pregiudizi anticalabresi
Perché certe parole non possono essere usate…
Se la si smettesse di parlare a vanvera e si uscisse finalmente dalla retorica dei pregiudizi anticalabresi forse si capirebbe perché nella famosa assemblea del PD di Cosenza l’uso di parole come “capibastone” ha provocato una reazione così veemente e dura. Dire “capobastone” a chi ha avuto la macchina incendiata (come l’assessore Damiano Covelli e l’allora segretario del Circolo e consigliere comunale Raffaele Zuccarelli) e l’attenzione delle lettere anonime e delle minacce (come Nicola Adamo) dei veri “capibastone” della delinquenza organizzata è una offesa intollerabile. Se si fosse assistito al dibattito fino in fondo queste cose sono state dette in quasi tutti gli oltre 20 interventi di quella sera. Sono queste le cose che il sig. Reale dovrebbe capire. E magari Boccia sull’uso di questo linguaggio dovrebbe promuovere una vera discussione nella commissione di garanzia. Perché i democratici calabresi sono stati sempre le prime vittime dei “capibastone”. Altro che balle.
Sui pregiudizi facciamo un esempio
I pregiudizi sono più numerosi delle stelle in cielo. Quello sugli “zingari” è il più diffuso: sono tutti ladri. Del resto è anche quello che sembra più vicino alla realtà. Ma ne esistono di altri: ad esempio i calabresi sono tutti mafiosi. Sappiamo tutti che è mafiosa una infima minoranza in Calabria. Ma chi, viaggiando, non ha subito battute del tipo: Calabria ? Mafia. Ora facciamo un esempio per assurdo semplice semplice. Anche se il 99,9 per cento dei calabresi fosse mafioso non si potrebbero arrestare tutti i calabresi. Ma solo quel 99,9 per cento, uno per uno, sottoporlo a processo e, se colpevole del reato, condannarlo. Gli Stati di diritto funzionano così. I diritti dei singoli sono garanzia dei diritti di tutti. Ci vogliamo pensare o no ?