comunisti
A proposito di questi giorni…
Nel dibattito tra garantismo e giustizialismo giova ricordare queste parole, pronunciate da Martin Niemöller, un pastore protestante tedesco per denunciare il silenzio degli intellettuali tedeschi di fronte al nazismo.
“Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.
Ciao Marco…
Diciamo la verità: a noi comunisti Marco Pannella e i radicali non piacevano. Noi comunisti ci sentivamo portatori di una idea altra di mondo in cui a contare erano le masse non gli individui. Pannella invece ci richiamava al tema dei diritti ed alla concezione più pura della democrazia, perché non ci sono diritti collettivi e neppure civili se non si parte dal riconoscimento dei diritti individuali. Una concezione purissima della democrazia che abbiamo imparato anche grazie alle battaglie di Marco Pannella e dei radicali. Il divorzio, l’aborto furono battaglie vinte dalle masse ma senza Pannella e i radicali forse avrebbero molto stentato ad affermarsi. Garantismo, diritti dei detenuti, diritti delle donne, dei gay, persino la legalizzazione della cannabis sono battaglie per le quali dobbiamo ringraziare Marco Pannella e i radicali. Ed impegnarci a portarle avanti. Ciao Marco…
GIULIO ANDREOTTI: UN UOMO DI POTERE IN UN PARTITO CONDANNATO AL POTERE.
Quando scompaiono personalità come quella di Giulio Andreotti non si può fare a meno dal rifuggire da giudizi semplicistici e liquidatori.
Lo si deve alla grandezza di un personaggio che comunque è parte fondamentale della storia d’Italia degli ultimi settant’anni.
Lo si deve, lasciatemelo dire, all’intelligenza dei cittadini, ai quali non può essere propinata la solita lettura “giudiziaria” di una vicenda vasta e tragica che è quella dell’Italia del dopoguerra, delle sue luci e delle sue ombre.
Andreotti fu, soprattutto, un uomo politico e un uomo di stato. Fu un uomo di potere in un partito condannato dalla situazione internazionale a restare comunque al potere, la Democrazia Cristiana. Un partito in cui lui e la sua corrente non furono mai maggioranza ma spesso rappresentarono il punto (di potere, appunto) più avanzato di equilibrio.
Proprio per questo l’uomo nella sua vita, ha suscitato più odio che amore.
Andreotti fu odiato dai comunisti che in lui vedevano la personificazione di tanti mali: la DC, i cattivi “amerikani”, la mafia. Sì, perché per tanti comunisti Andreotti era mafioso ben prima che il processo di Caselli e il presunto “bacio” di Riina dessero credito a questa tesi.
La sua stessa figura fisica sembrava richiamare l’antica idiosincrasia ipocrita di tanti intellettuali italiani per la politica intesa come intrigo, segreto, manovra. Di che meravigliarsi ? Siamo il Paese che ha dato i natali a Machiavelli e nello stesso tempo più odia Machiavelli.
Ma Andreotti era odiato anche da tanti democristiani nell’infinito gioco delle correnti contrapposte dalle quali sembrava emergere sempre lui, nonostante tutti e tutto. Neanche nel PSI era particolarmente amato.
In verità Andreotti fece, nelle condizioni storiche date, quello che si richiedeva ad un politico moderato nato dal patto degasperiano di tenere fuori l’Italia dall’influenza sovietica.
I dirigenti comunisti più accorti e tutti coloro che conoscevano la politica, quella vera, lo sapevano e ad Andreotti riconoscevano il ruolo che si era assunto. Lo riconoscevano e lo rispettavano.
Poi la vicenda giudiziaria: molti l’hanno ricordato e non posso non tornarci. Andreotti si difese nel processo e non pretese di difendersi dal processo. Altro uomo, altra stoffa. E tuttavia quel processo fu, per me, un grave vulnus alla vicenda politica e sociale del Paese, la cui storia non può essere letta come un romanzo criminale.
Intendiamoci, non sostengo che la politica non si processa, anzi. Credo invece che sia la storia a non potere essere letta con le lenti di un processo giudiziario. I processi devono stabilire se ci sono reati e punirli. Non possono scrivere la storia di un Paese.
Sarà dunque la storia ad assegnare torti e ragioni. L’ha già fatto, se ci pensiamo bene.
In attesa che qualcuno con meno pregiudizi e maggiore obiettività la scriva, rendiamo ad Andreotti il rispetto che gli è, comunque, dovuto.
FU GRAVE ERRORE CONSEGNARE IL GARANTISMO ALLA DESTRA BERLUSCONIANA
La fiction di Tognazzi sulla tragica vicenda di Enzo Tortora ha riportato alla memoria due figure assai importanti di quella vicenda, sulle quali vorrei fare una riflessione: Raffaele Della Valle, avvocato del presentatore che fece politica nel Partito Liberale e poi, per breve tempo, in Forza Italia, partito che contribuì a fondare salvo allontanarsene dopo breve tempo proprio in polemica con Berlusconi. Marco Pannella, leader dei Radicali, personaggio assai discusso e controverso, protagonista di importanti battaglie per i diritti civili ed individuali negli anni ’70 e ancora oggi presente nel dibattito politico.
Entrambi, come si vede, furono risucchiati dal berlusconismo degli albori proprio in nome di quella rivoluzione liberale di cui l’Italia continua ad avere bisogno.
Furono illusi dall’imbonitore di Arcore, certamente, infatti l’abbandonarono abbastanza rapidamente, ma resta da chiedersi perché andarono lì e non a sinistra. E sulla sinistra, ancora oggi, grava l’errore di non aver saputo coniugare la giusta e sacrosanta battaglia per la legalità con la difesa delle garanzie costituzionali che sono alla base di ogni vero sistema democratico.
Aggiungo un ricordo personale: era l’86 o l’87 e Tortora venne all’università a tenere un incontro; noi, i giovani comunisti dell’UNICAL, lo incrociammo e cominciammo a contestare le posizioni del radicali. Lui ci guardò e ci disse: “Voi comunisti, sulla giustizia, siete peggio dei Borboni”. Aveva ragione.