Libia
LA MORTE DI GHEDDAFI…
La scena del dittatore ucciso, linciato, violato nella sua umanità nell’atto estremo della morte non è giustizia, è solo vendetta. Uccidere o processare il tiranno quando è ormai sconfitto e senza potere appare come un’operazione ipocrita e un tantino vigliacca, che serve a coprire silenzi e complicità precedenti, a mondare coscienze democratiche per troppo tempo distratte o con gli occhi chiusi di fronte all’assoluta banalità del male. Per questo gioire per la morte di Gheddafi mi sembra un atto barbaro così come barbari sono stati i comportamenti in vita di quell’uomo. Perché alla fine anche quel tiranno era soltanto un uomo, un altro terribile prodotto della crudeltà umana. E per la crudeltà umana vale solo la giustizia e, dopo la morte, solo la pietà.
Guerra umanitaria, guerra giusta o guerra necessaria ?
La questione libica è sfociata nell’azione congiunte delle forze NATO su mandato dell’ONU per colpire le basi del regime di Gheddafi e proteggere le forze ribelli che stavano per soccombere in seguito alla controffensiva del Rais.
Questa azione riapre l’interrogativo classico sull’uso della forza in casi evidenti di violazione dei diritti umani in alcune aree del mondo. Che in Libia ci sia, e non da oggi, un palese caso di violazione dei diritti umani non c’è alcun dubbio. Molti hanno obiettato, giustamente, che Gheddafi massacrava i suoi concittadini anche prima e nessuno, nel civile e democratico mondo occidentale ha avuto nulla da eccepire, anzi. Gheddafi negli ultimi tempi, era diventato il “cocco” di gran parte della diplomazia occidentale, Italia per prima, e di tutti i governi, di destra o sinistra che fossero.
Senza contare che palesi violazioni dei diritti umani si sono verificate in tutto il mondo anche di recente e non per questo l’Occidente democratico ha sentito il dovere di intervenire militarmente.
La storia degli interventi militari nei punti caldi del mondo (Kosovo a parte) è, in verità, stata mossa da motivazioni assai più materiali e prosaiche della giusta volontà di ripristinare la democrazia dove veniva conculcata (controllo delle fonti energetiche, innanzitutto). Paesi poveri e marginali come il Ruanda o il Sudan non hanno suscitato l’intervento militare del democratico Occidente come l’Iraq o la stessa Libia.
Personalmente non amo la guerra, in nessuna sua forma. Non credo che ci siano guerre giuste (se non forse quelle che si “devono fare” per difendersi dalla sopraffazione) e sicuramente non esistono guerre umanitarie (una vera e propria contraddizione in termini). Esistono, tuttavia, guerre più o meno necessarie e l’intervento in Libia certamente lo è.
Lo è per sostenere il processo di democratizzazione del mondo arabo che si è avviato negli ultimi mesi e che non può essere abbandonato a se stesso o, peggio, all’influenza nefasta dell’integralismo islamico. Difendere la democrazia nel mondo arabo significa anche garantire la sicurezza di quello occidentale, problema immigrazione a parte.
Lo è per l’Italia, per i suoi interessi geopolitici, per la necessità che in tutto il Nordafrica si instaurino regimi democratici con i quali il nostro Paese abbia relazioni politiche ed economiche positive e stabili.
Gli interessi economici sono sempre presenti, non c’è dubbio, né può scandalizzarci. Il problema è come questi siano posti in una dimensione globale di coesistenza e cooperazione pacifica senza contare il vecchio principio wilsoniano dell’autodeterminazione dei popoli.
La guerra è uno strumento comunque sbagliato ? Non ho motivo di dissentire ma allo stato attuale non ne vedo altri, sinceramente. Ma è anche vero che il pacifismo assoluto non esiste nelle società umane, se si esclude lo straordinario insegnamento ghandiano o la visione religiosa cristiana.
Nel pacifismo politico tradizionale che abbiamo conosciuto in Occidente, non sono, infatti, meno presenti contraddizioni ed incongruenze. Mi riferisco essenzialmente al tradizionale pacifismo antiamericano e antioccidentale, che giustamente ha manifestato per la guerra in Iraq o in Kossovo e ha taciuto (o ha parlato assai flebilmente) sui missili nordcoreani o sui massacri sudanesi o ruandesi.
Dire no all’intervento ONU in Libia oggi significa tenersi Gheddafi: non mi piaceva prima e mi piace ancora meno ora. Nessun democratico con un minimo di buon senso può oggi sostenere un disimpegno da quell’area, per ragioni ideali e per ragioni pratiche. Di certo i democratici hanno il dovere di chiedere che l’uso della forza sia limitato nel tempo e nell’intensità e che abbia effetti concreti per la stabilizzazione di quel Paese e per dare la possibilità ai libici di scegliersi il proprio destino. Far nulla sarebbe peggio e doppiamente colpevole.