processo
RICORDIAMO ENZO TORTORA MA EVITIAMO IPOCRISIE
Venticinque anni fa, il 18 maggio 1988, moriva Enzo Tortora.
Enzo Tortora fu accusato ingiustamente di essere un affiliato della camorra, costretto in carcere, massacrato mediaticamente, condannato in primo grado e assolto in appello con formula piena.
Un errore giudiziario clamoroso che lo portò alla morte.
Enzo Tortora si difese sempre con determinazione nel processo, arrivando persino a rinunciare all’immunità di parlamentare europeo. Altra tempra, altro uomo.
Fu grazie alla battaglia condotta da Enzo Tortora che gli italiani diedero un consenso plebiscitario al referendum che introduceva la responsabilità civile dei giudici “per colpa grave”.
Tuttavia, la legge Vassalli che uscì fuori da quel referendum, stabilì che il cittadino che ha subito le conseguenze di un errore giudiziario può rivalersi sullo Stato che pagherà un risarcimento e solo dopo, eventualmente, lo Stato può rivalersi sul giudice che ha sbagliato ma solo “entro un terzo di annualità dello stipendio”.
Non ho notizia che questo secondo passaggio si sia mai verificato negli ultimi venticinque anni, mentre ammontano a parecchi milioni di euro le somme pagate dallo Stato per ingiusta detenzione.
In buona sostanza, i magistrati continuano ad essere l’unica categoria di impiegati pubblici i cui errori commessi per “dolo o colpa grave” vengono pagati da tutti i cittadini e che di persona non ne subiscono alcuna conseguenza, neppure, che so, il semplice trasferimento d’ufficio.
Sarebbe dunque bene che, ricordando Tortora, si evitassero facili ipocrisie e ci si rendesse conto che, Berlusconi a parte, in Italia esiste una questione giustizia grande quanto una casa.
GIULIO ANDREOTTI: UN UOMO DI POTERE IN UN PARTITO CONDANNATO AL POTERE.
Quando scompaiono personalità come quella di Giulio Andreotti non si può fare a meno dal rifuggire da giudizi semplicistici e liquidatori.
Lo si deve alla grandezza di un personaggio che comunque è parte fondamentale della storia d’Italia degli ultimi settant’anni.
Lo si deve, lasciatemelo dire, all’intelligenza dei cittadini, ai quali non può essere propinata la solita lettura “giudiziaria” di una vicenda vasta e tragica che è quella dell’Italia del dopoguerra, delle sue luci e delle sue ombre.
Andreotti fu, soprattutto, un uomo politico e un uomo di stato. Fu un uomo di potere in un partito condannato dalla situazione internazionale a restare comunque al potere, la Democrazia Cristiana. Un partito in cui lui e la sua corrente non furono mai maggioranza ma spesso rappresentarono il punto (di potere, appunto) più avanzato di equilibrio.
Proprio per questo l’uomo nella sua vita, ha suscitato più odio che amore.
Andreotti fu odiato dai comunisti che in lui vedevano la personificazione di tanti mali: la DC, i cattivi “amerikani”, la mafia. Sì, perché per tanti comunisti Andreotti era mafioso ben prima che il processo di Caselli e il presunto “bacio” di Riina dessero credito a questa tesi.
La sua stessa figura fisica sembrava richiamare l’antica idiosincrasia ipocrita di tanti intellettuali italiani per la politica intesa come intrigo, segreto, manovra. Di che meravigliarsi ? Siamo il Paese che ha dato i natali a Machiavelli e nello stesso tempo più odia Machiavelli.
Ma Andreotti era odiato anche da tanti democristiani nell’infinito gioco delle correnti contrapposte dalle quali sembrava emergere sempre lui, nonostante tutti e tutto. Neanche nel PSI era particolarmente amato.
In verità Andreotti fece, nelle condizioni storiche date, quello che si richiedeva ad un politico moderato nato dal patto degasperiano di tenere fuori l’Italia dall’influenza sovietica.
I dirigenti comunisti più accorti e tutti coloro che conoscevano la politica, quella vera, lo sapevano e ad Andreotti riconoscevano il ruolo che si era assunto. Lo riconoscevano e lo rispettavano.
Poi la vicenda giudiziaria: molti l’hanno ricordato e non posso non tornarci. Andreotti si difese nel processo e non pretese di difendersi dal processo. Altro uomo, altra stoffa. E tuttavia quel processo fu, per me, un grave vulnus alla vicenda politica e sociale del Paese, la cui storia non può essere letta come un romanzo criminale.
Intendiamoci, non sostengo che la politica non si processa, anzi. Credo invece che sia la storia a non potere essere letta con le lenti di un processo giudiziario. I processi devono stabilire se ci sono reati e punirli. Non possono scrivere la storia di un Paese.
Sarà dunque la storia ad assegnare torti e ragioni. L’ha già fatto, se ci pensiamo bene.
In attesa che qualcuno con meno pregiudizi e maggiore obiettività la scriva, rendiamo ad Andreotti il rispetto che gli è, comunque, dovuto.
LE DICHIARAZIONI DI DE MAGISTRIS CONTRO NICOLA ADAMO UN CAPOLAVORO DI INCOERENZA…
E’ ampliamente noto il fallimento di De Magistris nella sua attività inquisitoria.
Da inquirente ha provocato non solo danni all’immagine ed alla credibilità della giustizia italiana ma anche danni erariali, se è vero come è vero che solo per la inchiesta “Why Not ?” ha dilapidato circa 10 milioni di euro.
I fatti dimostrano come ha utilizzato la funzione di pubblico ministero per ritagliarsi tribune mediatiche nazionali nelle vesti di un Savonarola che coltivava l’ambizione di fare carriera politica.
Oggi per quella attività è stato addirittura rinviato a giudizio e, dismettendo i panni del Savonarola di turno, cerca di vestire quelli della vittima per evocare allo stesso modo di Berlusconi, complotti ai suoi danni, lanciando sospetti e diffidenze sulla magistratura.
Da politico, europarlamentare, ora non demorde.
Egli è sempre puntuale a demonizzare gli altri ma sempre pronto a ritrarsi quando coerenza imporrebbe ad egli stesso di rispettare il codice etico e mettersi da parte di fronte alle gravi accuse che gli sono state rivolte prima dal CSM e poi dalla Procura e dal Tribunale di Roma.
Nel dimenarsi nelle sue confusioni, determinate soprattutto dalla commistione tra il ruolo di PM e quello di europarlamentare, ha trovato il tempo di rilasciare dichiarazioni pubblicate stamane da “Il Quotidiano della Calabria” per intervenire nelle vicende del PD calabrese e lanciare strali sull’on. Nicola Adamo.
Vorrei solo ricordare, in questa sede, una differenza che reputo fondamentale tra la storia di Nicola Adamo e quella del citato De Magistris, e che è nota ai più: Nicola Adamo non si è mai sottratto né al giudizio degli elettori né a quello della giustizia né ha mai evocato complotti o invocato immunità, a differenza del nostro che, quando qualcuno lo indaga evoca oscure trame e chiede solo per sé la non applicazione del codice etico del suo partito.
Per gli altri, invece è tutta un’altra cosa fino alla chicca finale: non dimentico di aver fatto cadere con la burla della sua inchiesta il governo Prodi, oggi si propone di dare una mano all’opera di Musi per seppellire il PD calabrese.
Se ciò è la prova di una costante volontà persecutoria nei confronti di Nicola Adamo è anche la dimostrazione che la bramosia di De Magistris punta a sostituirsi alla rappresentanza di un centrosinistra credibile e per davvero legato ai bisogni della gente e capace di costruire l’alternativa al centrodestra. Insomma con De Magistris in campo c’è davvero poco da sperare per chi vuole costruire l’alternativa a Berlusconi e al centrodestra calabrese.