ONU
L’incapacità di Berlusconi a comportarsi da vero leader
Chi ha la bontà di leggere le cose che ogni tanto scrivo sa che rispetto a Berlusconi non ho mai avuto alcun atteggiamento pregiudiziale o ideologico.
Per me resta un avversario politico che va battuto con l’arma della politica, cioè prendendo più voti di lui alle elezioni.
Ho sempre aborrito le scorciatoie giudiziarie e credo anche che, in qualche misura, su di lui un certo accanimento da parte di alcuni settori della magistratura c’è pure stato.
Aggiungo che anche questo è frutto dei suoi macroscopici errori politici. Se in questi anni, infatti, invece di procedere con leggine ad personam suggerite dai suoi avvocati, avesse invece perseguito, per il bene di tutti i cittadini, una profonda riforma della giustizia oggi non si troverebbe nelle condizioni in cui è. E magari tanti cittadini potrebbero oggi avere una giustizia che garantisce tutti, ricchi e poveri, potenti e deboli.
Ma il limite vero di Berlusconi è proprio questo, non sapere guardare oltre il ristretto orizzonte dei suoi interessi personali.
D’altro canto il suo è sempre stato un garantismo peloso, senza se e senza ma per sé e per i suoi, forcaiolo e giustizialista per gli avversari politici e per i poveri cristi.
Comunque oggi è stato condannato con sentenza definitiva. Le sentenze definitive, quando cioè sono stati espletati tutti i gradi di giudizio previsti dal nostro ordinamento nel pieno delle garanzie di uno stato di diritto, possono anche non piacere, si possono anche discutere, ma si devono rispettare. Ciò vale per tutti i cittadini ma vale soprattutto per chi ricopre incarichi politici.
Un vero leader politico che ha davvero a cuore i destini del suo Paese e della sua stessa parte politica dovrebbe, a questo punto, fare la cosa più giusta, mettersi da parte e favorire l’apertura di una nuova fase.
Ma così non è: da settimane si assiste, invece, a questo teatrino attorno al voto in Commissione per la sua decadenza da senatore e alle minacce di ritorsione sul governo Letta.
Si tratta, è bene ribadirlo, di questione alla fine ininfluente sul piano pratico: anche un voto contrario alla sua immediata decadenza non cancellerebbe la condanna e la pena che dovrà comunque scontare e, dopo la riformulazione di quella accessoria da parte della Corte d’Appello di Milano, la stessa questione si ripresenterebbe nei medesimi termini.
Persino l’eventuale ricorso alla Consulta sulla presunta incostituzionalità della retroattività della sentenza sarebbe ininfluente, perché non cancellerebbe né la condanna né la pena accessoria. E comunque Berlusconi, alle prossime elezioni, non è ricandidabile. Se ne facciano una ragione tutti, pitonesse e paggi.
Da parte sua il PD dovrebbe fare come si fa con certi vecchi molesti, che non vogliono proprio saperne di accettare la realtà. Ricorra pure alla Consulta, all’ONU e persino al Consiglio della Galassia. Primo o poi qualcuno troverà il coraggio di dirgli che sta sulle balle proprio a tutti, compresi quelli che gli gridano ancora “forza Silvio”.
D’ALEMA: IL COMPORTAMENTO DI INGROIA RENDE POCO CREDIBILE IL PAESE
“Ingroia prima ha condotto l’inchiesta Stato-mafia, non a caso conclusa con una candidatura elettorale, usando il suo ruolo per processare la storia del nostro Paese, poi ha abbandonato il suo ufficio internazionale. Da ministro degli Esteri, so cosa ha significato riuscire a ottenere dall’Onu l’incarico in Guatemala per un italiano. E so cosa vuol dire per la credibilità del Paese che l’incaricato stia lì solo una settimana, per giunta in collegamento con Santoro, e poi se ne vada”.
Guerra umanitaria, guerra giusta o guerra necessaria ?
La questione libica è sfociata nell’azione congiunte delle forze NATO su mandato dell’ONU per colpire le basi del regime di Gheddafi e proteggere le forze ribelli che stavano per soccombere in seguito alla controffensiva del Rais.
Questa azione riapre l’interrogativo classico sull’uso della forza in casi evidenti di violazione dei diritti umani in alcune aree del mondo. Che in Libia ci sia, e non da oggi, un palese caso di violazione dei diritti umani non c’è alcun dubbio. Molti hanno obiettato, giustamente, che Gheddafi massacrava i suoi concittadini anche prima e nessuno, nel civile e democratico mondo occidentale ha avuto nulla da eccepire, anzi. Gheddafi negli ultimi tempi, era diventato il “cocco” di gran parte della diplomazia occidentale, Italia per prima, e di tutti i governi, di destra o sinistra che fossero.
Senza contare che palesi violazioni dei diritti umani si sono verificate in tutto il mondo anche di recente e non per questo l’Occidente democratico ha sentito il dovere di intervenire militarmente.
La storia degli interventi militari nei punti caldi del mondo (Kosovo a parte) è, in verità, stata mossa da motivazioni assai più materiali e prosaiche della giusta volontà di ripristinare la democrazia dove veniva conculcata (controllo delle fonti energetiche, innanzitutto). Paesi poveri e marginali come il Ruanda o il Sudan non hanno suscitato l’intervento militare del democratico Occidente come l’Iraq o la stessa Libia.
Personalmente non amo la guerra, in nessuna sua forma. Non credo che ci siano guerre giuste (se non forse quelle che si “devono fare” per difendersi dalla sopraffazione) e sicuramente non esistono guerre umanitarie (una vera e propria contraddizione in termini). Esistono, tuttavia, guerre più o meno necessarie e l’intervento in Libia certamente lo è.
Lo è per sostenere il processo di democratizzazione del mondo arabo che si è avviato negli ultimi mesi e che non può essere abbandonato a se stesso o, peggio, all’influenza nefasta dell’integralismo islamico. Difendere la democrazia nel mondo arabo significa anche garantire la sicurezza di quello occidentale, problema immigrazione a parte.
Lo è per l’Italia, per i suoi interessi geopolitici, per la necessità che in tutto il Nordafrica si instaurino regimi democratici con i quali il nostro Paese abbia relazioni politiche ed economiche positive e stabili.
Gli interessi economici sono sempre presenti, non c’è dubbio, né può scandalizzarci. Il problema è come questi siano posti in una dimensione globale di coesistenza e cooperazione pacifica senza contare il vecchio principio wilsoniano dell’autodeterminazione dei popoli.
La guerra è uno strumento comunque sbagliato ? Non ho motivo di dissentire ma allo stato attuale non ne vedo altri, sinceramente. Ma è anche vero che il pacifismo assoluto non esiste nelle società umane, se si esclude lo straordinario insegnamento ghandiano o la visione religiosa cristiana.
Nel pacifismo politico tradizionale che abbiamo conosciuto in Occidente, non sono, infatti, meno presenti contraddizioni ed incongruenze. Mi riferisco essenzialmente al tradizionale pacifismo antiamericano e antioccidentale, che giustamente ha manifestato per la guerra in Iraq o in Kossovo e ha taciuto (o ha parlato assai flebilmente) sui missili nordcoreani o sui massacri sudanesi o ruandesi.
Dire no all’intervento ONU in Libia oggi significa tenersi Gheddafi: non mi piaceva prima e mi piace ancora meno ora. Nessun democratico con un minimo di buon senso può oggi sostenere un disimpegno da quell’area, per ragioni ideali e per ragioni pratiche. Di certo i democratici hanno il dovere di chiedere che l’uso della forza sia limitato nel tempo e nell’intensità e che abbia effetti concreti per la stabilizzazione di quel Paese e per dare la possibilità ai libici di scegliersi il proprio destino. Far nulla sarebbe peggio e doppiamente colpevole.