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Ciao Antonio…

Antonio Vetere

Antonio Vetere è stato mio alunno per solo un anno al “Pezzullo” cinque anni fa. Cerco e trovo nel ricordo il suo volto sorridente di mille speranze di un bravo ragazzo della nostra città….Ora non c’è più, portato via dalla maledetta strada una mattina di agosto. Quando accadono queste cose ti chiedi perché, ma sai che non avrai risposta. E ripeti a te stesso che non si può morire a ventitré anni. E ti chiedi se come adulti, genitori e insegnanti, potevamo fare di più. E anche qui sai che non avrai risposta… Ciao Antonio…

Con Antonio Vetere

La scuola a Cuba

A L’Avana con Giovanni Cerulo e Paolo Apa per conto dell’IRASE. Prima distribuzione di materiale didattico ad una scuola primaria e poi visita al Museo della ciudad. Tutto mentre i bambini in gita nel centro della città ballano con artisti di strada. La scuola a Cuba è cosa seria, obbligatoria dai 5 anni fino a 18. Sostanzialmente garantita a tutti la scuola materna dai tre anni in su. Lo stesso vale per l’università. Una volta laureati si restituiscono allo Stato le spese di formazione con il proprio stipendio. L’istruzione è un settore all’avanguardia, nonostante le tante difficoltà, nell’isola caraibica, come la sanità.

 

IL VIDEO

 

Scuola: l’ennesima “non-riforma”.

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Ho letto, come tanti, gli articoli con i quali si annunciava una legge-delega sulla scuola proposta dal sottosegretario Roberto Reggi.

Dico subito che, al netto degli annunci sulla obbligatorietà dell’aggiornamento dei docenti e su altro, chiamarla riforma mi sembra assai pretenzioso. Essa va piuttosto ricondotta alla sua vera essenza, cioè l’ennesimo tentativo di intervento sul personale per rivedere orari e stipendi.

Il tutto sugellato con la solita frase ad effetto: “la scuola cessi di essere un ammortizzatore sociale” (bum).

Non credo sia necessario ribadire che le 18 ore nelle scuole secondarie inferiori e superiori e le 24 ore nelle scuole primarie si riferiscono solo alle ore di lezione in classe.

Poi c’è tutto un lavoro al quale l’insegnante è obbligato, che in gran parte non rientra in quel monte orario (organi collegiali, programmazione, incontri scuola-famiglia, correzione compiti, ecc.).

Un lavoro delicato, sottoposto ad un controllo continuo, e non soltanto dei dirigenti scolastici, ma di un’utenza sempre più complessa ed esigente.

Se mi è consentita una battuta, discutere con i genitori sul rendimento e comportamento dei loro figli talvolta è un’esperienza che non si augura neppure ai peggior nemici !!!

Non si comprende, poi, che cosa significa proporre un aumento dell’orario a 36 ore settimanali atteso che, per come è organizzata la scuola oggi, le ore di lezione frontale possono aumentare al massimo a 24 (la media europea è attorno a 19, ma con stipendi assai più alti).

A meno che non si pensi ad una scuola a tempo iper-pieno che però significa un aumento di spesa per lo Stato e gli EELL in termini di personale ATA, servizi di pulizia, mense, trasporti, ecc..

Ci sono queste risorse ? Magari, ma mi pare che i segnali vadano in ben altra direzione (vedi il caso di Genova, dove l’esigenza di contenere la spesa ha imposto la settimana corta). E comunque resterebbe da capire che cosa dovrebbero fare i docenti nelle ore in cui non fanno lezione al netto degli altri impegni professionali.

Nessuno nega, ovviamente, la presenza nella nostra scuola  di insegnanti buoni e cattivi, quelli che a scuola praticamente ci vivono e altri che appartengono alla categoria dei “fantasmi”.

Queste due categorie percepiscono alla fine del mese lo stesso stipendio. Come, in generale, avviene in tutta la PA.

Poi ci sono gli incarichi sulle funzioni strumentali o di collaborazione con il dirigente scolastico o nei progetti PON che sono già, nei fatti, quegli incentivi economici al personale più impegnato e disponibile di cui tanto si parla.

Se oggi qualcuno dice, giustamente, introduciamo il principio secondo il quale chi lavora di più guadagna di più, non vedo come si possa essere in disaccordo. Come stabilire criteri e parametri oggettivi per non affidare tutto alla valutazione dei Dirigenti Scolatici ? Se ne discuta laicamente.

Tuttavia il vero tema che sta alla base della proposta Reggi, ripeto, non è questo.

La verità è che si vogliono produrre risparmi sul personale, azzerare le supplenze brevi e vedere come si fa cassa rispetto alle esigenze del bilancio dello Stato.

Nulla di nuovo, quindi, e nessuna riforma, solo destrutturazione di quello che c’è. E invece di una riforma vera la nostra scuola avrebbe davvero bisogno, una riforma che non solo ne ridurrebbe i costi, ma la renderebbe più efficace ed efficiente.

La nostra scuola oggi non ha identità: è la risultante di tante riformicchie senza respiro tenuta insieme con gli spilli e il senso di sacrificio di gran parte del suo corpo docente (che qualcuno lo riconoscesse, una volta tanto, non sarebbe male).

Non può sfuggire a nessuno, infatti, che dopo gli interventi sull’obbligo che, nei fatti, lo spingono fino ai diciotto anni in linea con i paesi più avanzati, si è aperto il problema di intervenire su alcuni segmenti del sistema, in particolare quello che va dal primo anno della secondaria inferiore al terzo anno della secondaria superiore.

Qui è il vero ventre molle, qui si concentrano tutte le criticità dal punto di vista pedagogico, didattico ed organizzativo.

Una vera riforma della scuola non può, quindi, limitarsi a discutere di orari e personale ma deve necessariamente porsi due domande fondamentali: primo, cosa pensiamo che la scuola debba fare, secondo come e con quali risorse debba farlo.

Hic Rhodus, hic salta. Non si sfugge.

Io penso che un intervento in quel segmento non possa non porsi come obiettivo quello squisitamente formativo, che si traduce in più ampi e diversificati contenuti disciplinari (si pensi, ad esempio, al ritorno del latino inteso come disciplina che struttura l’acquisizione corretta della lingua italiana) e in una robusta scelta a favore dell’innovazione tecnologica in linea con la cosiddetta rivoluzione digitale che stiamo vivendo.

In questo quadro può e deve essere pensato un diverso e più valorizzante uso del personale e quindi anche il superamento di evidenti discrasie, inefficienze e sprechi di risorse.

Un Governo del fare come si definisce quello di Matteo Renzi ha il dovere, anche su questo settore strategico, di introdurre una fase di netta discontinuità.

Tornare al “Cuore”.

De Amicis e Cuore

Ritrovare una identità della scuola italiana.

C’è un romanzo per ragazzi caduto in disuso già ai tempi della mia generazione ma che rappresenta una delle pietre miliari della nostra storia della letteratura e non solo per l’infanzia: Cuore di De Amicis.

Mi spinse a leggerlo mia zia, che lo aveva studiato a scuola.

Lo incontrai di nuovo durante i miei studi universitari nelle critiche anche feroci che gli venivano mosse.

Negli anni ’70 ed ’80, infatti, Cuore veniva presentato come un libro intriso di retorica patriottica, di sentimentalismo, di ideologia positivistica-lombrosiana, di classismo. Si diceva che non fosse neppure un libro adatto ai ragazzi, per la violenza ed i fatti tragici descritti in molte delle sue pagine.

Eppure quel libro è stato uno dei pochi tentativi, in una letteratura troppo spesso piena di vera retorica moralistica come la nostra, di dare sostanza culturale e ragione alla società italiana.

Certamente nell’Italia del 1886 i valori proposti non potevano non essere quelli borghesi, laici e genericamente progressisti della classe dirigente che aveva portato a termine l’unificazione.

Il tentativo, cioè, di dare agi italiani una coscienza civile, una cultura comune in cui potessero riconoscersi e che non poteva non realizzarsi se non attraverso la scuola, individuata come l’agenzia educativa fondamentale per realizzare l’altro grande obiettivo del Risorgimento, quello di “fare gli italiani”.

Del resto il problema della nazionalizzazione delle masse era comune a tutta l’Europa che nell’800 si affrancava definitivamente dai residui dell’ancien regime e gli Stati cessavano di identificarsi in dinastie con i loro diritti feudali e sviluppavano nuove e più rappresentative istituzioni.

In Italia si doveva anche fare i conti con la presenza invadente (e nei primi anni post-unitari anche ostile) della Chiesa cattolica che per più di un millennio era stata l’unico elemento unificante in un Paese diviso in tante entità statali spesso in conflitto tra loro e, a partire dal XVI secolo, anche subalterne alle dinamiche diplomatiche, politiche e militari delle grandi potenze europee.

L’opera di Edmondo De Amicis, che in Italia ebbe uno straordinario successo secondo soltanto al Pinocchio di Collodi, ha rappresentato pertanto un esplicito tentativo pedagogico per una società che si sapeva disomogenea se non addirittura disgregata attorno ad alcuni valori di riferimento: il re, l’esercito, l’etica del sacrificio e del lavoro, l’aspirazione alla collaborazione ed alla solidarietà tra le diverse classi sociali in nome dell’amor di patria, ecc..

Valori datati, si dirà e sui quali sono passati due guerre mondiali e vent’anni di una dittatura che la Patria la farà morire con la liquidazione delle libertà democratiche, le persecuzioni politiche e razziali e, infine, con una guerra rovinosa in alleanza con uno dei progetti totalitari più criminali della storia. Una Patria che solo la Resistenza riuscirà a risollevare nella coscienza degli italiani.

Il problema però, è che, se si escludono le grandi tensioni democratiche che hanno per fortuna interessato la nostra scuola a partire dagli anni ’60 grazie anche all’opera straordinaria di Don Milani e della scuola di Barbiana, da un po’ di anni a questa parte non c’è stato più nessun tentativo paragonabile a quello rappresentato quasi 130 anni fa dal Cuore.

La nostra scuola ha subito riforme e controriforme che l’hanno lasciata sostanzialmente senza identità.

Una scuola che soffre, del resto, del generale disorientamento di una società che ha perso punti di riferimento, in cui caste e corporazioni si contrappongono le une alle altre nel tentativo di preservare privilegi che diventano di giorno in giorno sempre più piccoli e ristretti.

Questo Paese non avrà futuro se non riusciremo a darci un sistema di valori condivisi entro cui riconoscerci ed una scuola capace di formare i giovani nella nuova dimensione della cittadinanza europea.

Fare, dunque, i nuovi italiani cittadini di una Europa senza re e senza eserciti nella speranza che da qualche parte ci sia un De Amicis che abbia cominciato a scrivere il “Cuore” degli anni 2000.

Scuola Bene Comune

Incontro – 23 novembre 2012 ore 17,00 al Caffè Letterario di Piazza Matteotti – Cosenza — Con: Enza Bruno Bossio, Raffaella Ciardullo, Maria Francesca Corigliano, Caterina Gammaldi, Gabriele Petrone, Alfredo D’Attorre e la Responsabile Nazionale Scuola del PD Francesca Puglisi.

E’ BELLO SENTIRE VICINO IL TUO PARTITO IN QUESTO MOMENTO…

Bersani in un comizio

Bersani in un comizio


BERSANI: SE RESTANO QUESTE NORME SULLA SCUOLA NOI NON LE VOTIAMO
“Voglio dirlo con chiarezza: noi non saremo in grado di votare così come sono le norme sulla scuola, sono norme al di fuori di ogni contesto di riflessione sull’organizzazione scolastica e finirebbero per dare un colpo ulteriore alla qualità dell’offerta formativa”, afferma Pier Luigi Bersani, a proposito delle disposizioni contenute nella legge di stabilità.
Nel rispetto dei saldi, “chiediamo al Governo di rendersi disponibile a modifiche significative. Noi metteremo attenzione alla questione fiscale cercando una soluzione più equa e più adatta ad incoraggiare la domanda interna”. Il Pd, aggiunge Bersani, “metterà attenzione al tema ancora aperto degli esodati”. Ma le norme sulla scuola, per il segretario Pd, “così come sono non saremo in grado di votarle”. “Voglio credere – conclude il leader dei democratici in un comunicato – che ciò sarà ben compreso dal Governo. Diversamente saremmo di fronte ad un problema davvero serio”.

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