femminicidio
Educazione alla differenza di genere nuova sfida della scuola italiana
Educazione alla differenza di genere nuova sfida della scuola italiana
Pubblicato su Orizzonte Scuola.it il 5 settembre 2023
I recenti episodi di violenza sulle donne, i continui drammatici casi di femminicidio, il permanere, purtroppo, anche nel discorso pubblico di linguaggi e di comportamenti sessisti e discriminatori, pongono certamente alla scuola compiti educativi significativi che il Ministro Valditara ha fatto bene a porre all’attenzione dell’opinione pubblica nelle scorse settimane.
L’aspetto più inquietante di questi fenomeni è quello di avere un carattere assolutamente trasversale sia dal punto di vista generazionale che sociale.
Inoltre, la presenza sempre più vasta nelle nostre scuole, di bambini e ragazzi provenienti da altri contesti etnici, culturali e sociali rappresenta un ulteriore elemento da tenere presente per garantire quella scuola laica, aperta ed inclusiva di cui un grande Paese democratico come l’Italia dovrebbe essere forse, di tanto in tanto, un po’ più orgoglioso.
Il primo problema, per chi opera quotidianamente nella scuola, è quello di definire con chiarezza i termini di un intervento educativo, i suoi caratteri, il suo spazio all’interno del quadro degli insegnamenti offerti a bambini e adolescenti in un momento assai delicato della loro esistenza, quello della crescita personale, emotiva, sociale e culturale.
In questo quadro mi sento di proporre, senza pensare, ovviamente, di introdurre nuovi insegnamenti, di articolare una parte dei percorsi di educazione civica, ai temi specifici dell’educazione alla differenza di genere. Uso questa definizione non a caso, perché non è assolutamente possibile costruire nessuna forma di parità dei diritti senza il mutuo riconoscimento delle diversità.
In una società come quella attuale che subisce la duplice spinta alla massificazione e alla individualizzazione, anche la sfera legata alla identità sessuale ha subito profonde modificazioni culturali. Il “genere” viene, e non potrebbe essere altrimenti, percepito sempre più in termini “aperti”, di “autodefinizione”,e di “autoriconoscimento”.
Al bambino e, in generale, al soggetto in formazione, non può non essere garantito, da quella scuola inclusiva, aperta e democratica di cui si parlava prima, questo percorso di autodefinizione e di autoriconoscimento di sé, rompendo stereotipi e pregiudizi che sono alla base del sessismo e della discriminazione.
La molestia, la violenza, lo stupro, il femminicidio rappresentano, infatti, il punto di arrivo proprio di questo non riconoscimento dell’altro e, soprattutto, dell’altra, che si esprime prima in sottovalutazione e poi in una concezione, al contempo, di superiorità e di inferiorità. Da qui i comportamenti predatori, di possesso e infine di distruzione.
L’idea che, addirittura, si possano concepire gli stupri di gruppo come veri e propri riti in cui il sesso diventa solo uno dei tanti “momenti” di consumo, la presunzione che la donna sia sempre “consenziente”, fino alla “distruzione” e all’”annientamento” del corpo femminile solo perché colpevole di un “no”, ci danno la misura dei compiti ardui che l’educazione alla differenza di genere ha davanti a sé.
E’ dunque necessario che la scuola si attrezzi costruendo percorsi con esperti che coinvolgano alunni e studenti in momenti di autoriflessione e, quindi, di autoeducazione.
Percorsi differenziati per ogni ciclo scolastico, dall’infanzia alle superiori, sui, quali, sin da subito, le istituzioni scolastiche possono impegnare, anche in rete, quote della loro autonomia, in attesa che il Ministero possa emanare apposite linee guida e impegnare, insieme e di concerto con gli enti locali, anche le necessarie risorse.
Sesto Imolese-Imola, 5 settembre 2023
Gabriele Petrone
(Dirigente Scolastico Istituto Comprensivo Sesto Imolese – Imola)
Mai più vittime come Fabiana Luzzi
Pubblicato su http://lacnews24.it/10468/politica/mai-piu-vittime-come-fabiana-luzzi.html
Oggi a Corigliano ê stata ricordata Fabiana Luzzi.
Confesso che ogni volta che penso a quel tragico giorno di due anni fa, quando questa ragazzina bella e con un sorriso solare è stata brutalmente assassinata a coltellate e finita col fuoco da colui al quale forse aveva detto le prime parole d’amore, sento un brivido di rabbia e di indignazione.
Da padre mi interrogo su come si possa resistere ad un dolore tanto grande e lacerante. E mi chiedo come sia stato possibile che un ragazzo tanto giovane possa essersi macchiato di un delitto così orrendo. Continua a leggere
Giornata delle donne per parlare agli uomini
E’ davvero difficile scrivere qualcosa sulla giornata delle donne senza apparire banale, stucchevole o retorico. Tuttavia, ritengo doverosa una riflessione che ricordi a tutti, soprattutto agli uomini, che secoli e secoli di emarginazione hanno costituito una terribile perdita per l’umanità dei talenti di milioni e milioni di donne, costrette a non studiare, a lavori considerati inferiori, a vivere, pur se intelligenti e capaci, all’ombra di uomini forse mediocri il cui nome è sopravvissuto alla storia mentre il loro è andato purtroppo perduto. La lotta per l’emancipazione femminile è stata una delle più importanti rivoluzioni dell’ultimo secolo perché ha rotto schemi che sembravano indistruttibili e che ancora, per molti aspetti, resistono. Continua a leggere
LA LETTERA DELLA CALABRESE CHAOUQUI NON E’ RAZZISTA. E’ SOLO TRISTE.
Una brillante ragazza che lavora in una multinazionale, partita da un paesino della Calabria tanti anni fa oggi ottiene il posto d’onore con una sua lettera sulle pagine del “Corriere della Sera”, il più grande quotidiano d’Italia.
Francesca Chaouqui ci racconta di una Calabria barbara, matriarcale, in cui la discriminazione di genere e il femminicidio sono solo il frutto di una società arretrata, chiusa, in cui maschi e femmine vivono in una dimensione arcaica, con ruoli ben definiti.
Francesca Chaouqui è partita anni fa ed ha trovato, purtroppo come tanti, come troppi calabresi, solo fuori dalla sua terra le opportunità che cercava e che meritava.
Come tanti calabresi emigrati ha assorbito la concezione del mondo della città e della comunità che l’ha accolta ed ha cominciato a guardare alla sua terra prima con distacco poi, forse, anche con un po’ di implicito rancore.
La morte della povera Fabiana a Corigliano diventa così non l’ennesimo capitolo di una strage di donne che riguarda l’intero territorio nazionale, dalle Alpi alla Trinacria come si diceva un tempo, ma l’effetto di una specificità locale, regionale, il frutto di una società in cui si dice e si pratica il “citto tu ca si fimmina”.
Potremmo dire a questa ragazza che si sbaglia, che le donne calabresi sono tutt’altro da come le descrive.
Potremmo dirle che le donne calabresi non sono affatto subalterne, che spesso proprio da loro sono partite grandi lotte di emancipazione che hanno scosso e cambiato profondamente la loro terra e anche i loro uomini.
Potremmo insistere sul concetto che le donne vengono discriminate ed uccise a Brescia e a Busto Arsizio come a San Sosti o ad Avetrana.
Potremmo dirle che le sue parole odorano troppo di pregiudizi e generalizzazioni da bar dello sport, ma lei rimarrebbe dello stesso parere, fiera di essersi “salvata” dalla sorte che è convinta sia nel destino e nel DNA delle sfortunate sue conterranee rimaste a casa.
Francesca, infatti, come tanti emigrati, cerca solo conferme alle ragioni che la spinsero ad abbandonare la sua terra per bisogno o per scelta.
Perché per tanti come Francesca questa terra è più facile leggerla con gli occhi degli altri: è più facile ma anche molto più triste.
LA MOSTRUOSA NORMALITA’ DEL DELITTO DI CORIGLIANO.
Se fossi il padre della ragazza uccisa a Corigliano i miei sentimenti, oggi, sarebbero di rabbia e di vendetta.
Ho guardato mia figlia ieri, una ragazza quasi della stessa età di Fabiana e ho pensato che, se quell’orrore fosse capitato a lei, non avrei sopportato, forse non sarei sopravvissuto a tanto dolore.
Ho provato sdegno impotente e volontà di annientamento del responsabile di tanta violenza.
Poi ho pensato che sarebbe stata vendetta e non giustizia.
E ho guardato mio figlio, oggi un ragazzetto di 12 anni, mi sono sforzato di vederlo più grande di qualche anno.
E ho pensato che il ragazzo che ha ucciso e torturato ora probabilmente sarà nell’inferno, che solo dopo ore avrà realizzato l’enormità del suo gesto, che ciò che ha vissuto non è come un videogioco in cui le vite si rigenerano dopo averle perdute.
Ho pensato ai genitori dell’assassino che magari in queste ore stanno continuando a chiedersi (e forse lo faranno per tutta la vita, senza alcuna possibilità di risposta) com’è potuto accadere che il loro figlio abbia potuto trasformarsi in quel mostro che giornali e TV raccontano, in cosa e quando hanno sbagliato, in quale momento della loro vita di adulti normali non hanno capito e non hanno aiutato quel bambino diventato ragazzo e oggi omicida.
E allora mi sono convinto che è giusto che la giustizia faccia il suo corso, che la legge aiuti tutti noi ad uscire dai sentimenti contrastanti di queste ore, dalle reazioni emotive.
Nonostante i media che su questa storia staranno per mesi, nonostante la miriade di esperti psicologi, sociologi e quant’altro che parleranno dicendo cose giuste ma che non restituiranno la vita a chi l’ha persa, né alla vittima, né al carnefice.
Spero che, alla fine, tutti quanti noi potremo riflettere.
Perché questo delitto, questo ennesimo caso di femminicidio, per usare un termine entrato nel dibattito corrente, non sia soltanto punito dalla legge ma ci aiuti anche a capire cosa in questo nostro mondo si è rotto e come ricostruirlo.
Magari sforzandoci tutti noi, genitori di ragazzi, ad aiutare i nostri figli, ad insegnare loro il rispetto per gli altri, soprattutto se sono più deboli di noi.
Parlare alle nostre ragazze e soprattutto ai nostri ragazzi, non pensare che il tutto si risolva con il semplice esaudimento dei loro desideri materiali.
Assumendoci tutti quanti le nostre responsabilità di adulti.
Perché l’orrore di Corigliano non è distante da noi; perché possiamo riconoscerlo prima che accada nella sua, purtroppo, mostruosa normalità.