Bersani
GOVERNO LETTA: FARE I CONTI CON LA REALTA’…
Non voglio valutare questo governo dalla sua composizione. Alcune scelte mi piacciono altre meno. Resto convinto che se si fosse perseguita la strada del governo che la realtà delle cose ci imponeva di percorrere sin dall’inizio non solo non avremmo perso tutto questo tempo, ma il PD forse starebbe meglio e Bersani sarebbe oggi Presidente del Consiglio.
Sin da subito, infatti, era chiaro a me, che non sono un premio Nobel, che:
a) non si poteva tornare a votare perché, con questa legge elettorale, avremmo solo riprodotto l’instabilità;
b) che, quindi, bisognava fare un governo che mettesse mano all’emergenza economica e istituzionale del Paese;
c) che i grillini erano e restano indisponibili ad ogni assunzione di responsabilità di governo perché interessati, per loro espressa dichiarazione, alla destrutturazione del sistema rappresentativo.
Quindi, quello varato da Enrico Letta è l’unico governo possibile in questa situazione.
Si poteva fare meglio ? Credo di sì.
E’ il governo che volevo ? Certamente no.
Ma bisogna fare i conti con la realtà. La realtà che ci ha consegnato il voto del 24 e del 25 febbraio.
Il resto sono chiacchiere e di chiacchiere non se ne sente davvero più alcun bisogno.
E’ BELLO SENTIRE VICINO IL TUO PARTITO IN QUESTO MOMENTO…
BERSANI: SE RESTANO QUESTE NORME SULLA SCUOLA NOI NON LE VOTIAMO
“Voglio dirlo con chiarezza: noi non saremo in grado di votare così come sono le norme sulla scuola, sono norme al di fuori di ogni contesto di riflessione sull’organizzazione scolastica e finirebbero per dare un colpo ulteriore alla qualità dell’offerta formativa”, afferma Pier Luigi Bersani, a proposito delle disposizioni contenute nella legge di stabilità.
Nel rispetto dei saldi, “chiediamo al Governo di rendersi disponibile a modifiche significative. Noi metteremo attenzione alla questione fiscale cercando una soluzione più equa e più adatta ad incoraggiare la domanda interna”. Il Pd, aggiunge Bersani, “metterà attenzione al tema ancora aperto degli esodati”. Ma le norme sulla scuola, per il segretario Pd, “così come sono non saremo in grado di votarle”. “Voglio credere – conclude il leader dei democratici in un comunicato – che ciò sarà ben compreso dal Governo. Diversamente saremmo di fronte ad un problema davvero serio”.
Per un pugno di voti il Molise rimane al centrodestra. Per il PD resta aperto il problema delle alleanze.
In Molise con il 46,94 % il candidato del centrodestra Angelo Michele Iorio si conferma per la terza volta alla guida della piccola regione seguito con il 46,15 % dal candidato del centrosinistra Paolo Di Laura Frattura. Uno scarto in termini assoluti di appena 1500 voti.
Dita puntate su Grillo che con il suo 5,6% avrebbe impedito al centrosinistra di vincere. Franceschini li accusa di aver fatto vincere “un inquisito”.
Ora, francamente io credo che dare la colpa a Grillo di non essersi alleato con il centrosinistra in nome dell’antiberlusconismo sia un grave errore politico. Intanto perché è davvero singolare pensare che Grillo e il suo movimento che interpreta pienamente e coerentemente l’antipolitica italiana possa essere suscettibile di un’alleanza di governo, anche a livello locale.
Pensare a Grillo come l’ennesimo partito o movimento del centrosinistra da aggregare nel “Fronte popolare anti-Berlusconi” è la rappresentazione del limite profondo che ancora pervade la strategia delle alleanze di governo del PD. Primo perché Berlusconi, nonostante le fiducie, non è eterno e secondo perché un’alleanza siffatta, pur vincente, non sarebbe in grado di governare (l’esperienza dell’Unione sta ancora lì, tutta, a ricordarci il limite di quella politica e che ci spinse, giustamente, a dare vita al PD).
La strutturazione del Centrosinistra di Vasto, PD+IDV+SEL non è sufficiente non solo numericamente, ma politicamente.
Tenere insieme chi propone il ritorno alla legge Reale dopo i fatti di Roma con chi fino a ieri dichiarava che Carlo Giuliani era un eroe è un’operazione che non ha la minima credibilità e quando si andrà a votare non potrà non emergere e anche se si vincesse non potrebbe non pesare.
Di Pietro, che qui ha eletto il suo “Trota” consigliere regionale è un populista che in qualunque democrazia “normale” troverebbe la sua naturale collocazione nella destra, magari in quella cosiddetta “sociale” che nel Parlamento europeo raggruppa gli esponenti di Jean Marie Le Pen o i post-falangisti spagnoli.
Un’altra contraddizione è costituita da Vendola e da SEL, che si configura come una riedizione, neppure tanto nuova, del PRC bertinottiano. La notizia riportata oggi dal Corriere della Sera secondo la quale SEL avrebbe mediato con il “movimento” per un certo tipo di corteo in cambio di candidature tipo quelle che portarono i no global Caruso e Agnoletto nelle tanto bistrattate ma allo stesso tempo tanto spasmodicamente cercate istituzioni “borghesi”, se vera, rileva una difficoltà di fondo per Vendola di staccarsi da un retaggio politico caratterizzato da un antagonismo marginale e comunque assolutamente incompatibile con il profilo e la funzione di una sinistra moderna che si candida addirittura a guidare un grande Paese europeo come l’Italia.
Se poi guardiamo ai risultati delle liste balza subito agli occhi la buona affermazione dei socialisti, che passano dal 3 al 5 % (superando i grillini che come liste arrivano appena al 3 % e non conquistano neppure un seggio), il 9 % del PD (pochino) e l’altrettanto deludente risultato di Di Pietro (8,37%), che nella sua regione, con il figlio candidato perde in voti (quasi 2000) e percentuale. SEL e Rifondazione Comunista insieme superano di poco il 6%. Nell’altro campo l’UDEUR oggi alleata con il centrodestra e l’UDC più altre formazioni di centro superano abbondantemente il 15 % senza contare alcune civiche riferibili più o meno al Terzo Polo.
Le indicazioni elettorali sono quindi assai chiare e dovrebbero consolidare una strategie delle alleanze del PD diversa, in cui inclusioni ed autoesclusioni siano fatte sulla politica e non sul richiamo ad un frontismo parolaio e massimalista. Pensare che la questione si possa risolvere includendo un altro parolaio e massimalista a quelli che già affollano l’attuale centrosinistra non solo è sbagliato ma criminale.
Stiamo attenti che la fine di Berlusconi non trascini con sé anche questo centrosinistra.
La fine del lungo ciclo di governo di Berlusconi sembra essere ormai giunta. Avviene nel peggiore dei modi per il Cavaliere, assediato da inchieste giudiziarie, da gossip velenosi, dal ludibrio internazionale.
Al di là del fatto se riuscirà a mantenere una maggioranza parlamentare come gli è riuscito finora è del tutto evidente che la sua capacità di parlare al cuore ed alla pancia degli italiani, con quel mix di populismo e di sovversivismo dall’alto che ne ha contraddistinto la sua presenza in oltre tre lustri di vita politica italiana, è ormai esaurita.
Il leader è vecchio, stanco, persino un po’ patetico nel suo disperato tentativo di mostrarsi giovane e simpatico. L’assedio delle procure è indiscutibile, così come l’accanimento dell’ormai la quasi totalità dei media e dei cosiddetti “grandi poteri” (che pure, in fase alterne, lo avevano sostenuto), ma il suo tradizionale vittimismo che pure era riuscito a fargli catalizzare la maggioranza dei consensi elettorali, non regge più.
Gli italiani più che il discorso moralistico della miriade di indignati da salotto che affollano i talk show e le colonne dei giornali si sono finalmente convinti che il vecchio Silvio non è un uomo di Stato, non è capace di governare e di dare risposte ai problemi urgenti di un Paese che rischia di affondare nel gorgo di una crisi generale che in Italia è però aggravata proprio dalla assoluta inadeguatezza delle sue classi dirigenti. Se erano disposti a perdonargli tutto, anche le sue stravaganze e la sua irrequietezza sessuale (ma quando mai questa ha contato qualcosa nella cattolica e gesuitica Italia ?), non sono disponibili a perdonargli la sua inconsistenza politica, la sua assoluta incapacità di governare un Paese complesso avviato sulla strada di un inesorabile declino.
Nel centrodestra una partita si è aperta per la successione. Bisognerà vedere se questa sarà cruenta e lascerà morti e feriti oppure sarà politicamente guidata come l’elezione di Alfano sembra voler presagire. Se Berlusconi non fosse Berlusconi molto probabilmente un nuovo governo di centrodestra sarebbe già stato varato con una nuova leadership e una nuova composizione di coalizione. E’ la presenza di Berlusconi che impedisce la formazione di un nuovo governo a guida PDL con il Terzo Polo e Casini dentro. Allo stesso modo è la presenza di Bossi ad impedire, almeno finora, che una nuova leadership si affermi nella Lega.
Il futuro di quel campo, e se ne sono accorti soprattutto quelli che lo occupano, sta proprio nella possibilità che questo nuovo assetto del centrodestra finalmente si affermi, con buona pace degli antiberlusconiani di professione.
In questo senso io credo che non sia scontato che il dopo Berlusconi sarà di centrosinistra. Perché il centrosinistra attuale, al di là degli sforzi pure generosi di Bersani, è completamente ritagliato sull’antiberlusconismo.
Un’alleanza classica (PD, IDV e SEL) con il terzo polo autonomizzato, oggi vincerebbe le elezioni solo se il leader dell’altro schieramento (PDL e Lega) resta Berlusconi. Un altro leader nel centrodestra renderebbe questa coalizione attrattiva per le forze centriste già in questo parlamento, figuriamoci in un momento elettorale. Del resto come leggere gli aperti tentativi di varo di un governo “tecnico-tecnocratico” sponsorizzati da Confindustra e Marchionne che vorrebbero alla guida un Montezemolo o un Monti ?
Il problema per il Centrosinistra, dunque, è uscire da questo imbuto e trovare un nuovo assetto politico e programmatico che non può che essere riformista e modernizzatore.
Nell’opposizione vasta che si è coagulata contro il premier non c’è, infatti, solo il voto tradizionale della sinistra, ma anche quello di ampi settori moderati che sono delusi da Berlusconi ma che continuano a non amare la sinistra per come oggi si configura.
Senza Berlusconi lo schema di alleanze attuale attorno al PD non regge né politicamente né programmaticamente, inutile farsi illusioni. Non regge anche perché la sua leadership allargata tutto appare tranne che portatrice di innovazione e di modernizzazione. Né il problema si risolve soltanto allargando, cosa assai difficile in verità, la coalizione all’UDC, nel senso che ne verrebbe fuori una maggioranza numerica ma non politica come è avvenuto con l’Unione di Prodi.
In questo quadro il PD deve compiere uno sforzo ancora maggiore di adeguamento del suo profilo riformista e attorno a questo costruire le alleanze, atteso che l’antiberlusconismo non reggerà più, anche se Berlusconi dovesse resistere fino al 2013 e guidare la coalizione alle elezioni.
Cosa intendo per questo adeguamento ? Intendo soprattutto la necessità di fissare alcuni punti fermi: riforma fiscale, riforma del welfare, riforma della giustizia, della scuola e dell’università, riforma istituzionale (a cominciare dalla legge elettorale), nuova politica per il Mezzogiorno. Su ciascuno di questi argomenti, purtroppo, lo schieramento nel quale oggi ci collochiamo è, purtroppo, diviso. Il PD deve chiamare tutti, alleati attuali e potenziali, forze economiche e sociali, il Paese intero nella sua articolazione più ampia e complessa, ad un confronto stringente e non ideologico su questi temi.
Solo così, credibilmente agli occhi del Paese, potrà candidarsi a succedere non solo a Berlusconi, ma al centrodestra e al sistema di interessi che esso, nonostante lo stesso Berlusconi, continua a rappresentare.
Altrimenti la fine di Berlusconi trascinerà con sé anche il centrosinistra.
Polemiche su un manifesto del PD: stiamo diventando tutti bacchettoni ?
Una grande polemica si è aperta sul manifesto della Festa Nazionale del PD di Roma che esibisce due belle gambe femminili e una gonna appena sollevata dal vento con la scritta “Cambia il Vento”. Alcune esponenti del PD e delle donne del Comitato “Se non ora quando ?”, quello che ha organizzato le imponenti manifestazioni contro Berlusconi all’indomani dell’emergere del caso Ruby, hanno chiesto addirittura il ritiro del manifesto e della campagna di comunicazione della Festa accusandola di “strumentalizzazione del corpo femminile”.
Premesso che mi riesce difficile vedere un nesso tra il “bunga bunga” e il manifesto in questione che invece trovo simpatico e intelligente con quella citazione della “Moglie in vacanza” di Marilyn Monroe (una immagine che negli anni ’60 fece scalpore contribuendo non poco alla rottura con certo bacchettonismo in Italia insieme alla “Dolce Vita” di Fellini), sono certo che mi prenderò anch’io qualche critica femminile.
Ma francamente trovo la polemica esagerata e, malgrado le buone intenzioni, anche pericolosa, perché rischia di mettere la sinistra ad inseguire certa destra sul terreno del moralismo più becero (vedi la polemica della Rauti, che ci “scavalca a sinistra”).
Personalmente, pur non essendomi assolutamente simpatico questa volta sono d’accordo con Giampiero Mughini che scrive: “Né il fanatismo del corpo femminile per quanto siliconato ed esibito impudentemente come strumento di realizzazione del proprio reddito e della propria carriera (talvolta di buona a nulla). Né il fanatismo opposto di chi condanna qualsiasi immagine “sexy” della donna perché la trova losca e umiliante. Sono tra quelli che mai una volta nella sua vita ha incontrato delle ragazze alla maniera di quelle dell’Olgettina. Ero però felicissimo quando qualcuna delle mie amiche esibiva orgogliosamente il suo corpo, e a dire il vero non ne ricordo una che non lo facesse. Ciascuna beninteso a suo modo e nel suo stile. Stili che erano tutto fuorché loschi e umilianti”.
Io credo che una immagine debba essere innanzitutto non volgare, e quella del manifesto, oggettivamente, non lo è, anzi la preferisco a tanti manifesti col faccione, assai simpatico tra l’altro, di Bersani. Pensate solo per un attimo se al posto di quelle belle gambe avessero messe quelle del nostro segretario o di D’Alema…beh, è una esperienza che mi risparmio volentieri, come penso voi tutti…
Ragazzi, giuro che se sento parlare di rinnovamento chiamo i carabinieri…
Scelgo questo titolo volutamente provocatorio per cercare di esprimere un concetto che mi sta molto a cuore dopo la “batosta” di domenica scorsa. Dico subito quindi che la sinistra ha bisogno come il pane di un profondo e radicale rinnovamento dei suoi gruppi dirigenti e, soprattutto, di una grande innovazione politica e programmatica.
Tuttavia trovatemi uno in Calabria, in Italia e nel mondo che non dica la stessa cosa con toni enfatici ed apodittici anche tra coloro che di questa batosta sono i principali responsabili.
Si, perché parlare di rinnovamento è la cosa più facile di questo mondo ed è il modo migliore per mantenere tutto esattamente com’è. I più grandi proclamatori di novità sono, in realtà i peggiori conservatori perché intendono il rinnovamento sempre a partire dagli altri, mai da se stessi.
La vicenda calabrese del PD ne rappresenta la plastica dimostrazione: sono mesi che novelli giacobini predicano il rinnovamento, agitano questioni morali e acuiscono le profonde fratture del gruppo dirigente solo ai fini di ritagliarsi un posticino nel sempre più residuo e marginale bacino del PD. Poco importa se molti di questi predicatori sono cresciuti all’ombra di coloro che oggi considerano il male assoluto, se si sono ingrassati con incarichi e prebende o comodi posticini in liste bloccate.
Ma, francamente, del destino di questi sono poco preoccupato perché gli elettori li hanno già giudicati e pesantemente bocciati.
Sono invece preoccupato del fatto che, anche rimuovendoli dai posti che occupano risolveremo solo parte dei nostri problemi. Si tratta di una condizione necessaria ma non sufficiente.
Perché il rinnovamento, quello vero, non riusciremo a farlo se non costruiremo finalmente il PD, vale a dire un partito di massa, inclusivo e capace di promuovere davvero nuove classi dirigenti sul terreno dell’innovazione politica. Un partito che tenga tutti dentro, vecchi e nuovi e promuova davvero i nuovi sulla base della selezione democratica, nel fuoco della battaglia politica consentendo anche all’ultimo dirigente dell’ultimo circolo di poter crescere ed affermarsi senza cooptazioni ma in base alle cose che sa esprimere e sa fare. Perché sulle macerie si è sempre costruito poco, se non nulla. Perché il rinnovamento senza innovazione è solo nuovismo senza contenuti destinato ad essere spazzato via al primo alito di vento. Perché la lotta politica interna ha senso e si motiva se si è portatori di progetti, di proposte, di visioni strategiche che vadano al di là delle pur legittime ambizioni personali.
Rinnovare non significa cooptare in posti di responsabilità qualche ragazzo che serva da vetrina, ma consentire a migliaia di ragazzi di crescere e produrre politica insieme a chi ha maturato esperienza ed anche errori. Così si faceva nei vecchi partiti, così dovremmo fare nei nuovi (dopo averli costruiti, ovviamente).
Il voto di domenica e lunedì ci consegna intanto due problemi grandi quanto una casa: un PD da prefisso telefonico ed un centrosinistra minoritario, marginale e parolaio incapace di porsi come interlocutore credibile e di governo per combattere l’egemonia del centrodestra in questa regione.
Il centrodestra vince perché regge la sua alleanza con l’UDC, alleanza frutto della miopia di quei dirigenti che consentirono a Loiero di ricandidarsi alla guida di una coalizione ormai minoranza in Calabria convinti che la sola gestione del potere regionale fosse sufficiente a farci vincere. Nel “Rendano” di Cosenza ancora non si sono spenti gli echi di una manifestazione convocata dagli strateghi cosentini (gli stessi della sconfitta cosentina, rossanese e sangiovannese) che urlavano “Agazio, sei l’unico candidato possibile” nelle stesse ore in cui Bersani tentava l’interlocuzione con l’UDC che ci avrebbe fatto vincere davvero.
Ora tutto è più difficile, per cui è davvero assurdo dividersi tra chi urla più forte “rinnovamento, rinnovamento”. E’ venuto invece il momento innovare davvero interrogandoci fino in fondo sul come.
Il PD spara in aria a scopo intimidatorio ma il Berlusca non si “intimida”…e allora ?
Parliamoci chiaro, tutta l’iniziativa del PD di questi ultimi mesi rischia di arenarsi di fronte ad una situazione politica tutt’altro che favorevole.
L’8 marzo avremo finito di raccogliere le 10 milioni di firme per chiedere le dimissioni di Berlusconi ma il Cavaliere sembra tutt’altro che intenzionato a mollare, anzi rilancia sui temi della giustizia, della riforma della Costituzione, dell’economia e, nello stesso tempo apre nuovi conflitti istituzionali dagli esiti tutt’altro che scontati. Nel frattempo consolida la sua maggioranza parlamentare con il partito di Fini che si sta letteralmente squagliando come neve al sole.
La proposta di alleanza costituente lanciata in pompa magna da D’Alema e Bersani tra tutte le forze che si oppongono al governo Berlusconi non ha trovato sponda alcuna nei possibili interlocutori, Casini innanzitutto, anzi, per certi aspetti ha accentuato lo stesso smottamento del FLI, i cui parlamentari, compravendita a parte, appaiono ben poco interessati ad un’alleanza con la sinistra ed uno ad uno se ne tornano nel centrodestra berlusconiano che sembra ai loro occhi, nonostante Berlusconi e il bunga bunga, l’unico possibile, al momento, in Italia.
Le stesse azzardate aperture alla Lega portate avanti dal PD con un Bersani disponibile ad assegnare al partito di Bossi la patente di “interlocutore democratico” sulla base della comune conoscenza di quanta carne è necessaria per fare uno spiedino nelle feste di partito, hanno prodotto una vera e propria rivolta nella base del partito (basta guardare i commenti sul sito del PD) e compromesso forse irrimediabilmente le già scarse possibilità di vittoria del centrosinistra al Sud dando ossigeno alle tante (e per certi versi inquietanti) iniziative autonomiste che si stanno organizzando in tutte le regioni del Mezzogiorno.
Poiché è assurdo pensare che si possa andare al voto fino a quando in parlamento esiste una maggioranza a meno che qualcuno non sostenga ipotesi di un golpe di sinistra magari con l’avallo di quel galantuomo di Giorgio Napolitano, è del tutto evidente che la situazione è in pieno stallo.
Siamo ridotti come nella scenetta famosa di Fabrizi poliziotto che, dopo un estenuante inseguimento del ladro Totò dice: “Vieni qui, se no ti sparo” e Totò che risponde: “Non puoi, puoi sparare solo per legittima difesa”. Allora Fabrizi dice: “Sparo un colpo in aria a scopo intimidatorio” e Totò: “Embé ? Io non mi intimido”.
Sarebbe fin troppo facile, a questo punto, recriminare sugli errori, evidenti, che i dirigenti democratici hanno inanellato dall’autunno del 2010 fino ad oggi.
La verità è che da mesi il PD ha rinunciato alla politica, ha definitivamente perso la sua autonomia, consegnandosi ad un gioco di sponda con tutta una serie di forze, dal partito di Repubblica al giustizialismo dei neogiacobini presenti un po’ dovunque e non solo in IDV ma anche in tanta parte del mondo della cultura e del giornalismo che da mesi invocano la spallata.
Invece di guidare un processo politico che potesse determinare il definitivo sfaldamento del governo Berlusconi proponendo innanzitutto alla società italiana ed ai suoi poteri una possibile alternativa democratica di fuoriuscita da questa crisi, sono rimasti incastrati nel gioco dell’invettiva quotidiana sperando nella spallata giudiziaria che, com’è del tutto evidente, rischia di non esserci o almeno di non esserci nei tempi utili per la politica.
Non solo, il PD ora è in balia delle incursioni vendoliane con il rischio di una ripresa lacerante del dibattito tra le sue innumerevoli aree interne che rischia di dilaniarlo definitivamente.
Poiché sono persone intelligenti i dirigenti del PD di tutto ciò si rendono conto: tra di loro, ha ragione Minopoli, saranno in tanti a dire “torniamo alla politica”. Ma per far questo è intanto necessario tornare ad essere autonomi da tutto: dai grandi giornali, dai grandi opinion maker, dalle altre forze politiche, dalla stessa magistratura. Il che non significa essere ostili, ma avere una propria linea, positiva, di cambiamento. Ci riusciranno, ci riusciremo ?
La proposta di Bersani rischia di alimentare un autonomismo straccione e subalterno al Sud…
Il Direttore di Calabria Ora ha stigmatizzato giustamente l’intervista del Segretario del PD Pierluigi Bersani all’organo ufficiale della Lega, la “Padania”, nel quale impegna tutto il PD nel voto del federalismo “purché la Lega stacchi la spina a Berlusconi”. Sinceramente da iscritto e dirigente del PD e da cittadino del Sud considero questa iniziativa un vero e proprio pugno nell’occhio.
Alcuni amici e compagni me l’hanno giustificata come una iniziativa puramente tattica, utile per battere il “nemico del popolo” Berlusconi.
Ora io considero Berlusconi il problema più grande del nostro Paese e spero che al più presto lo si possa rimuovere dal posto che occupa e dal quale sta facendo danni irreparabili alla democrazia.
Nello stesso tempo penso che la sinistra abbia il dovere di proporre all’Italia non solo una nuova alleanza politica elettorale per poterlo battere ma anche un progetto di rilancio e di sviluppo economico, sociale e democratico che sia alternativo a quello proposto dalla destra e dal berlusconismo in questi anni. E una delle componenti fondamentali dell’azione di governo berlusconiana è stata proprio la Lega, la sua irriducibile caratterizzazione egoistica (egoismo dei territori, egoismo economico e sociale, egoismo etnico, antimmigrazione, ecc.).
Il federalismo leghista si presenta ed è un progetto che tende non ad unire i diversi e responsabilizzarli di fronte ad un comune patto nazionale come nel resto del mondo, ma a dividere ciò che, nel bene e nel male è stato unito in questi ultimi 150 anni. A questa impostazione il PD, la più grande forza di centrosinistra del Paese, ha il dovere non solo di opporsi, ma di proporre un progetto alternativo che rilanci nel futuro le radici della nostra storia unitaria e ridisegni in senso federalista (perché no ?) un nuovo patto nazionale capace di far reggere all’Italia intera, al nord come al sud, le sfide di un futuro globale assai incerto e difficile.
Per questo l’iniziativa di Bersani è profondamente sbagliata sia se essa ha una dimensione puramente tattica sia, peggio, se ha invece un respiro strategico.
Questa proposta rischia di avere nel Mezzogiorno un effetto disastroso: perché i meridionali dovrebbero votare PD alle prossime elezioni ? Quelli che hanno già votato Berlusconi saranno portati a fare un ragionamento semplicissimo, teniamoci l’originale e non la fotocopia. Dall’altro lato, quelli che hanno votato il centrosinistra perché dovrebbero continuare a votarlo se intravedono nella proposta nazionale del loro partito una idea di federalismo che li taglia fuori e li considera solo oggetto e non soggetto responsabile di una nuova politica di sviluppo ? Non finiranno, molti di questi, per essere attratti da nuove forze autonomiste che già sorgono un po’ dovunque nel Mezzogiorno e in alcune regioni, vedi la Sicilia, hanno già percentuali di consenso a due cifre ? Con l’aggravante che molte di queste forze autonomiste sono del tutto prive di quella carica sanamente “antagonista” che la Lega Nord, soprattutto ai suoi inizi, aveva e sono piuttosto il frutto del riposizionamento di un vecchio ceto politico nato e cresciuto dentro le maglie dell’assistenzialismo e della mediazione clientelare dei grandi partiti della Prima Repubblica.
Nella proposta di Bersani ci leggo anche un giudizio, la considerazione che il Sud, nella migliore delle ipotesi, debba essere abbandonato a se stesso, la conferma di un cedimento culturale ad una visione puramente emergenziale del Sud, una rinuncia ad una analisi più complessa e articolata a proporre una nuova strada di cambiamento. La negazione stessa di una impostazione riformista che dovrebbe invece essere il pane quotidiano per un partito come il PD.
Non ci si rende conto, ad esempio, che le elezioni negli ultimi anni, le grandi coalizioni nazionali le hanno sempre vinte al Sud dove ci sono stati i voti necessari per garantire il governo dell’intero Paese e dove si è mostrata, con alterne vicende, una certa mobilità elettorale decisiva per dare la vittoria a questo o a quel schieramento.
Il governo Berlusconi-Lega ha operato in questi anni solo per tagli e trasferimenti di risorse al Nord, in nome dei suoi “superiori interessi di “motore economico del Paese.
Publbicato su “Calabria Ora” 18 febbraio 2011
Mi si deve spiegare, come se fossi un bambino di sei anni, cosa c’entra con la “responsabilizzazione del Sud” e il federalismo il taglio dei fondi FAS per pagare le multe UE degli allevatori del Nord.
Mi chiedo, ancora una volta come se fossi un bambino di sei anni, come facciamo a spiegare agli insegnanti precari del Sud ai quali è stata tolta anche la possibilità di emigrare al Nord con il meccanismo delle graduatorie a coda bocciate dalla Consulta e reinserite dalla Lega nel Milleproroghe, che adesso Bossi è un interlocutore, non è razzista, che la sua è una grande forza popolare con la quale dobbiamo dialogare ?
Siamo sicuri, infine, che facendo così cacceremo Berlusconi ? La grande alleanza costituente (che riceve ogni giorno più no che si da parte dei possibili interlocutori) che D’Alema e Bersani avanzano, ha chiarito i termini della sua proposta per il Paese ? Io non riesco a vederla questa proposta e mi considero un lettore assiduo ed un osservatore attento. Se poi vedo che addirittura si guarda alla Lega come possibile interlocutore “democratico”, confesso di provare un po’ di paura, ci vedo una rincorsa alla conquista del potere per il potere, non per fare qualcosa di diverso.
Sansonetti auspica la nascita di una nuova forza meridionalista che punisca i partiti nazionali che si sono alleati contro il Sud. Sono meno ottimista di lui: colgo infatti i rischi di una deriva di ulteriore frammentazione politica e sociale magari anche in nome di un autonomismo che avrebbe ben poco di nobile collocandosi in una dimensione ancora più stracciona e subalterna. Un futuro tutt’altro che roseo e il PD e il centrosinistra non possono e non devono metterci la firma sotto.