preferenze
I veri difetti dell’Italicum
Pubblicato su: http://lacnews24.it/10019/la-riflessione/i-veri-difetti-dell-italicum.html
A mio parere, ed al netto delle tante cose dette (anche a sproposito) in questi giorni, la nuova legge elettorale definita, in omaggio al provinciale vezzo del latinorum di questi anni Italicum, presenta soprattutto due difetti di fondo che, nonostante alcuni notevoli miglioramenti rispetto alla sua prima versione, ne mettono in dubbio la costituzionalità di alcune sue parti.
Quando parlo di costituzionalità mi riferisco ai rilievi già avanzati dalla Consulta nella sua sentenza del 4 dicembre 2013 con la quale è stato abrogato il famigerato porcellum. Continua a leggere
Votare e(‘) scegliere. Leggi elettorali in Italia e nel mondo. Il mio ebook sulla storia delle leggi elettorali
In questo saggio presento un esauriente excursus storiografico sui sistemi elettorali adottati in Italia dall’Unità ad oggi e descrive quelli in uso oggi nei principali paesi europei e del mondo democratico che sono entrati a far parte del nostro dibattito politico. Dalla lettura di queste pagine si apprende così che in Italia solo in due precisi momenti storici, durante la dittatura fascista e negli anni in cui è rimasto in vigore il famigerato porcellum, gli elettori non hanno potuto scegliere direttamente i propri rappresentanti nel parlamento nazionale. Il sistema elettorale, infatti, è lo strumento attraverso il quale si seleziona la classe dirigente ed è essenziale per il funzionamento della democrazia. Per questo le leggi elettorali non possono mai essere considerate Continua a leggere
La verità sulla demonizzazione delle preferenze
L’autore di Indignatevi !, Stéphane Hessel, poco prima di morire l’anno scorso scriveva che “l’attuale sistema dei partiti è in crisi, in Spagna come in altri Paesi. la gente non si fida dei partiti minati dagli scandali, dalla corruzione, e diretti da pesanti apparati che si preoccupano più della propria sopravvivenza politica e della spartizione di quote di potere che non di cambiare davvero le cose. Il sistema elettorale, soffocato in Spagna dal meccanismo delle liste chiuse e bloccate, impedisce il rinnovamento necessario“.
Questo passo, tratto dalla sua ultima opera Non arrendetevi ! e che rappresenta un vero e proprio appello al rinnovamento della democrazia e il tentativo di dare una risposta alla crisi della politica e delle istituzioni in Europa (crisi che in Spagna è stata interpretata dal movimento degli indignados che proprio negli scritti di Hessel aveva cercato una base teorica), mi è tornato in mente in questi giorni in cui si discute di legge elettorale in Italia e soprattutto di preferenze si o no.
Il grande provincialismo della politica italiana, dopo l’obbrobrio del porcellum, non è riuscito a far altro che proporre l’imitazione di un sistema elettorale che, dove è applicato, la Spagna, è sottoposto a forte critica e contestazione e addirittura additato come responsabile primo della crisi politico-istituzionale. Insomma, rischiamo di prenderci un vestito che altrove non vedono l’ora di togliersi di dosso.
Il fantasma delle liste bloccate è tornato dunque ad aleggiare nel dibattito politico. Per giustificare ciò si sta riproponendo tutto il vecchio armamentario ideologico contro le preferenze, il sistema con il quale, tradizionalmente, in Italia gli elettori hanno sempre scelto i propri rappresentanti in presenza di liste plurinominali.
Le accuse più frequenti sono: 1) le preferenze esistono solo in Italia, 2) sono generatrici di corruzione perché comportano eccessive spese elettorali, 3) comportano una eccessiva personalizzazione della politica. Ma è tutto vero ? Proviamo a rispondere.
1) Le preferenze esistono solo in Italia. Mica vero. Proprio in Spagna la parte elettiva del Senato spagnolo è eletto con il meccanismo del voto limitato, vale a dire se i candidati in un collegio sono 4 se ne possono votare solo 3, se sono 3 solo due e così via. Meccanismi analoghi sono previsti per la selezione di candidati in liste plurinominali in altri sistemi elettorali (alcuni prevedono anche il voto di candidati di liste diverse) fino al sistema elettorale usato, per esempio, in Australia dove gli elettori sulla scheda trovano una lista di candidati con a fianco degli spazi sui quali scrivono con numeri l’ordine con il quale desiderano siano eletti i deputati di quella circoscrizione. Insomma, delle preferenze.
2) Le preferenze sono generatrici di corruzione perché comportano eccessive spese elettorali. Premesso che a commettere i reati sono le persone e non le leggi, tali difetti possono essere facilmente risolti con l’applicazione più stringente delle norme sui tetti di spesa consentiti e limitando l’ampiezza delle circoscrizioni elettorali. D’altro canto non mi pare che, con le liste bloccate, si sia contribuito poi in maniera così incisiva alla moralizzazione delle istituzioni parlamentari dal momento che persone accusate di essere corrotte o addirittura colluse con organizzazioni criminali hanno continuato ad farvi il loro ingresso e forse in maniera anche più semplice. I Batman, dunque, non sono figli delle preferenze ma della cattiva politica, che trova sempre il modo di farsi eleggere a prescindere dal sistema elettorale vigente.
3) Comportano una eccessiva personalizzazione della politica. Una critica francamente incomprensibile in tempi in cui la personalizzazione della politica è diventata regola e non eccezione, soprattutto in una fase storica in cui i partiti hanno perso il ruolo di organizzatori di interessi collettivi in nome di grandi valori ideali. Anche qui, dunque, fermare la propria attenzione ai soli meccanismi elettorali (senza contare che ce ne sono altri ancora più basati sulla personalizzazione, pensiamo ai collegi uninominali) significa scambiare l’effetto con la causa.
Sulla base di queste considerazioni e premesso che nessun sistema è esente da difetti, mi pare evidente che molte di queste critiche, in realtà, sono strumentali alla difesa del meccanismo delle liste bloccate che, a sua volta, è funzionale alla garanzia di ristrette nomenclature.
Insistere nel voler mantenere le liste bloccate, dunque, non solo significa andare contro la volontà della stragrande maggioranza dell’opinione pubblica italiana (oltre il 65% non le vuole più e chiede o i collegi uninominali o le preferenze secondo un recente sondaggio Ipsos) ma anche ostinarsi a non comprendere che gran parte della contestazione che oggi investe la politica è il frutto del vero e proprio rifiuto e rigetto nei confronti di un parlamento fatto da “nominati”.
In Italia, del resto, solo in due momenti storici si è fatto ricorso a liste bloccate e gli italiani non hanno potuto scegliere i propri rappresentanti: durante il fascismo (che poi il parlamento finì per abolirlo del tutto) e con il porcellum che, statene certi, se non fosse stato”cassato” dalla Consulta, starebbe ancora tutto in piedi e in mano dei ristrettissimi gruppi dirigenti di partiti sempre più chiusi e autoreferenziali.
PS. Ultima questione di cui si parla: le primarie. Si dice che per far scegliere i cittadini siano sufficienti le primarie. Benissimo, come essere contrari ? A condizione, però che siano imposte per legge a tutti i partiti. Le leggi sono sempre erga omnes. In Germania, ad esempio, dove esistono le liste bloccate, i candidati sono selezionati dai partiti con una sorta di “primaria” che si svolge alla presenza di funzionari dello Stato. Può essere una strada, che deve però partire dal presupposto che i partiti italiani, come in gran parte d’Europa e del mondo democratico siano “costituzionalizzati” fino in fondo e sottoposti ad una legge che ne regoli, almeno in grandi linee, anche la vita interna e gli obblighi nei confronti dei propri aderenti. Si può fare ? Certamente, anche se resta da capire perché darsi tanta pena (ed aumentare anche i costi a carico dello Stato) per organizzare due momenti elettorali per dare al cittadino un possibilità di scelta dei candidati per garantire la quale è sufficiente consentire l’espressione di preferenze sulla scheda.
Corsi e ricorsi della legge elettorale
Renzi ha avanzato una proposta di legge elettorale presentandola come una grande novità per il nostro Paese.
La verità è che questo paese non ha memoria storica.
Nel 1882 la Sinistra Storica varò una legge elettorale maggioritaria a doppio turno molto simile a quella proposta da Renzi oggi basata su collegi plurinominali che assegnavano da un massimo di 5 seggi ad un minimo di due.
Solo che quella legge prevedeva la preferenza, perché l’elettorale aveva diritto a votare per i singoli candidati di una lista fino ad un massimo di 4 nei collegi con 5 candidati per tutelare la rappresentanza delle minoranze.
A nessuno veniva in mente di limitare il diritto degli elettori a scegliere i propri rappresentanti. Stiamo parlando di una legge dell’800. Meno male che oggi siamo progressisti.
I veri statisti, il parlamento e la legge elettorale
I grandi statisti italiani sono stati davvero pochi, a contarli non riempiono le dita di una mano: Cavour, Giolitti, De Gasperi. Parlo solo, per comodità, di quelli che hanno avuto funzioni di governo, perché si può essere uomini di stato anche se costretti a ruoli di opposizione.
Questi uomini, pur nella diversità personali e di contesto storico in cui operarono, avevano però una caratteristica comune: tutti e tre erano straordinari parlamentari che mettevano proprio il parlamento al centro della loro azione politica.
Ora, per definizione, il parlamento è il luogo dove si esprime la rappresentanza attraverso eletti che sono espressione di pezzi di società e di territori diversi e, di conseguenza, portatori di interessi vari e spesso configgenti tra loro.
La forza di quei leader fu proprio essere riusciti a dirigere ed a dare un senso unitario a quelle spinte diverse e farle diventare una politica in momenti assai difficili della nostra storia. Esattamente lo stesso che seppero fare i loro omologhi in tutto il mondo democratico. Al contrario coloro che, anche in Italia, basarono le loro fortune (sempre temporanee e con effetti disastrosi per sé e per il loro paese) solo sulla propria leadership, hanno sempre avuto in odio il parlamento definendolo di volta in volta o come inutile orpello e/o come il simbolo stesso di tutti i mali possibili.
La politica di oggi, in Italia, continua ad essere caratterizzata da questa seconda concezione: leaderhip assoluta, inizio e fine di sé stessa. Non è un caso, dunque, che l’accordo sulla legge elettorale Renzi e Berlusconi lo stiano trovando sull’unico vero punto condiviso, le liste bloccate.
Giuseppe De Rita su “Il Mattino” di oggi dice che “la paura di fare un flop induce i partiti ad affidarsi al carisma di uno solo. Ed è inevitabile che il leader cerchi di mantenere il controllo sui suoi eletti, perché correrebbe il rischio in Parlamento di non avere soldati in grado di seguirlo”.
E’ questo e solo questo il motivo della resistenza nei confronti delle preferenze (ma anche dei collegi a questo punto), a cominciare dai due leader sopracitati (con la sottolineatura che almeno Berlusconi lo dice senza ipocrisia). Le preferenze, infatti, rappresentano l’unico modo, in presenza di liste di candidati, lunghe o corte che siano, per dare agli elettori la facoltà di scegliere direttamente i propri rappresentanti. Allo stesso modo non si vogliono i collegi uninominali per evitare di essere “tediati” da qualche centinaio di “sindacalisti del territorio” come, spesso inevitabilmente, diventano i parlamentari eletti in questo modo.
Per dire no alle preferenze poi, si usano argomenti lombrosiani, come se fossero queste la causa di tanti fenomeni degenerativi. La storia recente dimostra, invece, che non solo le liste bloccate del “porcellum” non hanno posto fine a tali fenomeni ma in alcuni casi li hanno addirittura favoriti.
Ma è mai possibile che nessuno sappia guardare alla storia recente di legislature in cui il tasso di migrazione politica o di trasformismo è aumentato rendendo instabili governi con maggioranze enormi come ha dovuto sperimentare lo stesso Berlusconi ? O forse che le liste bloccate hanno impedito l’ingresso in parlamento di persone che eufemisticamente non possono certamente definirsi degli stinchi di santo ?
Non si meni, dunque, il can per l’aia: le liste bloccate sono funzionali ad una concezione populistica che riduce tutto alla funzione salvifica della leadership. Ma la leadership da sola non sempre è sufficiente a dare risposte a problemi che sono tutti politici. Al massimo, quando va bene, fa vincere le elezioni. Ma per diventare statisti la strada è molto più lunga e difficile.
Sulla legge elettorale evitiamo furbizie riproponendo le liste bloccate
La sentenza della Corte Costituzionale è chiara. Sono incostituzionali sia il premio di maggioranza che distorce il principio democratico per il quale è possibile trasformare “una formazione che ha conseguito una percentuale pur molto ridotta di suffragi in quella che raggiunge la maggioranza assoluta dei componenti dell’assemblea” , sia le liste bloccate che impediscono all’elettore di scegliere il proprio rappresentante.
“Non c’è”, infatti, (cito ancora testualmente la sentenza) “un modello di sistema elettorale imposto dalla Carta costituzionale, in quanto quest’ultima lascia alla discrezionalità del legislatore la scelta del sistema che ritenga più idoneo ed efficace in considerazione del contesto storico. Il sistema elettorale, tuttavia, pur costituendo espressione dell’ampia discrezionalità legislativa, non è esente da controllo, essendo sempre censurabile in sede di giudizio di costituzionalità quando risulti manifestamente irragionevole”.
Stando così le cose la Corte non poteva che limitarsi a cassare le parti della legge palesemente incostituzionali perché altrimenti si sarebbe appropriata di prerogative legislative che non le competono. Le leggi le fa il parlamento, che ne ha, come è stato ribadito ancora una volta dalla stessa Corte, la piena legittimità e, anzi, il dovere.
In questo contesto va anche lettala questione relativa alle liste bloccate perché con il “porcellum” veniva a verificarsi “la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione” mancasse “il sostegno della indicazione personale dei cittadini che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione. Simili condizioni di voto, che impongono al cittadino, scegliendo una lista, di scegliere in blocco anche tutti i numerosi candidati in essa elencati, che non ha avuto modo di conoscere e valutare e che sono automaticamente destinati, in ragione della posizione in lista, a diventare deputati o senatori, rendono la disciplina in esame non comparabile né con altri sistemi caratterizzati da liste bloccate solo per una parte dei seggi, né con altri caratterizzati da circoscrizioni elettorali di dimensioni territorialmente ridotte, nelle quali il numero dei candidati da eleggere sia talmente esiguo da garantire l’effettiva conoscibilità degli stessi e con essa l’effettività della scelta e la libertà del voto (al pari di quanto accade nel caso dei collegi uninominali)”.
In questa parte molti commentatori hanno voluto leggere un via libera a modelli elettorali di altri paesi, quello spagnolo e tedesco per intenderci, dove le liste bloccate esistono pur essendo molto corte (Spagna) e riferite a circoscrizioni assai piccole o limitate ad una parte degli eleggibili (Germania) essendo gli altri deputati eletti in collegi uninominali. In entrambi i casi i nomi dei candidati sono riportati sulla scheda.
Insomma, la tentazione che si possano riproporre, in forme più “potabili” le liste bloccate, cioè liste più corte ma pur sempre di nominati per essere espliciti, è assai forte. Ed è qui, che a mio parere i cittadini devono vigilare.
Perché se è vero che in Spagna e in Germania esistono liste bloccate è anche vero che in quei Paesi è cresciuta in questi anni l’insofferenza contro quelle leggi elettorali che non consentono il voto diretto al parlamentare da parte dell’elettore.
Non si comprende perché, dunque, dovremmo imitare sistemi elettorali che in quegli stessi paesi sono sottoposti a forti critiche e richieste di revisione. Senza contare che si trascura di dire che già nel sistema spagnolo, per quanto riguarda la parte elettiva del Senato (l’altra parte è delegata delle autonomie locali) sono previste le preferenze. I senatori spagnoli, infatti, sono eletti con il meccanismo del voto limitato, vale a dire che gli elettori, se gli eleggibili in una circoscrizione sono, ad esempio, 4 ne possono votare fino ad un massimo di tre.
Riproporre nella nuova legge elettorale le liste bloccate sarebbe dunque un errore che non farebbe che alimentare la contestazione antipolitica, perché farebbe rientrare dalla finestra ciò che si è cercato di cacciare via dalla porta, vale a dire un parlamento di “nominati”.
Ecco perché la nuova legge elettorale, anche (e io dico soprattutto) su questo punto non può permettersi furbizie che non farebbero che alimentare l’insofferenza dei cittadini.
Le uniche due forme nelle quali l’elettore può scegliere direttamente il proprio rappresentante sono la preferenza e il collegio uninominale. Personalmente preferisco la prima, soprattutto la doppia preferenza di genere che consente alle donne di poter concorrere alla pari degli uomini alla possibilità di essere elette. Ma le forme per garantire questo diritto di scelta degli elettori possono essere diverse, anche guardando all’Europa con occhi meno strabici di quanto spesso si fa (la non citazione del metodo di elezione del Senato spagnolo è, a mio parere, emblematica).
Le forze politiche in parlamento ne scelgano uno, ma decidano, perché fare una buona legge elettorale rappresenta un passo fondamentale anche se non sufficiente per dare finalmente un nuovo assetto alla democrazia italiana.
Perché la decisione della Consulta sul porcellum è ineccepibile
Pubblicato su Portale de “L’Ora della Calabria” il 6 dicembre 2013
La decisione della Corte Costituzionale è assolutamente ineccepibile e non ci voleva uno scienziato del diritto per prevedere come sarebbe finita. Nei giorni scorsi torme di “costituzionalisti da bar dello sport” si sono prodigati nel tentativo di prefigurare scenari che in realtà corrispondevano solo alla volontà che nulla cambiasse. Ed in effetti il porcellum è stato, in questi anni, come quella donnaccia che tutti disprezzavano in pubblico di giorno e che di notte tutti andavano a trovare di nascosto.
Oggi, a mente fredda, si può valutare fino in fondo la portata della decisione della Corte cercando di rispondere ad alcune domande che pure emergono in queste ore e che tendono a ridurre la sentenza ad una dimensione politica che invece, oggettivamente, non ha.
Prima questione: il premio di maggioranza. Che un premio di maggioranza assegnato alla coalizione o lista che conseguiva la maggioranza relativa dei voti validi senza una soglia minima per potervi accedere fosse incostituzionale era ed è abbastanza evidente.
Un sistema simile poteva aver senso in un quadro politico almeno all’80% bipolare (ed è stato così fino al 2008) ma risulta assolutamente antidemocratico in una situazione nella quale le coalizioni sono più di due, come si è evidenziato in questa legislatura con tre coalizioni-liste che hanno preso ciascuno un terzo dei voti validi, più una quarta che ha preso un decimo ed il premio di maggioranza alla Camera è stato assegnato alla coalizione che ha prevalso sulle altre per appena 300mila voti. In buona sostanza prende il premio chi ha preso poco più di un terzo dei voti dei cittadini e il restante 70% rimane in minoranza pure essendo oltre la maggioranza assoluta. Si aggiunga poi che il premio di maggioranza su base regionale del Senato non ha dato in quella camera nessuna maggioranza ed ha determinato la condizione di stallo che ha portato alla situazione attuale. Neanche il primo governo Mussolini aveva avuto il coraggio di introdurre un premio di maggioranza così abnorme senza una soglia minima (fissata nel 1924 al 25 %).
Un premio di maggioranza ha senso e si motiva per una coalizione o una forza che abbia superato almeno il 40% dei voti validi, quindi una maggioranza relativa sufficientemente consistente per definire la volontà prevalente dell’elettorato, altrimenti lede il principio fondamentale secondo il quale in democrazia governa la maggioranza.
Seconda questione: le liste bloccate. Anche sulla incostituzionalità delle liste bloccate non possono esserci molti dubbi: gli art. 56 e 58 della Costituzione, infatti, stabiliscono chiaramente che deputati e senatori sono eletti a “suffragio universale e diretto”. Significa che è l’elettore che elegge direttamente il proprio rappresentante, se l’italiano non è un’opinione. Mi sapete dire, invece, in quale modo gli elettori potevano esercitare questo diritto costituzionale ? Con il porcellum, infatti, all’elettore era consentita soltanto la ratifica di una decisione presa a priori dal compilatore della lista che assegnava le posizioni “eleggibili”. Senza contare che, con il meccanismo delle diverse candidature in più circoscrizioni e le opzioni successive degli eletti, l’elettore non decideva neppure che quella lista, con quella composizione, fosse effettivamente quella eletta nella sua circoscrizione.
Le liste bloccate, d’altro canto è in contrasto anche con l’articolo 67 della Costituzione secondo il quale “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Come poteva esercitare questa funzione di rappresentanza e questa libertà di mandato il parlamentare la cui elezione non dipendeva dai cittadini-elettori ma dal compilatore della sua lista ?
Terza questione: il voto a maggioranza sulla norma delle liste bloccate. La Corte Costituzionale, a quanto emerge sia dal comunicato finale che da successivi interventi di insigni costituzionalisti, non si è divisa sulla incostituzionalità delle liste bloccate che è invece altrettanto chiara come quella del premio di maggioranza, ma sulla opportunità di intervenire su un punto che, nei fatti, avrebbe dato alla Corte un potere “attivo e positivo” di intervento su una legge, potere che spetta esclusivamente al legislatore.
Per lo stesso motivo non poteva valere la tesi della cosiddetta “reviviscenza” della legge precedente, il cosiddetto mattarellum perché sulla questione la Corte si era già espressa dichiarando inammissibili i referendum di appena un anno e mezzo fa che avevano raccolto oltre un milione e mezzo di firme e che si ponevano appunto questo obiettivo.
Una consolidata giurisprudenza in materia elettorale, infatti, nega la possibilità di abrogazioni totali e il ripristino di norme precedenti, poteri che appartengono soltanto, è bene ribadirlo, al legislatore. Gli interventi in materia elettorale di organi come la Corte Costituzionale (così come i referendum popolari abrogativi), possono riguardare singole parti, fermo restando che ciò che resta deve essere comunque una legge funzionante di cui il corpo elettorale possa servirsi in ogni momento. Nessuna democrazia può, infatti, restare anche un secondo senza una legge che regola l’elezione dei propri organi rappresentativi.
Alla fine, dunque, i Supremi Giudici sono pervenuti, sia pure a maggioranza, alla decisione che un intervento su questo punto avrebbe semplicemente ripristinato la vecchia norma, valida fino al ’94, della preferenza, una norma che, del resto, resta attiva ed operante in altri livelli istituzionali (Comuni, Regioni, elezioni per il Parlamento Europeo). Ciò che resta, in attesa della pubblicazione della sentenza fra qualche settimana, è, dunque, un sistema elettorale proporzionale puro con preferenza unica. Né più e né meno che la legge con la quale l’Italia ha votato dal 1946 al 1994.
Quarta questione. Gli effetti della sentenza. Dunque, se il porcellum è illegittimo sono anche illegittimi i parlamenti eletti dal 2006 ad oggi e tutte le leggi e provvedimenti emanati in questo periodo ? Assolutamente no e lo sa bene anche chi utilizza questo argomento in queste ore per bassa polemica politica. Come diceva giustamente Michele Ainis in un suo editoriale di poche ore prima della sentenza, se una legge vieta la fecondazione assistita dovremmo forse uccidere il bambino nato con l’applicazione di una legge dichiarata illegittima ?
La stessa Corte sottolinea, nello scarno comunicato di ieri, che il Parlamento può operare ed “approvare nuove leggi nel rispetto dei principi costituzionali”. Vuol dire che il Parlamento è assolutamente legittimato nelle sue funzioni costituzionali.
Quinta questione. Perché la Corte Costituzionale non è intervenuta prima ? Semplicemente perché non ne era stata investita. In Italia (come in altri paesi, del resto) la Corte interviene su ricorso di organi e non di comuni cittadini. E’ stata la tenacia di alcuni ricorrenti che sono arrivati sino in Cassazione (e poi quest’ultima ha “girato” il ricorso alla Corte Costituzionale) a portare a questa sentenza che è certamente storica. E dobbiamo tutti ringraziarli.
Conclusioni. La sentenza della Consulta è, dunque, assolutamente ineccepibile. Essa non si è assunta la responsabilità di “fare” una nuova legge né ha fatto rivivere una legge abrogata semplicemente perché non ne aveva il potere, potere che appartiene soltanto al legislatore. Si è limitata soltanto a cassare la legge esistente delle norme costituzionalmente illegittime. Ora spetta al legislatore ed alla politica fare una nuova legge elettorale che risponda ai principi fondamentali delle democrazie moderne: rappresentatività dei cittadini e dei territori e governabilità.
Resta solo l’amara considerazione che si è perso fin troppo tempo e il solco della politica rispetto al comune sentire dei cittadini si è ulteriormente approfondito.
Cosenza, li 5 dicembre 2013
Gabriele Petrone
Il buon senso sulla legge elettorale…
Se fossimo un partito serio avremmo già detto sì nella passata legislatura ad una proposta di riforma della legge elettorale che prevedesse le preferenze, con la significativa correzione della doppia preferenza di genere.
Se fossimo un partito serio avremmo, ad esempio, fatto un minimo di analisi del voto confrontando innanzitutto le regionali con le politiche (si votò nello stesso giorno, ricordate ?) e queste ancora con le amministrative di un mese fa, scoprendo, ad esempio, che laddove si vota con le preferenze il PD prende più voti e forze come quella di Grillo si riducono all’inconsistenza.
D’altro canto voi tutti li votereste in una lista gente come Crimi e Lombardi e almeno l’80% dei candidati grillini messi lì apposta perché anonimi e votati a stare zitti tanto parla sempre il “guru” ?
O forse Berlusconi avrebbe potuto avere quella rimonta che poi ha avuto, se il carattere populistico della sua proposta politica fosse stato depotenziato sul territorio da una miriade di candidati forti e radicati ?
Ma il voto con le preferenze ha anche un altro vantaggio: rende necessari i partiti che abbiano un minimo di organizzazione sul territorio, un minimo di radicamento, con gruppi dirigenti locali che nelle scelte hanno la possibilità di contare e pesare.
Ciò avviene in tutte le democrazie del mondo.
Il PD e l’Italia hanno bisogno come il pane di una democrazia che si nutra dal basso, in cui le classi dirigenti si misurano nel fuoco delle dinamiche politiche locali e siano poi in grado di ridurle a sintesi nelle istituzioni nazionali. Se invece i gruppi dirigenti sono selezionati dall’alto sulla base della fedeltà a questo o a quel dirigente, quale politica si potrà mai condurre rispetto ad interessi più ampi e anche più alti del Paese ?
Questi obiettivi, intendiamoci, sono raggiungibili anche con i collegi uninominali a condizione che le candidature siano anch’esse selezionate dai territori in un rapporto virtuoso con il centro di direzione politica nazionale, senza trascurare, anche qui, la necessità di costruire meccanismi che garantiscano la rappresentanza di genere rifuggendo dalle stupidaggini delle cosiddette “quote rosa”.
La storia delle candidature dei collegi uninominali del “mattarellum” purtroppo, questa impostazione, per chi non ha memoria corta, troppo spesso non l’ha rispettata.
Ma questo ragionamento di semplice buon senso non alberga in tanti e troppi dirigenti del PD, che con il “porcellum” si sono costruiti le filiere correntizie (e poi ci fanno le lezioni sui “capibastone”, sic !) con l’aggravante che sono correnti costruite senza neppure il consenso popolare.
Un ragionamento che fa il paio con gli interessi autoconservativi di tanti parlamentari senza voti (e spesso senza testa) che il porcellum lo difenderebbero fino alla morte, a prescindere da certe tirate propagandistiche.
Ora incombe la Consulta che dovrà pronunciarsi su una sentenza della Cassazione che ha detto quello che il buon senso ci diceva da tempo: non è democratica una legge che assegna un premio abnorme di maggioranza senza un minimo di soglia e dove i parlamentari non sono scelti dai cittadini ma da chi compila l’ordine delle liste.
Buon senso vorrebbe cambiare questa legge subito.
Buon senso vorrebbe che il PD non si opponesse alle preferenze per il semplice fatto che è un meccanismo che gli conviene.
Buon senso vorrebbe non aver paura della democrazia ma sostenerla sempre e comunque.
Ma di buon senso se ne vede in giro ?