Grillo
Riconoscere sempre le sconfitte. Ora al voto prima possibile
In democrazia bisogna riconoscere immediatamente le sconfitte. Io l’ho sempre fatto e non conto nulla, ma quello che più conta, lo ha fatto Renzi, assumendosi in pieno le responsabilità di avere personalizzato un voto referendario che invece avrebbe dovuto essere sganciato da ogni considerazione politica. E il voto rispecchia pienamente le appartenenze politiche. Il voto ha completamente ignorato il merito della riforma ed è diventato un giudizio su un governo e un leader. Sul Si c’era praticamente solo il PD. Ha vinto elettoralmente il No di Salvini, Grillo, Berlusconi. Ora si apre una fase difficile. Chi ha vinto ha il dovere della proposta, a cominciare dalle cose più urgenti, come una legge elettorale funzionante visto che al Senato c’è il proporzionale e alla Camera il maggioritario, che significa nessun Governo. Non sarà facile. Vedremo che succederà. Spero il meglio perché il tanto peggio tanto meglio non ha mai portato nulla di buono. In ogni caso credo che si debba andare al voto al più presto.
C’era una volta Mario Monti
Confesso che con Monti avevo completamente sbagliato valutazione. Sarà stata la mia grande ammirazione per Giorgio Napolitano, ma sposai con favore l’idea di un Governo di emergenza nazionale affidata ad un tecnico di grande spessore internazionale.
La storia ha dimostrato che avevo torto, non tanto per la scelta di Napolitano, che era in sé giusta, ma per la persona alla quale fu affidata.
Monti si è dimostrato il classico tecnocrate, che pensa che tutto si possa risolvere in laboratorio o con ardite slides, senza comprendere che la realtà è sempre tirannamente diversa. Poi, ubriacato dalla tanto disprezzata politica (che è come quelle prostitute da tutti disprezzate ma da tutti cercate) il nostro si fece un partito, che ottenne il magnifico risultato da una parte di far perdere quel PD e quel centrosinistra che lealmente lo aveva sostenuto al Governo mentre il venditore di tappeti nazionale (alias Berlusca) abilmente si sfilava e dall’altra di regalare all’antipolitica sconclusionaria di Grillo il 26 per cento dei voti.
È una storia vecchia che si ripete. I cosiddetti moderati italiani che del senso di responsabilità della sinistra sanno fare buon uso alla bisogna e dalla quale pretendono i voti a patto di metterci loro le classi dirigenti.
Oggi Monti è un pensionato di lusso di quella politica dei partiti brutta, sporca e cattiva che tanto disprezzava. Tanto disprezzabile da abbandonare persino il partito da lui fondato e che oggi, mestamente, celebra il congresso della sua scomparsa. Così come penso sarà della Passera solitaria.
La vittoria del PD e lo starnazzare inutile e vacuo
Durante questa campagna elettorale ho subito, insieme a tanti altri militanti, un vero e proprio assalto sui social ma anche per strada, nei bar, nei luoghi dove si svolge la discussione politica, da parte della nuova specie politica comunemente denominata “grillina”.
La promessa di pubblici processi, la divisione manichea tra puri e impuri non è stata soltanto la cifra della campagna elettorale dei leader Grillo e Casaleggio ma ha scatenato una “militanza” forcaiola, rancorosa e trasversale alle classi sociali di migliaia di persone, la cui aggressività (per fortuna prevalentemente solo verbale) si percepiva dappertutto.
Qualcosa che ha assunto spesso tratti “fascisti” e squadristici”, non trovo altri aggettivi per definirli.
La cosa bella è che se lo dicevi in campagna elettorale, denunciavi i tratti illiberali e reazionari di tutto ciò, ne sottolineavi l’evidente carattere antidemocratico e a tratti eversivo potevi star certo che subito subivi un altro assalto, quello della schiera dei rosicatori e benaltristi, specie assai diffusa a sinistra, che ti criticava e derideva per lo sforzo militante di andare a chiedere il voto, di andare ai comizi, di difendere quella comunità che per me e per fortuna tantissimi altri rimane il partito, il mio partito, il nostro partito.
Per costoro avevano sempre ragione coloro che protestano e ti mandano a “fare in c…” , che bisognava capire e interrogarsi, che gli 80 euro sono pochi e non servono, che l’aver abbassato il tetto degli stipendi dei manager è stata solo propaganda come le auto blu e che magari Renzi sarà anche bravo ma il problema è il suo partito che è vecchio, appesantito da correnti e “impresentabili”, bla, bla, bla.
Poi i risultati a valanga, ma invece di tacere gli stessi soggetti oggi ti criticano dicendo: come mai voi che Renzi non lo avete votato ora siete tutti con Renzi, siete opportunisti, senza contare le riflessioni “archeologiche” sulla rinascita della DC, una stupidaggine tanto grossa quanto fuori dalla storia, come se prendere i voti di chi non ti ha mai votato non sia lo scopo fondamentale di un partito ma un peccato mortale, la perdita della purezza delle origini.
Io dico sommessamente che il voto di domenica è stato merito senz’altro di Matteo Renzi, della forza della sua leadership, del suo coraggio nel mettersi in gioco, dell’energia con la quale ha affrontato questi due mesi di governo e per i provvedimenti assunti, della bella campagna elettorale che ha riportato la nostra gente nelle piazze.
Ma è stata anche merito di tutti noi che in quelle piazze ci siamo andati come lui, in quanto segretario del nostro partito (e quindi, sottolineo, di tutti) ci ha chiesto, abbiamo portato i fac simile, abbiamo parlato con le persone, una per una, motivandole ad andare a votare per dare forza al vero messaggio di questa campagna elettorale: la speranza contro la rabbia.
Tutti, quelli che a Renzi lo avevano votato e quelli che invece avevano votato Cuperlo, insieme, come fa appunto un partito.
Come la sconfitta sarebbe stata di tutto il PD oggi la vittoria appartiene a tutti coloro che si sono impegnati per vincere.
Per fortuna il popolo, quello vero e che soffre davvero, non quello dei talk show o dei social network, ci ha dato fiducia, ha voluto scommettere su questa speranza.
A tutti noi, non solo a Renzi, tocca ora essere all’altezza di quella speranza, di quella fiducia. Solo questo conta. Tutto il resto è solo starnazzare inutile e vacuo.
Amnistia e indulto: il dovere di spiegare
Nelle carceri italiane il 60% e oltre dei detenuti è in attesa di giudizio. Significa che si tratta di persone che ancora nessun tribunale ha giudicato e condannato a nessuna pena.
Inoltre in Italia esistono una miriade di reati che in altri paesi del mondo sono stati completamente depenalizzati e prevedono, giustamente, sanzioni amministrative e non detentive. Senza contare che sulle misure penali alternative al carcere siamo ancora all’anno zero.
Anche per questo in Italia l’emergenza carceraria è più grave che in altri Paesi.
Si consideri, infine, che in carcere, in genere, ci restano comunque i più deboli, i più poveri, i più emarginati perché chi ha mezzi per difendersi e buoni avvocati riesce ad evitarlo.
Come si stia nelle carceri italiane, poi, è indegno di un qualsiasi paese civile e democratico. Vivere in tre o cinque persone in nove metri quadrati è indegno, e contraddice lo spirito della nostra Costituzione che individua nella pena non un fine ma un mezzo per il recupero sociale del condannato.
Per questa situazione la Corte di Giustizia europea ha già condannato l’Italia.
Che il Presidente della Repubblica inviti, dunque, il Parlamento a valutare eventuali misure di clemenza per dare una risposta a questa emergenza, mi sembra un atto non solo di umanità ma anche di semplice buon senso.
La politica dovrebbe dunque interrogarsi sulla necessità ed opportunità di un tale atto, assumendosi, con coraggio, la responsabilità di mettere in campo una iniziativa che porti a quella riforma organica della giustizia che da due decenni è rimasta impiccata alle vicende personali di Berlusconi, colmando i ritardi legislativi accumulati e che un provvedimento di amnistia o di indulto può solo tardivamente e temporaneamente risolvere.
Invece niente di tutto questo.
Urlare “in galera” è troppo facile e aiuta a prendere consensi. Salvo poi ritrovarsi con le carceri piene e il problema della sicurezza ancora più aggravato.
Altri invece amano disquisire su presunti favori a Berlusconi per motivare il proprio no, nonostante un provvedimento del genere con la condanna dell’uomo di Arcore non c’entra assolutamente nulla.
La politica vera avrebbe il dovere di spiegare all’opinione pubblica il senso di scelte impopolari ma giuste perché garantiscono il pieno godimento dei diritti individuali, i quali non sono mai negoziabili per motivi di “opportunità politica o elettorale”, perché fondamento stesso della democrazia.
Infatti, cosa sarebbe successo, ad esempio, se per continuare a dare retta alla pancia dell’opinione pubblica in Italia non si fosse approvata la legge Basaglia ? Avremmo continuato a tenere i matti nei manicomi con le camicie di forza e trattandoli ad elettroshock continuando a condannare tanta povera gente colpevole solo di soffrire forme, nella maggioranza dei casi, lievi di disagio mentale alla emarginazione sociale ed alla morte civile, anticamera di quella fisica ?
La politica, dunque, si assuma le proprie responsabilità. Che non lo facciano Grillo o la Lega, non mi sorprende. Che non lo faccia chi si candida a fare il segretario del mio partito, del primo partito della sinistra italiana, lo trovo profondamente sbagliato e inaccettabile.
Il buon senso sulla legge elettorale…
Se fossimo un partito serio avremmo già detto sì nella passata legislatura ad una proposta di riforma della legge elettorale che prevedesse le preferenze, con la significativa correzione della doppia preferenza di genere.
Se fossimo un partito serio avremmo, ad esempio, fatto un minimo di analisi del voto confrontando innanzitutto le regionali con le politiche (si votò nello stesso giorno, ricordate ?) e queste ancora con le amministrative di un mese fa, scoprendo, ad esempio, che laddove si vota con le preferenze il PD prende più voti e forze come quella di Grillo si riducono all’inconsistenza.
D’altro canto voi tutti li votereste in una lista gente come Crimi e Lombardi e almeno l’80% dei candidati grillini messi lì apposta perché anonimi e votati a stare zitti tanto parla sempre il “guru” ?
O forse Berlusconi avrebbe potuto avere quella rimonta che poi ha avuto, se il carattere populistico della sua proposta politica fosse stato depotenziato sul territorio da una miriade di candidati forti e radicati ?
Ma il voto con le preferenze ha anche un altro vantaggio: rende necessari i partiti che abbiano un minimo di organizzazione sul territorio, un minimo di radicamento, con gruppi dirigenti locali che nelle scelte hanno la possibilità di contare e pesare.
Ciò avviene in tutte le democrazie del mondo.
Il PD e l’Italia hanno bisogno come il pane di una democrazia che si nutra dal basso, in cui le classi dirigenti si misurano nel fuoco delle dinamiche politiche locali e siano poi in grado di ridurle a sintesi nelle istituzioni nazionali. Se invece i gruppi dirigenti sono selezionati dall’alto sulla base della fedeltà a questo o a quel dirigente, quale politica si potrà mai condurre rispetto ad interessi più ampi e anche più alti del Paese ?
Questi obiettivi, intendiamoci, sono raggiungibili anche con i collegi uninominali a condizione che le candidature siano anch’esse selezionate dai territori in un rapporto virtuoso con il centro di direzione politica nazionale, senza trascurare, anche qui, la necessità di costruire meccanismi che garantiscano la rappresentanza di genere rifuggendo dalle stupidaggini delle cosiddette “quote rosa”.
La storia delle candidature dei collegi uninominali del “mattarellum” purtroppo, questa impostazione, per chi non ha memoria corta, troppo spesso non l’ha rispettata.
Ma questo ragionamento di semplice buon senso non alberga in tanti e troppi dirigenti del PD, che con il “porcellum” si sono costruiti le filiere correntizie (e poi ci fanno le lezioni sui “capibastone”, sic !) con l’aggravante che sono correnti costruite senza neppure il consenso popolare.
Un ragionamento che fa il paio con gli interessi autoconservativi di tanti parlamentari senza voti (e spesso senza testa) che il porcellum lo difenderebbero fino alla morte, a prescindere da certe tirate propagandistiche.
Ora incombe la Consulta che dovrà pronunciarsi su una sentenza della Cassazione che ha detto quello che il buon senso ci diceva da tempo: non è democratica una legge che assegna un premio abnorme di maggioranza senza un minimo di soglia e dove i parlamentari non sono scelti dai cittadini ma da chi compila l’ordine delle liste.
Buon senso vorrebbe cambiare questa legge subito.
Buon senso vorrebbe che il PD non si opponesse alle preferenze per il semplice fatto che è un meccanismo che gli conviene.
Buon senso vorrebbe non aver paura della democrazia ma sostenerla sempre e comunque.
Ma di buon senso se ne vede in giro ?
UN’ANALISI DEL VOTO VERA…
Guai se si riconducesse il successo elettorale di Grillo a fattori locali che, caso per caso, territorio per territorio potrebbero essere piegati a ragioni strumentali di lotta politica autoreferenziale. Il fenomeno Grillo si esprime in maniera omogenea sul territorio nazionale. Se non si capisce che nel voto del 24 e 25 febbraio scorsi si è manifestata prima di tutto una sedimentata rabbia sociale, non si va da nessuna parte. Soprattutto il Sud, ancor di più rispetto al passato, ha cercato da una parte protezione secondo il vecchio cliché (voto al Centrodestra) e dall’altra ha manifestato un vero e proprio ribellismo. Il PD che nel Mezzogiorno vince solo in Basilicata, non ha saputo intercettare questo duplice sentimento. Avrebbe dovuto osare di più con una convincente proposta che rispondesse ad una domanda che in altri tempi si sarebbe detta “di pane, lavoro e libertà”. Se non facciamo i conti con i temi della garanzia dei diritti primari, dell’aumento della domanda di occupazione, della redistribuzione della ricchezza e della modernizzazione del contesto ambientale, prevarrà sempre un senso di insicurezza sociale che si colloca facilmente nell’alveo dell’antipolitica. Anche il ricambio delle classi dirigenti dovrà essere portatore di risposte a queste incalzanti domande. Se ci si attarda solo nei nominalismi sarà sempre peggio.
Per un pugno di voti il Molise rimane al centrodestra. Per il PD resta aperto il problema delle alleanze.
In Molise con il 46,94 % il candidato del centrodestra Angelo Michele Iorio si conferma per la terza volta alla guida della piccola regione seguito con il 46,15 % dal candidato del centrosinistra Paolo Di Laura Frattura. Uno scarto in termini assoluti di appena 1500 voti.
Dita puntate su Grillo che con il suo 5,6% avrebbe impedito al centrosinistra di vincere. Franceschini li accusa di aver fatto vincere “un inquisito”.
Ora, francamente io credo che dare la colpa a Grillo di non essersi alleato con il centrosinistra in nome dell’antiberlusconismo sia un grave errore politico. Intanto perché è davvero singolare pensare che Grillo e il suo movimento che interpreta pienamente e coerentemente l’antipolitica italiana possa essere suscettibile di un’alleanza di governo, anche a livello locale.
Pensare a Grillo come l’ennesimo partito o movimento del centrosinistra da aggregare nel “Fronte popolare anti-Berlusconi” è la rappresentazione del limite profondo che ancora pervade la strategia delle alleanze di governo del PD. Primo perché Berlusconi, nonostante le fiducie, non è eterno e secondo perché un’alleanza siffatta, pur vincente, non sarebbe in grado di governare (l’esperienza dell’Unione sta ancora lì, tutta, a ricordarci il limite di quella politica e che ci spinse, giustamente, a dare vita al PD).
La strutturazione del Centrosinistra di Vasto, PD+IDV+SEL non è sufficiente non solo numericamente, ma politicamente.
Tenere insieme chi propone il ritorno alla legge Reale dopo i fatti di Roma con chi fino a ieri dichiarava che Carlo Giuliani era un eroe è un’operazione che non ha la minima credibilità e quando si andrà a votare non potrà non emergere e anche se si vincesse non potrebbe non pesare.
Di Pietro, che qui ha eletto il suo “Trota” consigliere regionale è un populista che in qualunque democrazia “normale” troverebbe la sua naturale collocazione nella destra, magari in quella cosiddetta “sociale” che nel Parlamento europeo raggruppa gli esponenti di Jean Marie Le Pen o i post-falangisti spagnoli.
Un’altra contraddizione è costituita da Vendola e da SEL, che si configura come una riedizione, neppure tanto nuova, del PRC bertinottiano. La notizia riportata oggi dal Corriere della Sera secondo la quale SEL avrebbe mediato con il “movimento” per un certo tipo di corteo in cambio di candidature tipo quelle che portarono i no global Caruso e Agnoletto nelle tanto bistrattate ma allo stesso tempo tanto spasmodicamente cercate istituzioni “borghesi”, se vera, rileva una difficoltà di fondo per Vendola di staccarsi da un retaggio politico caratterizzato da un antagonismo marginale e comunque assolutamente incompatibile con il profilo e la funzione di una sinistra moderna che si candida addirittura a guidare un grande Paese europeo come l’Italia.
Se poi guardiamo ai risultati delle liste balza subito agli occhi la buona affermazione dei socialisti, che passano dal 3 al 5 % (superando i grillini che come liste arrivano appena al 3 % e non conquistano neppure un seggio), il 9 % del PD (pochino) e l’altrettanto deludente risultato di Di Pietro (8,37%), che nella sua regione, con il figlio candidato perde in voti (quasi 2000) e percentuale. SEL e Rifondazione Comunista insieme superano di poco il 6%. Nell’altro campo l’UDEUR oggi alleata con il centrodestra e l’UDC più altre formazioni di centro superano abbondantemente il 15 % senza contare alcune civiche riferibili più o meno al Terzo Polo.
Le indicazioni elettorali sono quindi assai chiare e dovrebbero consolidare una strategie delle alleanze del PD diversa, in cui inclusioni ed autoesclusioni siano fatte sulla politica e non sul richiamo ad un frontismo parolaio e massimalista. Pensare che la questione si possa risolvere includendo un altro parolaio e massimalista a quelli che già affollano l’attuale centrosinistra non solo è sbagliato ma criminale.