranza assegnato alla coalizione o lista che conseguiva la maggioranza relativa dei voti validi senza una soglia minima per potervi accedere fosse incostituzionale era ed è abbastanza evidente.

Un sistema simile poteva aver senso in un quadro politico almeno all’80% bipolare (ed è stato così fino al 2008) ma risulta assolutamente antidemocratico in una situazione nella quale le coalizioni sono più di due, come si è evidenziato in questa legislatura con tre coalizioni-liste che hanno preso ciascuno un terzo dei voti validi, più una quarta che ha preso un decimo ed il premio di maggioranza alla Camera è stato assegnato alla coalizione che ha prevalso sulle altre per appena 300mila voti. In buona sostanza prende il premio chi ha preso poco più di un terzo dei voti dei cittadini e il restante 70% rimane in minoranza pure essendo oltre la maggioranza assoluta. Si aggiunga poi che il premio di maggioranza su base regionale del Senato non ha dato in quella camera nessuna maggioranza ed ha determinato la condizione di stallo che ha portato alla situazione attuale. Neanche il primo governo Mussolini aveva avuto il coraggio di introdurre un premio di maggioranza così abnorme senza una soglia minima (fissata nel 1924 al 25 %).

Un premio di maggioranza ha senso e si motiva per una coalizione o una forza che abbia superato almeno il 40% dei voti validi, quindi una maggioranza relativa sufficientemente consistente per definire la volontà prevalente dell’elettorato, altrimenti lede il principio fondamentale secondo il quale in democrazia governa la maggioranza.

Seconda questione: le liste bloccate. Anche sulla incostituzionalità delle liste bloccate non possono esserci molti dubbi: gli art. 56 e 58 della Costituzione, infatti, stabiliscono chiaramente che deputati e senatori sono eletti a “suffragio universale e diretto”. Significa che è l’elettore che elegge direttamente il proprio rappresentante, se l’italiano non è un’opinione. Mi sapete dire, invece, in quale modo gli elettori potevano esercitare questo diritto costituzionale ? Con il porcellum, infatti, all’elettore era consentita soltanto la ratifica di una decisione presa a priori dal compilatore della lista che assegnava le posizioni “eleggibili”. Senza contare che, con il meccanismo delle diverse candidature in più circoscrizioni e le opzioni successive degli eletti, l’elettore non decideva neppure che quella lista, con quella composizione, fosse effettivamente quella eletta nella sua circoscrizione.

Le liste bloccate, d’altro canto è in contrasto anche con l’articolo 67 della Costituzione secondo il quale “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Come poteva esercitare questa funzione di rappresentanza e questa libertà di mandato il parlamentare la cui elezione non dipendeva dai cittadini-elettori ma dal compilatore della sua lista ?

Terza questione: il voto a maggioranza sulla norma delle liste bloccate. La Corte Costituzionale,  a quanto emerge sia dal comunicato finale che da successivi interventi di insigni costituzionalisti, non si è divisa sulla incostituzionalità delle liste bloccate che è invece altrettanto chiara come quella del premio di maggioranza, ma sulla opportunità di intervenire su un punto che, nei fatti, avrebbe dato alla Corte un potere “attivo e positivo” di intervento su una legge, potere che spetta esclusivamente al legislatore.

Per lo stesso motivo non poteva valere la tesi della cosiddetta “reviviscenza” della legge precedente, il cosiddetto mattarellum perché sulla questione la Corte si era già espressa dichiarando inammissibili i referendum di appena un anno e mezzo fa che avevano raccolto oltre un milione e mezzo di firme e che si ponevano appunto questo obiettivo.

Una consolidata giurisprudenza in materia elettorale, infatti,  nega la possibilità di abrogazioni totali e il ripristino di norme precedenti, poteri che appartengono soltanto, è bene ribadirlo, al legislatore. Gli interventi in materia elettorale di organi come la Corte Costituzionale (così come i referendum popolari abrogativi), possono riguardare singole parti, fermo restando che ciò che resta deve essere comunque una legge funzionante di cui il corpo elettorale possa servirsi in ogni momento. Nessuna democrazia può, infatti, restare anche un secondo senza una legge che regola l’elezione dei propri organi rappresentativi.

Alla fine, dunque, i Supremi Giudici sono pervenuti, sia pure a maggioranza, alla decisione che un intervento su questo punto avrebbe semplicemente ripristinato la vecchia norma, valida fino al ’94, della preferenza, una norma che, del resto, resta attiva ed operante in altri livelli istituzionali (Comuni, Regioni, elezioni per il Parlamento Europeo). Ciò che resta, in attesa della pubblicazione della sentenza fra qualche settimana, è, dunque, un sistema elettorale proporzionale puro con preferenza unica. Né più e né meno che la legge con la quale l’Italia ha votato dal 1946 al 1994.

Quarta questione. Gli effetti della sentenza. Dunque, se il porcellum è illegittimo sono anche illegittimi i parlamenti eletti dal 2006 ad oggi e tutte le leggi e provvedimenti emanati in questo periodo ? Assolutamente no e lo sa bene anche chi utilizza questo argomento in queste ore per bassa polemica politica. Come diceva giustamente Michele Ainis in un suo editoriale di poche ore prima della sentenza, se una legge vieta la fecondazione assistita dovremmo forse uccidere il bambino nato con l’applicazione di una legge dichiarata illegittima ?

La stessa Corte sottolinea, nello scarno comunicato di ieri, che il Parlamento può operare ed “approvare nuove leggi nel rispetto dei principi costituzionali”. Vuol dire che il Parlamento è assolutamente legittimato nelle sue funzioni costituzionali.

Quinta questione. Perché la Corte Costituzionale non è intervenuta prima ? Semplicemente perché non ne era stata investita. In Italia (come in altri paesi, del resto) la Corte interviene su ricorso di organi e non di comuni cittadini. E’ stata la tenacia di alcuni ricorrenti che sono arrivati sino in Cassazione (e poi quest’ultima ha “girato” il ricorso alla Corte Costituzionale) a portare a questa sentenza che è certamente storica. E dobbiamo tutti ringraziarli.

Conclusioni. La sentenza della Consulta è, dunque, assolutamente ineccepibile. Essa non si è assunta la responsabilità di “fare” una nuova legge né ha fatto rivivere una legge abrogata semplicemente perché non ne aveva il potere, potere che appartiene soltanto al legislatore. Si è limitata soltanto a cassare la legge esistente delle norme costituzionalmente illegittime. Ora spetta al legislatore ed alla politica fare una nuova legge elettorale che risponda ai principi fondamentali delle democrazie moderne: rappresentatività dei cittadini e dei territori e governabilità.

Resta solo l’amara considerazione che si è perso fin troppo tempo e il solco della politica rispetto al comune sentire dei cittadini si è ulteriormente approfondito.

Cosenza, li 5 dicembre 2013

Gabriele Petrone

 

IL PORCELLUM E’ INCOSTITUZIONALE…NOMINATI E GIOCATORI DA TRE CARTE SI RASSEGNINO.

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La Consulta oggi, con una decisione assai rapida e senza rinvii, ha decretato la fine del porcellum dichiarando incostituzionale sia il premio di maggioranza sia le liste bloccate.

La sentenza, le cui motivazioni saranno rese note nelle prossime settimane (e da quel momento diverrà esecutiva), è ineccepibile e dice la parola fine a tante stupidaggini e giochini da tre carte che pure si erano letti in questi mesi.

Nel mio piccolo, pur non essendo un costituzionalista ma un semplice professore di lettere, avevo già scritto nei giorni scorsi e sono felice di essere stato confermato nelle mie convinzioni.

Negli anni passati ho sostenuto tutte le iniziative referendarie tendenti ad abolire questa legge, anche raccogliendo le firme e aderendo ai comitati nazionali.

Oggi questa sentenza dà ragione a me e ai tantissimi italiani che in tutte le occasioni hanno mostrato tutta la loro insofferenza verso questa che è davvero una “legge porcata”.

La legge Calderoli, alias porcellum è stata il vero “colpo di stato” di questi anni. Essa ha infatti cancellato nello stesso tempo il diritto dei cittadini di scegliere i propri rappresentanti e il loro diritto di essere rappresentati quali abitanti di un territorio, ha delineato i contorni di una democrazia plebiscitaria in cui ci si affidava al leader che sceglieva tutto e per tutti. Per tacere del premio di maggioranza abnorme che neanche il primo governo Mussolini aveva mai avuto il coraggio di introdurre senza una soglia minima.

Non è un caso che Berlusconi, coerentemente, oggi è l’unico che ufficialmente rimpiange il porcellum e boccia la Corte Costituzionale come un organismo “di sinistra”.

Ma potete star certi che sono molti, in queste ore, a piangere in silenzio ed a masticare amaro, anche a sinistra, soprattutto tra coloro che, considerandosi illuminati portatori di magnifiche sorti e progressive, hanno sempre declinato la concezione della cosiddetta democrazia “per nomina” (sic).

Comunque vada, sia se il parlamento, come sarebbe suo dovere a questo punto, farà una nuova legge sia se, invece, resterà fermo e paralizzato nella sua impotenza, un parlamentare per essere eletto dovrà metterci nome e faccia. Non ci sarà più il caro leader o il capocorrente che lo tutela a Roma. L’unica sua tutela dovrà cercarsela sul territorio chiedendo il consenso a cittadini in carne ed ossa, con la loro storia, le loro speranze e, soprattutto, i loro problemi, assumendosi responsabilità e compiendo scelte, dicendo si o no.

E’ la democrazia bellezza.

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